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Associazione culturale con partita IVA: quali adempimenti fiscali?

Un’associazione culturale non è obbligata all’apertura di una partita IVA. Qualora si rendesse necessaria, ci sarebbero degli adempimenti fiscali a cui attenersi.

In linea di massima, un’associazione non deve operare in regime di partita IVA se percepisce solo entrate istituzionali, ossia rappresentate dalle quote versate dagli associati per l’iscrizione e i rinnovi. Anche i contributi liberali erogati da aziende, privati ed enti associati e non, per sostenere le finalità dell’organizzazione, rientrano in questa categoria di entrate.

Non vi è obbligo di aprire partita IVA nemmeno per le associazioni che conseguono entrate decommercializzate per legge. In generale, si tratta di ricavi per attività e servizi svolti esclusivamente o prevalentemente verso gli associati.

Le suddette tipologie di entrate non sono soggette a tassazione, pertanto non richiedono emissioni di fatture. Tale beneficio è concesso solo alle associazioni che hanno trasmesso regolarmente il modello EAS presso l’Agenzia delle Entrate, utile ai fini del godimento delle agevolazioni fiscali previste per il settore no profit.

Quando non è necessario chiedere la partita IVA, l’associazione può limitarsi a richiedere solo il codice fiscale, il quale permette all’ente di compiere le operazioni di basilari, come l’apertura di un conto corrente o la stipula di un contratto. Inoltre, nel caso si abbia intenzione di registrare l’associazione per rendere conoscibile l’organizzazione ai terzi, beneficiando di ulteriori agevolazioni, è necessario il codice fiscale.

Quando la partita IVA è obbligatoria per l’associazione culturale

In alcuni casi, la partita IVA è obbligatoria anche per le associazioni culturali che percepiscono ricavi da una o più attività commerciali. Poiché si tratta di un ente no profit, le attività svolte devono risultare sempre secondarie e finalizzate al finanziamento degli scopi associativi. Viceversa, se l’attività commerciale dovesse divenire prevalente, i ricavi sarebbero soggetti a tassazione e l’ente perderebbe la qualifica di associazione non a scopo di lucro.

Tutte le entrate non rientranti tra quelle istituzionali e decommercializzanti, sono ritenute commerciali per le associazioni. Quindi, lo sono i ricavi provenienti dalle attività rivolte in prevalenza verso soggetti terzi non associati. Cioè, gli incassi ottenuti per ingressi a pagamento rivolti al pubblico, per somministrazione di alimenti e bevande (quasi tutte), sponsorizzazioni e pubblicità.

Ricapitolando, le entrate derivanti da attività commerciali svolte dalle associazioni in modo abituale e continuativo o comunque non sporadico od occasionale, obbligano l’associazione culturale all’apertura di una partita IVA. A questo punto, è fondamentale capire cosa s’intende per attività commerciale occasionale.

Le disposizioni di legge in merito, considerano attività occasionale un numero di eventi commerciali non superiori a due all’anno con incassi che non devono superare i 50.000 euro.

Nel momento in cui non ci sono le condizioni per tenere un’associazione con il solo codice fiscale, è necessario che l’associazione provveda ad aprire una partita IVA. Pur avendo già un codice fiscale, un’associazione che svolge regolarmente attività commerciale può e deve richiedere la partita IVA.

Per richiedere una partita IVA, l’associazione deve compilare e presentare il modello AA7/10 all’Agenzia delle Entrate. Ciò significa che quando si compila il modello va indicato il codice ATECO relativo alle attività commerciali svolte.

Gli adempimenti fiscali di un’associazione con partita IVA

Quando si opera con partita IVA si emette fattura per le entrate commerciali. Quindi, anche per un’associazione culturale no profit vige l’obbligo di fatturazione elettronica se i ricavi commerciali superano i 65.000 euro annui e se l’ente non ha aderito al regime forfettario IVA. Attenzione, però, se i redditi annui sono superiori a 400.000 euro, nemmeno l’ente no profit può beneficiare del regime agevolato.

E’ da sottolineare che con la riforma del terzo settore, tutti gli enti no profit verranno riuniti in un unico gruppo. Pertanto, molte associazioni non potranno scegliere il regime forfettario, tuttavia, avranno la possibilità di aderire a nuove misure fiscali, come l’applicazione di aliquote agevolate sulle entrate commerciali.

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Carmine Orlando

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Carmine Orlando

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