Il genitore che non paga l’assegno di mantenimento rischia la reclusione e la Corte di Cassazione in diverse pronunce ha confermato tale orientamento.
La disciplina è prevista dall’articolo 570 bis del codice penale, introdotto con il decreto legislativo 21 del 2018, prevede l’estensione delle pene dell’articolo 570 del codice penale anche al genitore separato, divorziato o nei cui confronti sia stata riconosciuta la nullità del matrimonio. L’articolo 570 del codice penale a sua volta prevede la reclusione fino a un anno e la multa da 103 a 1032 euro per il genitore che faccia mancare i mezzi di sussistenza ai figli.
La norma prevede che tale pena si applichi anche nel caso in cui il genitore:
L’articolo 570 bis si applica a querela di parte se l’obbligo di mancata corresponsione è nei confronti del coniuge oppure dei figli maggiorenni non economicamente indipendenti, ma nel caso di mancata corresponsione in favore di minori o inabili, la domanda è procedibile d’ufficio, cioè un qualunque giudice o autorità, verificato che il soggetto è inadempiente, può segnalare il caso e dare quindi il via alla procedura penale. Ciò perché la norma tutela un interesse pubblico e in particolare soggetti deboli che non hanno capacità di agire. Affinché si possa procedere alla condanna è comunque necessario il verificarsi del dolo, quindi ci deve essere una condotta volontaria diretta a danneggiare le vittime di reato da parte del soggetto obbligato. Se la parte prova di essere impossibilitato a versare gli assegni, non potrà esserci la condanna penale.
L’applicazione di questa norma con il tempo è diventata sempre più frequente in quanto vi è l’abitudine di saltare la corresponsione dell’ assegno di mantenimento, magari a fronte di reali cambiamenti della situazione economica, ma senza rivolgersi al giudice per chiedere una adeguamento dell’assegno di mantenimento. Tra le sentenze che hanno avuto particolare risonanza vi è sicuramente la 44694/2019 della Corte di Cassazione.
In questo caso una donna, di fronte alla mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento in favore dei figli da parte dell’ex marito, decide di agire in tribunale di primo grado e in seguito in appello. L’ex marito, dopo la condanna in primo e in secondo grado, decide di proporre ricorso in Cassazione lamentando solo in questo momento le difficoltà economiche. Il giudice, ripercorrendo la vicenda, sottolinea che in realtà la ricostruzione dell’ex marito inerente le difficoltà economiche sia poco convincente perché in sede civile l’uomo aveva accettato il raddoppio dell’assegno di mantenimento inizialmente fissato e in secondo luogo perché continua ad avere in locazione un’abitazione per cui paga un canone molto alto.
Di conseguenza si evince che in realtà le condizioni economiche non sono mutate e, se anche lo fossero, avrebbe dovuto prima chiedere al giudice una riduzione dell’assegno di mantenimento adducendo come motivazione, e provando, che le sue capacità economiche erano ridotte rispetto al passato e poi in base alle nuove determinazioni ridurre gli importi corrisposti.
Insomma non si può agire in autotutela e ridurre l’assegno di mantenimento o addirittura non versarlo. In base a ciò viene di fatto accettata la determinazione del giudice di Appello con la pena della reclusione di 4 mesi.
Tra le sentenze che applicano lo stesso principio vi è anche la 34618 del 2021 sempre della Corte di Cassazione.
L’ipotesi del carcere è comunque residuale e riguarda soprattutto coloro che hanno un lavoro autonomo, infatti nel caso di dipendenti le strade seguite sono solitamente altre. In particolare se un ex coniuge non versa l’assegno di mantenimento fissato, è possibile procedere con una lettera di diffida in cui lo si invita ad adempiere. Se non lo fa spontaneamente, si può procedere con l’atto di precetto con cui si invita l’ex coniuge ad adempiere entro un termine di 10 giorni. Se anche l’atto di precetto va a vuoto, si procede all’esecuzione forzata che può essere eseguita anche sullo stipendio, quindi sarà il datore di lavoro a trattenere dalla busta paga le somme e a versarle agli aventi diritto. In questo caso non basterà neanche licenziarsi per evitare di pagare, infatti l’esecuzione forzata si trasferisce sul TFR le cui somme saranno pignorate per “assistere” gli aventi diritto.
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