Pignoramento, quando è illegittimo o eccessivo?

La legge non è come la matematica, a volte le sue varie disposizioni vanno interpretate. Poniamo il caso di una persona che si trova davanti a un pignoramento, è davvero sicuro che non sia illegittimo o magari eccessivo? Se così fosse, l’esecutato può chiedere il risarcimento danni al creditore?

Pignoramento illegittimo o eccessivo

Chi subisce un pignoramento illegittimo può chiedere un risarcimento per il danno subito, ma deve essere sicuro e quindi al corrente di quanto l’illegittimità sussiste. In realtà, lo smacco subito dal debitore che lo mette a dura prova sopratutto dal punto di vista psicologico, può rivelarsi tale solamente se le pretese avanzate dal credito vengano considerate infondate. E’ giusto precisare che esiste anche un altro pignoramento che può comportare l’opposizione dell’esecutato, ossia quando il pignoramento viene ritenuto eccessivo, in quanto il valore dei beni pignorati va ben oltre quello del debito.

Quando è illegittimo il pignoramento

Un pignoramento viene ritenuto illegittimo quando le pretese del creditore che hanno portato a un’esecuzione forzata, sono prive di fondamento. Ciò si verifica quando il debitore ha già pagato il suo debito all’oramai ex creditore o addirittura quando il credito risulta essere inesistente.

In tal caso, il debitore ha facoltà di opporsi al pignoramento ricorrendo, tramite istanza al Tribunale competente. Purtroppo, il problema è rappresentato dai tempi, in quanto il debitore deve attendere la sentenza definitiva del Giudice che, riconoscendo le sue ragioni sospende l’esecuzione forzata.

Il pignoramento è da ritenersi eccessivo quando i beni pignorati esecutivamente hanno un valore nettamente maggiore al credito reale. Ossia, superiore a quanto stabilito dalla legge più la metà del medesimo a copertura delle spese processuali a cui aggiungere gli interessi di mora.

Per questa differenza, il pignoramento eccessivo non può considerarsi illegittimo, infatti, sussiste davvero un credito da esigere. Anche in questo caso, il debitore può fare ricorso al Giudice competente per chiedere, stavolta, la riduzione del pignoramento.

Pignoramento: quando il debitore può chiedere il risarcimento del danno

Facendo un passo indietro, quando il pignoramento è illegittimo, in quanto privo di ogni fondamento, il debitore acquisisce il diritto di farsi valere in tribunale per ottenere il risarcimento del danno. Una volta confermata l’illegittimità del pignoramento, il creditore sarà tenuto a risarcire il debitore per il danno subito.

Diversa, la situazione de pignoramento eccessivo, per cui il debito/credito è realmente esistente ma l’esecuzione è fuori misura. In caso di accettazione del ricorso presentato dal debitore, il Giudice ordina una riduzione del valore dei beni pignorati. In tal caso, il debitore non può chiedere il risarcimento del danno, in quanto un debito, seppur minore, è stato contratto per davvero.

Rinuncia agli atti

Conoscendo la differenza tra pignoramento illegittimo e pignoramento eccessivo e chiarito che solo nel primo caso si può chiedere il risarcimento del danno, possiamo parlare anche di un’altra possibile azione da parte del debitore.

Infatti, nel caso del pignoramento illegittimo, ci sono tutti presupposti per ottenere il risarcimento del danno. Tuttavia, per non rischiare che venga sancita l’inesistenza di qualsiasi debito, si può pensare, anche per evitare eventualmente il pagamento delle spese giudiziarie, è possibile ricorrere alla rinuncia agli atti, una soluzione che porta all’azzeramento del debito.

Se una casa finisce all’asta, rischia di rimanerci e magari di essere acquistata ad un prezzo decisamente conveniente, prima che un Giudice emetta sentenza di pignoramento illegittimo. In tal caso, anche recuperare la casa in un secondo momento significa perderne una buona parte del suo valore e sottoporsi ai costi da sostenere presso il tribunale, per ottenere il risarcimento del danno, non è consigliato.

La rinuncia agli atti diventa una sorta di compromesso, dove il creditore recupera qualcosa di quanto gli spetta, cosa che non gli garantisce il prezzo di vendita di una casa venduta all’asta, mentre, dalla parte del debitore ci si assicura il “nulla a pretendere” da parte del creditore nei suoi confronti.

Su cosa si basa un pignoramento

Può capitare, e non di rado, che nel corso delle varie fasi processuali, una sentenza iniziale che sembra favorevole e dà l’avvio a un’esecuzione forzata, può venire meno o perdere parte della sua efficacia. Questo, perché l’Appello può cambiare le carte in tavola o un’opposizione al decreto ingiuntivo può essere accolto. Con una tale situazione, praticamente ribaltata, il creditore si trova da una posizione di forma che gli ha permesso di procedere con il pignoramento tramite esecuzione forzata, a passare in una situazione dove potrebbe subire anche una richiesta di risarcimento del danno.

Questa possibilità è stata ribadita da una recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite.

Abbiamo volutamente non entrare nel dettaglio delle varie fasi che porta all’esecuzione forzata, all’eventuale opposizione da essa, messa in atto dal debitore che ricorre in tribunale, solo per sottolineare che queste eventualità non sono assolutamente da scartare.

Quindi, a volte il pignoramento può essere considerato rischioso e soggetto in una fase successiva alla richiesta da parte del soggetto debitore di un risarcimento del danno per lite temeraria.

La sentenza di Cassazione

Tornando alla sentenza di Cassazione a Sezione Unite del 21 settembre 2021 citata poc’anzi, essa ha stabilito tre modi per richiedere il risarcimento del danno per lite temeraria che il tribunale liquiderà durante la sentenza:

  • in sede di cognizione, cioè nel giudizio in cui si era formato il titolo in base al quale il creditore ha agito in via esecutiva, se la causa di cognizione risulta ancora pendente, come nel caso dell’opposizione accolta avverso un decreto ingiuntivo o di una sentenza riformata;
  • davanti al giudice dell’esecuzione presso il quale è stata spiegata opposizione, se nel precedente giudizio di cognizione erano maturate preclusioni processuali o se il titolo esecutivo era di formazione stragiudiziale, come una cambiale o un assegno, e dunque il giudizio di cognizione non poteva svolgersi;
  • n un giudizio autonomo, dunque a prescindere dai precedenti processi svoltisi, se è impossibile esercitare l’azione nei modi previsti dai due casi precedenti.