Il TFR, o Trattamento di Fine Rapporto, è una porzione di retribuzione la cui riscossione viene differita al momento della fine del rapporto di lavoro, ad esempio per dimissioni o pensionamento. Nel tempo queste somme accantonate sono state disciplinate in diverso modo, tra le varie opportunità vi è quella di lasciare il TFR in azienda per poi riscuoterlo al termine del rapporto di lavoro, ciò che molti si chiedono è: il datore di lavoro può investire il TFR lasciato in azienda?
Il TFR è una spettanza del lavoratore dipendente del settore pubblico e del settore privato ed è anche conosciuto come liquidazione o buonuscita. Per calcolare il suo importo occorre tenere in considerazione la retribuzione annua e dividerla per il coefficiente 13,5, infatti la normativa stabilisce che il TFR annuale debba essere pari e comunque non superiore a tale somma. A tale somma deve essere sottratto lo 0,50% che deve finanziare il sistema previdenziale del fondo di garanzia come stabilito dall’articolo 2 comma 8 della legge 297 del 1982. Il TFR per un breve lasso di tempo è stato liquidato, a richiesta, anche in busta paga, ma l’INPS con Messaggio 2791 del 2018 ha precisato che non è più possibile fruire di tale opzione in quanto il legislatore non ha provveduto a prorogarla.
In materia un’ importante riforma si ha con il decreto legislativo 252 del 2005 in cui la gestione del TFR è riformulata con l’obiettivo di stimolare i lavoratori a utilizzare il TFR per avere una pensione integrativa. Questa modifica è stata essenziale anche perché gli importi delle pensioni maturate sono andati via via scemando a causa delle riforme del sistema pensionistico. In passato il TFR restava in azienda e il datore di lavoro normalmente lo investiva nella stessa azienda, ad esempio per acquistare nuove strumentazioni e poi provvedeva a liquidare le somme ai lavoratori accedendo a risorse aziendali proprie, naturalmente al momento di versare gli importi c’era il rischio di non avere liquidità.
Oggi è tutto cambiato ed è il lavoratore di fatto a scegliere come investire la propria liquidazione durante il dispiegarsi del rapporto di lavoro.
Occorre ricordare che la riforma entra in vigore il primo gennaio 2007 e le somme accantonate prima di tale data restano soggette alla vecchia disciplina e quindi possono restare in azienda e possono essere ancora oggi liquidate alla fine del rapporto di lavoro. Fatta questa premessa, occorre ricordare che il TFR, in seguito alla riforma, può essere lasciato in azienda ( che li gestisce solo in alcuni limitati casi) oppure investito in fondi di investimento chiusi o aperti. Il lavoratore ha sei mesi di tempo dall’inizio del contratto di lavoro per scegliere, con il modello TFR2, come utilizzare il TFR che matura di anno in anno.
Di conseguenza il lavoratore può:
Il TFR lasciato in azienda si rivaluta automaticamente ogni anno dell’1,5% a cui si aggiunge il 75% del tasso di inflazione, ma tale rendimento è solitamente inferiore a quello dei fondi di previdenza complementare. La tassazione sul TFR è comunque più elevata rispetto a quella prevista in caso di devoluzione ai fondi di previdenza complementare.
In effetti ad oggi l’unico caso in cui l’azienda ha la disponibilità diretta delle somme accantonate è quello in cui vi sono meno di 50 dipendenti. Tale condizione è comune a oltre il 90% delle aziende italiante Il lavoratore che inizialmente ha deciso di lasciare la liquidazione in azienda, in un secondo momento potrà decidere di investirlo in un fondo pensione chiuso o aperto, mentre nel caso in cui il lavoratore abbia inizialmente deciso di investirlo, non può cambiare idea e decidere di lasciare il TFR in azienda. L’INPS ha chiarito che può essere devoluto ai fondi pensione anche il TFR pregresso.
Il datore di lavoro deve liquidare le somme, su istanza del lavoratore, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, se gli investimenti del datore sono stati poco fortunati, il rischio di non avere il TFR è alto. Nel caso di mancato versamento nei termini, ricordiamo che gli stessi sono previsti nel CCNL di settore e che comunque il TFR deve essere chiesto prima di 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore può comunque agire per ottenere le somme anche attraverso il Fondo di Garanzia dell’INPS per il trattamento di fine rapporto, questo però ha un accesso limitato, infatti ci sono delle condizioni. In particolare si può chiedere l’erogazione tramite il fondo nel caso in cui l’azienda sia sottoposta a procedure di fallimento, come il concordato preventivo o la liquidazione coatta amministrativa.
Se l’azienda non è sottoposta a procedure concorsuali/fallimentari il lavoratore deve impegnarsi per ottenere le somme dal proprio datore di lavoro tramite procedure esecutive e potrà accedere al fondo solo nel caso in cui dimostri di aver percorso tutte le strade possibili per ottenere il TFR dal datore di lavoro, ma le stesse non hanno avuto esito positivo.
A questo punto occorre ricordare che il datore di lavoro potrebbe anche omettere il versamento ai fondi pensione, in questo caso è onere del lavoratore controllare che i versamenti siano eseguiti e in caso di mancato versamento è bene sollecitare il datore di lavoro affinché li esegua e, se l’esito è negativo, può procedere per vie legali.
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