I redditi da lavoro autonomo sono rappresentati dai ricavi conseguiti da una persona fisica a seguito di una prestazione riguardante l’esercizio abituale di arti e professioni. Poiché l’attività svolta non è sporadica né esclusiva, quindi non si parla di lavoro autonomo occasionale o di lavoro accessorio, il lavoratore autonomo è obbligato ad esercitare con partita IVA.
La differenza principale tra il lavoratore autonomo e il lavoratore dipendente, è che il primo svolge la propria attività senza alcun vincolo di subordinazione. Mentre, il secondo è tenuto a seguire il coordinamento e le direttive di un datore di lavoro. Stabilito che, il lavoratore autonomo ha facoltà di scegliere le modalità, i tempi e il luogo per svolgere il proprio lavoro, con l’unico impegno di portare a termine il suo compito al fine di ricevere un corrispettivo economico, un’altra sostanziale differenza rispetto al lavoratore dipendente è costituita dall’aspetto fiscale e previdenziale.
Infatti, un dipendente riceve la busta paga indicante già il reddito netto, in quanto la tassazione e la contribuzione sono già state trattenute dal datore di lavoro che poi provvederà a versare. Il lavoratore autonomo, invece, deve provvedere al pagamento delle imposte e dei contributi previdenziali.
La somma dei corrispettivi economici incassati nell’arco dell’anno, rappresenta il reddito lordo che si evince dalle fatture emesse. Come dicevamo, dai ricavi conseguiti vanno tolte le tasse da pagare e la contribuzione previdenziale da versare.
Il reddito netto di un lavoratore autonomo con partita IVA, si ricava dal reddito lordo a cui vanno sottratti gli oneri fiscali e contributivi.
In sede di dichiarazione dei redditi, il lavoratore autonomo dovrà indicare tutti i compensi lordi ricevuti e procedere al calcolo delle tasse dovute allo Stato, in base agli scaglioni IRPEF.
Per i redditi fino a 15.000 euro, si applica l’aliquota del 23%. Da 15.001 fino a 28.000 euro si paga un’imposta di 3.450 euro a cui aggiungere il 27% sul reddito eccedente i 15.000 euro.
Per i redditi compresi tra 28.001 fino a 55.000 euro, l’imposta dovuta è pari a 6.960 euro a cui aggiungere il 38% sulla parte eccedente del reddito oltre i 28.000 euro.
Per i redditi da 55.001 fino a 75.000 euro, la tassazione è pari a 17.220 euro a cui sommare il 38% sul reddito che supera i 55.000 euro.
Per redditi superiori a 75.000 euro, la quota fissa da versare è di 25,420 euro a cui aggiungere il 43% sulla parte eccedente del reddito che supera i 75.000.
Tuttavia, il reddito netto del lavoratore autonomo non si ricava dalla sottrazione degli oneri fiscali e previdenziali, in quanto ci sono costi detraibili e deducibili.
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Il lavoratore autonomo che svolge la propria attività con partita IVA, può scegliere di aderire al regime forfettario se il reddito lordo è inferiore ai 65.000 euro. In tal caso, la tassazione non sarà più legata agli scaglioni, bensì ci sarà una sola aliquota fissa agevolata, pari al 15%. In alcuni casi, come le start-up, per i primi cinque anni di attività si applica l’aliquota del 5%.
La domanda nasce spontanea: “perché non tutti i lavoratori autonomi, nonostante un reddito inferiore ai 65.000 euro, aderiscono al regime forfettario?”. Ebbene, chi sceglie questo regime fiscale non può scaricare le spese di lavoro sostenute, tuttavia, verrà applicata una forfetizzazione tra costi e ricavi.
Per esempio, a un libero professionista l’aliquota del 15% sarà applicata sul 78% del reddito lordo. Quindi, in questo la forfetizzazione è pari al 22%.
Il 78% sopra citato, non è altro che un coefficiente di reddito che varia a secondo del settore di appartenenza dell’attività svolta, a sua volta, identificata da un codice ATECO.
Un lavoratore autonomo dovrebbe conoscere a memoria il codice ATECO, in quanto al momento della richiesta di apertura della partita IVA, deve indicare all’Agenzia delle Entrate anche il codice ATECO relativo all’attività che vuole avviare. A questo punto, sarà facile consultare la tabella dei coefficienti di redditività per fare due calcoli e capire se conviene o meno aderire al regime forfettario.
In linea di massima, si può affermare che se il titolare di partita IVA sostiene spese elevate per svolgere il suo lavoro e ha un reddito abbastanza alto per portarle tutte o quasi in detrazione, probabilmente farebbe bene a pensarci due volte prima di scegliere il regime fiscale forfettario, potendo optare per quello ordinario o semplificato, dove è possibile detrarre tutte le spese.
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