Partita Iva, cosa fare per passare al regime forfettario nel nuovo anno da quello ordinario?

Cosa devono fare e verificare le partite Iva per passare al più conveniente regime forfettario nel prossimo anno se provengono da quello ordinario? È necessario procedere a delle verifiche e controlli per poter capire se si può rientrare nel meccanismo agevolato che consente di beneficiare dell’Irpef al 5% o al 15% dal 2022. Ciò in considerazione del fatto che per le partite Iva non dovrebbero esserci grandi sconvolgimenti nella relativa normativa. Proprio in virtù dei vantaggi previsti dai commi 54-89 dell’articolo 1 della legge numero 190 del 2014, molti professionisti potrebbero prendere in considerazione il transito verso il regime forfettario.

Partite Iva, passare al regime forfettario: viene meno l’obbligo di rimanere per tre anni nel regime ordinario

A favorire il passaggio dal regime ordinario della partita Iva a quello forfettario è innanzitutto il cadere dell’obbligo di permanenza nell’ordinario per tre anni. Ciò anche in deroga a quanto prevede il comma 70 dell’articolo 1 della legge numero 190 del 2014. Infatti, la norma prevede che le partite Iva del regime ordinario rimangano vincolate per almeno tre anni al regime fiscale. Questa norma ha l’eccezione in quanto stabilito dalla Direzione dell’Agenzia delle entrare Emilia Romagna con la risposta all’interpello numero 909 1960 del 27 settembre 2021. I professionisti che abbiano un regime ordinario possono, infatti, optare per il cambio al più vantaggioso regime forfettario anche prima del decorrere dei tre anni di vincolo.

Scelta della partita Iva a regime forfettario: il vincolo dei ricavi

Nel passaggio dal regime ordinario di partita Iva al forfettario è indispensabile verificare i ricavi. Il limite fissato dal regime forfettario è di 65 mila euro annui, superati i quali non è possibile l’accesso. Il limite di ricavi deve essere calcolato dai professionisti applicando solo il meccanismo di cassa: ciò quindi, a prescindere dalle fatture emesse, comporta che nel calcolo debbano essere considerati gli incassi effettivi nel 2021 per verificare la possibilità di accesso, nel 2022, al regime forfettario.

Passaggio dal regime forfettario di partita Iva al regime ordinario e viceversa

Peraltro, la possibilità che si entri ed esca dal regime forfettario di partita Iva a seconda degli incassi percepiti nell’anno può ripetersi nel corso del tempo. Ad esempio, una partita Iva aperta a regime forfettario, che sia stata obbligata dal superamento dei 65 mila euro di ricavi ad accedere al regime ordinario, può tornare al regime forfettario nell’anno successivo a quello nel quale non abbia superato il limite dei ricavi. Pertanto, le partite Iva che nel 2021 siano state obbligate al passaggio al regime ordinario per ricavi superiori ai 65 mila euro nel 2020, nel 2022 potranno tornare nel forfettario se nel 2021 non hanno superato la soglia di ricavi. Fa eccezione il regime minimo del 5%: una volta usciti, non si può più rientrare.

I requisiti per passare dal regime ordinario a quello forfettario della partita Iva

Gli altri requisiti per i passaggio della partita Iva dal regime ordinario a quello forfettario sono disciplinati dal comma 9 della legge numero 145 del 2019. Detti requisiti sono validi per tutte le posizioni delle partite Iva a regime forfettario. In particolare, la norma prevede come condizione di accesso, i limiti di spesa affrontati per il personale dipendente pari a 20 mila euro al lordo. Nello stesso limite devono rientrare anche le spese per il lavoro accessorio.

Un ulteriore requisito per il passaggio dal regime ordinario a quello forfettario della partita Iva è quello relativo ai rapporti con i datori di lavoro. In questo caso, il divieto riguarda le partite Iva a regime ordinario che si avvalevano o si avvalgono di rapporti con il datore di lavoro nello svolgimento della propria attività. Il limite temporale di detto divieto riguarda gli ultimi due periodi di imposta precedenti. Il divieto non è assoluto, ma relativo. Infatti, è necessario verificare che quanto incassato nei rapporti con il datore di lavoro non superi il 51% del totale dei compensi della partita Iva.