Lasciata alle spalle l’idea di portare l’età di uscita per la pensione a 62 anni in misura flessibile, il governo mira ad una riforma meno larga ma pur sempre di importanza rilevante. L’età di uscita che si prevede di utilizzare per rispondere all’esigenza di flessibilità del sistema previdenziale è quella dei 64 anni. Lo dimostra il fatto che proprio 64 anni è l’età di quota 102, la nuova misura che ha sostituito la cessata quota 100.
Ma a 64 anni c’è pure la pensione anticipata contributiva, misura strutturale che consente di accedere alla quiescenza con qualche anno di anticipo rispetto alla normale pensione di vecchiaia. Il mix di queste due misure, una nuovissima e l’altra ormai fissa nel nostro ordinamento, potrebbe essere la soluzione ideale per riformare il sistema e portare un po’ indietro l’età di uscita.
Sia la pensione anticipata contributiva che la quota 102 hanno nei 64 anni l’età minima di uscita dal mondo del lavoro. E questa è l’unica cosa che accomuna le due misure. Le differenze infatti sono abbastanza sostanziali. Per capire cosa c’è di diverso, vanno approfonditi i requisiti di entrambe. La quota 102 è una misura:
La pensione anticipata contributiva invece è:
Sostanziali le differenze, come è evidente in base ai sopracitati requisiti. Una misura è aperta a tutti i lavoratori, a prescindere dalla data di inizio della carriera contributiva e a prescindere dall’importo della pensione. Ma è una misura che ha un montante contributivo da completare, enorme, pari come dicevamo a 38 anni.
L’altra invece sembra più vicina alla pensione di vecchiaia ordinaria, che si completa con 67 anni di età e 20 anni di contributi rispetto ai 64 anni di età con 20 di contributi della nostra misura. Ma per entrare nel suo perimetro, occorre essere un contributivo puro.
Adesso si ragiona su come riformare il sistema. Serve maggiore flessibilità di quella attuale, nel senso che si deve dare la possibilità ai lavoratori di scegliere quando andare in pensione. Detto che la richiesta dei sindacati, di una pensione flessibile dai 62 anni con 20 anni di contributi appare improponibile, altrimenti non avrebbe avuto senso interrompere quota 100 che fissava a 62 anni l’etàdi uscita, quali sarebbero le soluzioni?
L’estensione a tutti i lavoratori dei benefici della pensione anticipata contributiva sarebbe ideale. Certo, occorre rivedere alcune cose. Per esempio, il limite della pensione a 2,8 volte l’assegno sociale è piuttosto elevato. Significa una pensione pari almeno a poco più di 1.300 euro al mese che per chi ha carriere di soli 20 anni di contributi o poco più, è difficilmente raggiungibile.
Limitare questo vincolo, magari portandolo a 1,5 volte l’assegno sociale, come è per le pensioni di vecchiaia ordinarie per i contributivi puri, sarebbe una soluzione di buon senso.
Non c’è misura che consente di uscire prima dal lavoro che non graverà sui conti pubblici. Per questo ogni ipotesi, ogni misura, viene studiata partendo dalle penalizzazioni. Le misure devono consentire di uscire prima dal lavoro, ma costringendo il lavoratore a pagare un pegno. Sono soluzioni votate a rendere meno appetibili queste misure, riducendo i potenziali beneficiari, e facendo risparmiare soldi allo Stato. Ma sono soluzioni che mirano al risparmio a lungo termine, perché se un pensionato accetta un assegno inferiore, significa che alla lunga, pur concedendo più anni di pensione, lo Stato arriverebbe a risparmiare sull’esborso.
Nulla di nuovo in quello che abbiamo detto. Per questo si pensa a concedere le uscite flessibili anticipate (ma non molto), ma penalizzando i lavoratori. Vuoi andare in pensione prima? Ok, ma devi rimetterci qualcosa. È il principio cardine della flessibilità, perché senza penalizzazioni una misura flessibile diventerebbe secca alternativa alle misure ordinarie. Chi resterebbe al lavoro fino a 67 anni se a 64 anni si prenderebbe un assegno più o meno identico di importo? Nessuno.
La quota 102 così com’è tutto può essere tranne che considerata una misura flessibile. Infatti taglia fuori la maggior parte die lavoratori. Si tratta di quanti non hanno carriere talmente lunghe da completare i 38 anni di contribuzione richiesta. Lavoratori discontinui, saltuari, stagionali, le donne. Sono lo spaccato di chi difficilmente a 64 anni si ritrova ad aver iniziato la carriera a 26 anni e in continuità fino ad oggi. Meglio abbassare il tiro a 20 anni quindi.
Estendere la pensione anticipata contributiva a chi ha 64 anni di carriera e 20 di contributi anche se alcuni versati in epoca retributiva, apre a due vie di penalizzazione. O si applica il taglio lineare di assegno, magari partendo da un 2/3% per ogni anno di anticipo, quindi arrivando al 6% o al 9% di taglio, o si estende il calcolo contributivo anche ai periodi di lavoro precedenti il 1996.
In tutto questo va considerato il fatto che il solo fatto di uscire 3 anni prima dal lavoro, espone a due penalizzazioni fisse. La prima è meccanica, nel senso che si tratta di uscire con 3 anni in meno di lavoro e contribuzione per chi è in continuità di impiego. La seconda è tecnica, perché il coefficiente di trasformazione usato per chi esce a 64 anni e meno favorevole rispetto a chi esce a 67 anni. In pratica, uno stesso montante dei contributi produce una pensione più bassa se l’età di uscita è più bassa.
E per chi ha molti anni versati prima del 1996, avendo diritto ad un calcolo della pensione che per quella parte di carriera è basato sulle ultime buste paga e non sulla contribuzione, è un aspetto negativo piuttosto marcato.
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