Calcolo pensione con il sistema contributivo
Le pensioni dei lavoratori che hanno iniziato a lavorare e a versare contributi a partire dal 1° gennaio del 1996 sono calcolate con il metodo contributivo puro. Rispetto al meccanismo retributivo e al misto, si tratta pertanto dei lavoratori che non hanno alcuna anzianità contributiva fino al 31 dicembre del 1995. E, rispetto agli altri due sistemi previdenziali, per il calcolo della pensione con il metodo contributivo puro si prendono le contribuzioni versate e accreditate nel corso di tutta la vita lavorativa.
Di conseguenza, le pensioni calcolate con il metodo contributivo sono meno generose rispetto a quelle calcolate con il retributivo. Anche il sistema misto è meno vantaggioso rispetto al retributivo proprio per la quota di contributi (la C) rientrante nel metodo di calcolo del contributivo. Essendo, per l’appunto, “mista”, tuttavia beneficia dei vantaggi del retributivo nel calcolo delle restanti quote, la A e la B. La caratteristica del sistema contributivo è pertanto che questo meccanismo fotografa esattamente quanto versato durante gli anni lavorativi.
Per i lavoratori dipendenti, l’importo del montante dei contributi si calcola con il 33% delle retribuzioni ottenute. Per gli autonomi e le partite Iva, invece, la percentuale è più bassa. Infatti, i professionisti non assicurati presso altre forme pensionistiche versano il 25,98% nel 2021; i professionisti o collaboratori titolari di pensione o altra tutela pensionistica obbligatoria il 24%. Pagano più del 33% i collaboratori e figure assimilate senza altre forme pensionistiche obbligatorie e con contribuzione aggiuntiva Dis Coll (34,23%) e gli stessi senza contribuzione aggiuntiva Dis Coll (33,72%).
I contributi versati annualmente durante la vita lavorativa vanno a formare il montante contributivo. Tale montante va rivalutato sulla base del tasso annuo di capitalizzazione derivante dalla variazione media sui 5 anni del Prodotto interno lordo (Pil) nominale, che l’Istat provvede a calcolare, prendendo a riferimento il quinquennio precedente l’anno da rivalutare. Fanno eccezione sia i contributi relativi alle retribuzioni percepite nell’anno di decorrenza della pensione che quelli dell’anno precedente: entrambi gli anni non vengono rivalutati.
Per il calcolo della pensione, dunque, il montante contributivo ottenuto, opportunamente rivalutato secondo le regole appena esposte, va moltiplicato per i coefficienti di trasformazione. Si tratta di indici, aggiornati ogni biennio e che dipendono dall’età di uscita per andare in pensione e dalla speranza di vita, che trasformano il montante contributivo (la cosiddetta “quota C“) in pensione.
I coefficienti di trasformazione, dunque, sono indici che determinano quale sarà l’importo della pensione in base ai contributi versati. Detti coefficienti variano a seconda dell’età di uscita per andare in pensione: più è bassa l’età (ovvero più si anticipa rispetto alla pensione di vecchiaia dei 67 anni) e più sono alti. Di conseguenza, il sistema dei coefficienti di trasformazione penalizza i lavoratori che anticipano l’uscita sia per i minori anni di contributi versati che per l’applicazione di indici inferiori. Per entrambi i motivi l’importo della pensione, a parità di anni di contributi versati, risulta inferiore. Viceversa, più il lavoratore rimanda l’uscita per la pensione e maggiore risulta essere l’indice mediante il quale si moltiplica il suo montante.
I lavoratori ricadenti nel sistema contributivo puro versano i contributi fino a un importo massimo delle retribuzioni. Per il 2021 il massimale è fissato a 103.055 euro. L’importo rappresenta un tetto al versamento dei contributi per le retribuzioni che superano i 103.055 euro. Chi percepisce retribuzioni annue più alte, dunque, non paga i contributi sulla parte eccedente. Il massimale contributivo, tuttavia, non si applica per i lavoratori che abbiano contributi entro il 31 dicembre 1995.
I lavoratori appartenenti al sistema contributivo puro accedono alla pensione con gli stessi requisiti previsti per la generalità dei lavoratori. Per la pensione di vecchiaia è necessario raggiungere l’età di 67 anni e aver versato contributi per almeno 20 anni. Ulteriore requisito per andare in pensione di vecchiaia è proprio l’importo della pensione. Infatti, la prima rata pensionistica deve essere di almeno 1,5 volte superiore al valore dell’assegno sociale.
Se il contribuente di 67 anni in procinto di andare in pensione di vecchiaia non raggiunge l’importo soglia sopra indicato (dunque la prima rata risulta più bassa di 1,5 volte l’assegno sociale) oppure gli anni di contributi sono inferiori ai 20 richiesti, l’assegno pensionistico slitta. In particolare, occorre attendere la pensione di vecchiaia a 71 anni di età, in presenza di almeno 5 anni di contributi effettivi.
I requisiti anagrafici della pensione di vecchiaia e quello dei 71 anni di età sono soggetti a variazione. In particolare, sull’età incide la speranza di vita calcolata sulla popolazione dai 65 anni in su. Il prossimo adeguamento avverrà nel 2023 e sarà valido fino al 31 dicembre 2024.
Ulteriore differenza della pensione che spetta con il sistema contributivo puro riguarda il trattamento minimo. Infatti, la pensione calcolata con il metodo contributivo non può essere adeguata al trattamento minimo come avviene per altri meccanismi previdenziali. Pertanto, la rata di pensione di un lavoratore del contributivo corrisponde esattamente all’importo risultante dal calcolo illustrato in precedenza.
Per i lavoratori appartenenti al sistema contributivo puro c’è una specifica formula di pensione anticipata. Infatti è prevista l’uscita a 64 anni di età unitamente a 20 anni di contributi rispetto ai 67 richiesti per la pensione di vecchiaia. La condizione essenziale per agganciare questa formula anticipata di uscita è che la prima rata di pensione deve essere almeno 2,8 volto superiore all’importo dell’assegno sociale.
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