Trovato l’accordo sulla stretta antidelocalizzazioni tra il ministro per lo Sviluppo Economico Giorgetti e il ministro del Lavoro Orlando, con la partecipazione ai lavori del ministro dell’Economia Daniele Franco. Il testo è frutto soprattutto del lavoro del vice ministro dello Sviluppo Economico Alessandra Todde.
Le norme antidelocalizzazione hanno l’obiettivo di “punire” le imprese sane che decidono di delocalizzare le loro produzione e non presentano un piano per il reiserimento lavorativo dei lavoratori che a causa di tale delocalizzazione perdono il posto di lavoro. La delocalizzazione purtroppo è una pratica molto odiata dai lavoratori, dai sindacati e anche dai vari governi che si sono succeduti, infatti produce disoccupazione, espone il welfare a dover corrispondere indennità e sussidi a lavoratori che spesso è difficile ricollocare nel mondo del lavoro, la delocalizzazione va ad incidere negativamente sul PIL, riduce le entrate tributarie, di fatto impoverisce il Paese. Allo stesso tempo è una pratica molto usata dalle imprese per tenere sotto controllo il costo del lavoro anche per quanto riguarda l’aspetto contributivo e assicurativo.
Gli incentivi offerti alle aziende d’altronde non hanno fatto molta breccia nel cuore degli imprenditori, infatti non sono serviti molto gli sgravi per le assunzioni degli under 36 e allora si procede alla stretta sulle delocalizzazioni.
L’accordo raggiunto dai ministri Orlando e Giorgetti si applica alle PMI che hanno oltre 250 dipendenti e che sono sane, di conseguenza si tratta di aziende che non hanno particolari difficoltà e di conseguenza possono restare in Italia.
La stretta antidelocalizzazioni si applica alle imprese viste in precedenza che decidano di chiudere una:
La chiusura deve determinare la perdita di lavoro per oltre 50 dipendenti.
Al verificarsi di ciò l’azienda è obbligata a compiere determinati passi preventivi, cioè:
La comunicazione deve essere inviata almeno 90 giorni prima rispetto alla data prevista per il licenziamento/dismissione e deve essere dettagliata. Se non si rispettano questi primi passi, i licenziamenti sono nulli.
Fatta la comunicazione vi sono ulteriori 60 giorni di tempo per l’impresa/datore di lavoro per elaborare un piano volto a limitare le ricadute occupazionali di tale scelta imprenditoriale. Il piano deve essere presentato a sindacati, Regioni e Ministeri prima visti e deve essere discusso e alla fine sottoscritto con i sindacati (naturalmente questi possono ritenerlo non conveniente e non sottoscriverlo).
Nel caso in cui le procedure viste non siano rispettate, saranno applicate sanzioni. In particolare, viene si applica il raddoppio del contributo del 41% a carico del datore di lavoro sul sussidio NASPI. Se non si procede alla sottoscrizione dell’accordo sindacale, il contributo per i licenziamenti collettivi aumenta di un ulteriore 50%. Questo quanto emerge dalla bozza dell’accordo sottoscritto.
Giudizi positivi sulla bozza sono stati espressi da Enrico Letta, Segretario del PD, l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Maggiormente critico è invece Fratoianni segretario nazionale di Sinistra Italiana perché in questo modo diventa acquistabile il diritto di licenziare, inoltre la norma andrebbe a ledere le medie imprese, ma non le multinazionali per cui questi “costi” sono irrisori. Non molta soddisfazione è stata espressa anche da Emilio Miceli, segretario confederale della Cgil.
La stretta sulle delocalizzazioni è frutto di recenti fatti di cronaca che hanno visto molti lavoratori perdere il lavoro come i dipendenti di GKN, Embraco, Whirlpool e Saga Coffee.
Occorre ricordare che anche il decreto Dignità prevede sanzioni a carico delle imprese che decidono di delocalizzare la produzione, questo provvedimento stabilisce l’obbligo di restituire eventuali aiuti pubblici ricevuti in misura raddoppiata.
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