Quando il datore di lavoro può pagare in contanti i lavoratori?

La tracciabilità dei flussi di denaro è uno dei modi in cui lo Stato combatte l’evasione fiscale e proprio per questo la legge stabilisce che anche le prestazioni lavorative debbano essere pagate con strumenti tracciabili, ma vi sono dei casi in cui il datore di lavoro può pagare in contanti i lavoratori. Ecco le specifiche e i limiti all’uso dei contanti.

Obbligo di pagare i lavoratori con strumenti tracciabili

La legge 205/2017, legge di bilancio per il 2018, all’articolo 1 comma 910 stabilisce che dal primo luglio 2018 i datori di lavoro o committenti debbano usare strumenti tracciabili per il pagamento delle prestazioni lavorative. In particolare i lavoratori devono essere pagati con:

  • bonifico su IBAN indicato dal lavoratore;
  • strumenti di pagamento elettronici, ad esempio il POS, carte pre-pagate;
  • assegno o vaglia consegnato al lavoratore o a un suo delegato (la delega è possibile solo in caso di comprovata impossibilità di pagamento al lavoratore, può essere in favore del figlio almeno sedicenne, del coniuge o del convivente, familiare in linea retta o collaterale);
  • infine, può essere disposto il pagamento in contanti presso una banca o un ufficio postale, ma anche in questo caso il pagamento è comunque tracciabile perché vi è la presenza di un intermediario. Il datore di lavoro quindi non paga direttamente in contanti il lavoratore. Il pagamento deve essere disposto presso una banca o un ufficio postale dove il datore di lavoro abbia un conto corrente e dietro mandato di pagamento.

Nel caso in cui si dovesse contravvenire a queste regole, è prevista la somministrazione di una sanzione amministrativa compresa tra 1.000 euro e 5.000 euro. Non sono previste conseguenze penali.

Eccezioni: quando il datore di lavoro può pagare in contanti il lavoratore?

Vi sono limitati episodi in cui è possibile il pagamento in contanti delle prestazioni lavorative. Si tratta del caso in cui il pagamento avvenga in favore di stagisti, tirocinanti, colf, badanti e collaboratori occasionali.

Non solo, infatti vi sono alcune tipologie di “pagamenti” che possono essere effettuati in contanti, vediamo quindi quando il datore di lavoro può pagare in contanti i lavoratori.

Con la nota 16 luglio 2018, n. 6201 l’Ispettorato del Lavoro ha fatto sapere che non vi è l’obbligo del pagamento con strumenti tracciabili nel caso in cui le somme siano erogate per elementi diversi rispetto alla vera e propria retribuzione.

Questo implica che è possibile pagare in contanti i rimborsi spese, le spese di trasferta, gli anticipi di cassa, spese di vitto e alloggio. Anche in questi casi è però necessario prestare attenzione, infatti il pagamento in contanti di questi importi incontra un altro limite, cioè il limite all’uso dei contanti. Per il 2021, ormai agli sgoccioli, esso è fissato a 2.000 euro, ma per il 2022 il limite viene abbassato a 1000 euro. Questo vuol dire che il datore di lavoro potrà pagare la trasferta al dipendente in contanti per un importo massimo di 999,99 euro. La violazione di questa norma porta all’applicazione di sanzioni specifiche previste per il divieto di uso di contanti e quindi da 1.000 euro a 50.000 euro.

Ricordiamo inoltre che le spese di trasferta concorrono a formare il reddito del dipendente, mentre le spese per il vitto, l’alloggio, il viaggio e il trasporto fuori dal Comune di lavoro non concorrono a determinare il reddito, tali spese devono comunque essere documentate.

Per maggiori informazioni sulla tassazione dell’indennità di trasferta, leggi l’articolo: indennità di trasferta: come funziona il rimborso della diaria?

E

Trasferte fisse e occasionali: quando sono dovuti i contributi

Nadia Pascale

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