Con il termine rientro dei cervelli si intende il rientro in Italia di lavoratori impatriati e in particolare di ricercatori e docenti che nel tempo hanno trovato prospettive di lavoro migliori all’estero impoverendo così notevolmente il settore della ricerca in Italia.
Abbiamo già visto la disciplina di agevolazioni per i lavoratori impatriati, quella invece prevista per il rientro dei cervelli è parzialmente diversa cambiano infatti i requisiti per poter accedere e l’ammontare dei benefici riconosciuti.
Si rimanda all’articolo sui lavoratori impatriati per la relativa disciplina: Regime agevolato per gli impatriati: ulteriore estensione del beneficio
Mentre qui ci occuperemo in modo specifico della disciplina per il rientro dei cervelli.
La prima cosa da capire è chi sono i potenziali beneficiari delle agevolazioni. Deve trattarsi di:
Al verificarsi di tali requisiti il Decreto Legge 78 del 2010, articolo 44, riconosce il vantaggio di esenzione dalla formazione della base imponibile IRPEF del 90% dei redditi prodotti. Inizialmente tale beneficio aveva la durata di 4 anni dal momento del rientro, mentre attualmente gli anni per i quali si può usufruire del beneficio sono 6 periodi di imposta.
Sono previsti ulteriori periodi di agevolazione per coloro che hanno dei figli minori. In questo caso per coloro che trasferiscono la residenza dal 2020 il beneficio ha durata di:
La legge di bilancio 2021 inoltre ha provveduto a un’ulteriore estensione dei benefici, il comma 50 dell’articolo 1, la Legge numero 178 del 2020 un ulteriore prolungamento del regime agevolato.Dal punto di vista soggettivo il beneficio viene riconosciuto anche a coloro che hanno provveduto a trasferire al residenza in Italia prima del 30 aprile 2019 . Al verificarsi di queste condizioni l’abbattimento dell’imponibile è al 50%.
Le modalità per accedere a tali benefici sono diverse a seconda che il richiedente sia un lavoratore dipendente o autonomo.
L’Agenzia delle Entrate sottolinea che nel primo caso, cioè docente ricercatore con contratto di lavoro dipendente è necessario presentare una richiesta scritta al datore di lavoro in cui sono indicate le generalità del richiedente, la data del rientro in Italia e la dichiarazione di voler accedere ai benefici visti.
In questa, che può essere definita anche un’autocertificazione, il richiedente deve anche indicare che si impegna a comunicare tempestivamente ogni variazione di residenza e di non beneficiare degli incentivi/agevolazioni per il rientro dei lavoratori e per gli impatriati ( i due regimi sono quindi alternativi e non possono essere cumulati).
I lavoratori autonomi hanno invece due modalità per accedere al beneficio, direttamente con la loro dichiarazione dei redditi, oppure attraverso una richiesta scritta diretta ai committenti che applicanola ritenuta di imposta. Anche in questo caso, come in precedenza, è necessario che la dichiarazione sia completa dei dati prima visti. In questo caso il committente opera la ritenuta d’acconto del 20% sull’imponibile ridotto.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che non si applicano tali benefici quando c’è continuità contrattuale, ad esempio nel caso in cui si rientra in Italia in smartworking.
Deve essere sottolineato che in realtà questa è la disciplina vigente, ma le norme per il rientro dei cervelli si sono susseguite dal 2010 e da allora deve essere registrato un dato che sicuramente provoca perplessità, infatti da una ricerca condotta dall’associazione Controesodo emerge che in realtà ci sono percentuali altissime di “cervelli” che vanno via dopo poco, il dato più allarmante è quello del 2017, anno in cui sono rientrati circa 2.000 ricercatori/docenti e sono andati via 1610. Fino al 2017, anno di cui abbiamo i riferimenti, sono rientrati 14.000 lavoratori, ma sono andati via oltre la metà cioè il 50,23%. A rendere difficile la permanenza in Italia sono le prospettiva di carriera poco allettanti, ma anche il fatto che il protrarsi delle agevolazioni è legato alla presenza di figli.
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