Il patto di non concorrenza tra datore di lavoro e lavoratore

patto di non concorrenza

Ogni azienda ha il suo patrimonio di conoscenze, tecniche e ricerche, si tratta spesso di beni immateriali che però hanno un valore economico davvero rilevante, e che devono essere per loro natura condivisi con i collaboratori. Ma cosa succede se un lavoratore decide di licenziarsi e di andare a lavorare per un’azienda concorrente? Sicuramente la prima azienda può essere danneggiata e per tutelarsi il datore di lavoro può stipulare il patto di non concorrenza.

Perché si stipula un patto di non concorrenza

L’articolo 2105 del codice civile stabilisce il dovere di fedeltà del lavoratore verso il datore di lavoro, lo stesso dovere riguarda la vita lavorativa. L’articolo stabilisce che “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. Vi sono però settori in cui le specialità delle prestazioni svolte sono di natura tale che, anche in seguito allo scioglimento del rapporto di lavoro, si possono generare danni ingenti all’azienda se l’ex lavoratore dovesse rivelare notizie inerenti l’organizzazione e le tecniche di produzione, in pratica si tratta del Know – How, cioè quell’insieme di conoscenze acquisite durante il rapporto di lavoro, in particolare quando ci si trova in posizioni delicate o apicali, e che sono peculiarità dell’azienda.

L’esempio che può sembrare più banale è quello di una rinomata pasticceria che condivide le ricette e i segreti con il pasticcere, in seguito questo si licenzia e va a prestare lavoro presso un’altra pasticceria della zona oppure apre a sua volta una pasticceria, è ovvio che può distrarre clientela alla prima pasticceria approfittando del pacchetto di conoscenze acquisite. Il secondo esempio può riguardare aziende impegnate nella ricerca che potrebbero essere danneggiate se, prima del deposito del brevetto, un loro dipendente dovesse dimettersi e poi andare a lavorare in un’azienda concorrente. Per evitare queste conseguenze la legge stabilisce al possibilità di stipulare un patto di non concorrenza tra datore di lavoro e lavoratore.

La disciplina del patto di non concorrenza

Il patto di non concorrenza tra lavoratore e datore di lavoro è previsto dall’articolo 2125 del codice civile  che stabilisce: Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro per  il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.                                                                                              La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di  dirigenti e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata”.

La prima cosa che si nota è la formulazione negativa che va sottolineare come il patto di non concorrenza debba essere considerato un’eccezione rispetto alla regola generale che riconosce alle persone ampia libertà di agire.

La validità del patto di non concorrenza

Nonostante questo, si possono ricavare anche dalla formulazione negativa i criteri necessari per stipulare un valido accordo tra le parti;

  1.  il patto deve essere formulato per iscritto;
  2.  deve essere pattuito un compenso per il lavoratore, questo perché il lavoratore, se in seguito a tale patto non può esercitare le attività che conosce e nelle quali ha acquisito conoscenze, riceve una forte penalizzazione e questa deve essere in un certo senso compensata. La giurisprudenza non ha un unico orientamento sulla congruità, molto dipende dal singolo caso concreto, deve essere valutato il danno che riceve il lavoratore dal patto di non concorrenza e il danno che riceverebbe il datore se fossero divulgati i segreti. Deve essere considerato il compenso ricevuto per lo svolgimento delle mansioni e la portata del divieto. C’è però da dire che se il compenso non viene ritenuto congruo, ma meramente simbolico e il lavoratore dovesse impugnare il patto di non concorrenza, lo stesso potrebbe essere dichiarato nullo, con la conseguenza che cadrebbe il divieto per il lavoratore che però non dovrebbe neanche restituire le somme percepite;
  3. in terzo luogo si nota che vi sono dei limiti temporali, cioè il patto di non concorrenza tra datore di lavoro e lavoratore non può avere una durata superiore a 3 anni, tranne nel caso in cui il prestatore sia un dirigente e quindi si può estendere il divieto fino a 5 anni.

Limiti oggettivi e territoriali

La normativa sottolinea anche che il limite deve essere contenuto entro limiti di oggetto e di luogo. Sicuramente questa è la parte della norma che suscita maggiore interesse da parte degli esperti e della giurisprudenza perché, in alcuni casi basta limitare territorialmente il divieto di lavorare in posizioni in concorrenza con il datore di lavoro per evitare danni. Ad esempio la pasticceria  che si trova a Napoli può avere dei danni se il prestatore va a lavorare in una pasticceria che si trova nella stessa zona, ma di sicuro non ha problemi se il lavoratore si trasferisce a Milano e lavora in una pasticceria della zona. In tal caso la clientela non è la stessa, non può essere distratta.

Diverso è il caso di un ingegnere che lavora allo sviluppo di software, in un mondo globale infatti l’azienda può ricevere danni anche nel caso in cui il lavoratore dovesse trasferirsi da Torino a Pechino, quindi di volta in volta è necessario capire se limitare territorialmente il patto di non concorrenza risponda alle esigenze delle parti e non sia eccessivamente penalizzante per una parte o l’altra.  Per quanto riguarda il limite oggettivo, il discorso è simile perché in alcuni casi nel patto di non concorrenza basta inserire il divieto di svolgere le stesse mansioni o mansioni connesse, mentre lavorare in altri “campi affini” potrebbe non generare alcun danno.

Di fatto però il patto di non concorrenza non è un’ imposizione, è un accordo contrattuale tra le parti e fino a quando non viene impugnato, non ricade all’attenzione del giudice.

Quando si stipula il patto di non concorrenza

Il patto di non concorrenza può essere inserito all’interno del contratto di lavoro oppure può essere formulato con un accordo autonomo rispetto al primo. Per quanto riguarda i tempi, si può sottoscrivere contestualmente alla stipula del contratto di lavoro oppure successivamente e quindi durante il rapporto di lavoro, ad esempio nel momento in cui si concedono avanzamenti di carriera, oppure nel momento della risoluzione del contratto. Nel caso in cui sia nel contratto di lavoro, l’operatività della clausola comunque è posticipata al momento successivo dello scioglimento del rapporto. In molti casi la sottoscrizione di tale clausola è conditio sine qua non, cioè il datore assume un determinato dipendente solo se accetta di sottoscrivere tale clausola.