Versare i contributi previdenziali è utile a tutti i lavoratori, sia dipendenti che autonomi. Ma se per i primi ci pensa il datore di lavoro, per i secondi occorre fare tutto da soli. I contributi servono per il futuro, per poter andare in pensione quando sarà il momento di lasciare l’attività lavorativa. Oltre che utile, versare i contributi è anche obbligatorio per legge. I contributi devono essere obbligatoriamente all’Inps, anche dal lavoratore autonomo e fin dall’avvio di una attività lavorativa. Non versarli oltre che dannoso per la pensione futura, può essere pericoloso dal punto di vista amministrativo.
Trovarsi a 67 anni a provare ad andare in pensione, con la quiescenza di vecchiaia, ma verificare di non averne diritto. È ciò che spesso accade a chi non ha raggiunto il requisito minimo dei contributi da versare. Ma vale lo stesso per chi punta a prestazioni previdenziali anticipate quali la quota 100, la quota 102, la pensione anticipata ordinaria, la quota 41 e così via. In genere oltre ad una determinata età (ma a volte l’anagrafica non conta per misure di pensionamento anticipato), è necessario raggiungere una determinata carriera contributiva. Per la pensione di vecchiaia servono 20 anni di contributi. CI sono poi 41 anni da raggiungere per la relativa quota 41, 42 anni e 10 mesi per le pensioni anticipate per gli uomini o 41 anni e 10 mesi per le donne. E poi, 38 anni per la quota 102 o la vecchia quota 100, 36 anni per i gravosi e l’ape sociale, 35 per opzione donna e lo scivolo usuranti, 15 anni per le deroghe Amato e perfino 5 anni per la pensione di vecchiaia contributiva.
Fatta questa opportuna premessa, è evidente che versare i contributi sia assolutamente necessario. Basti pensare a chi si trova già a 67 anni di età ma senza aver completato i 20 anni di contributi. Questo lavoratore, nonostante l’età, non potrà accedere alla quiescenza. E se si tratta di un lavoratore autonomo che ha l’attività da oltre 20 anni, probabilmente dipende dal fatto che non ha provveduto, come regola vuole, a versare i contributi. Il primo effetto evidente del mancato versamento dei contributi anche se obbligatori, è il non poter andare in pensione. E non è cosa da poco già questa. La contribuzione previdenziale va interpretata come un autentico patrimonio. Ma per carenze economiche e mancanza di liquidità, spesso sono proprio i lavoratori autonomi a non adempiere questo obbligo.
I versamenti devono essere periodici, fatti cioè a cadenza trimestrale ogni anno di attività. Tutti devono versare, anche chi non è iscritto all’Inps ma ad un’altra cassa previdenziale come accade a determinati professionisti per esempio. I contributi per il lavoratore autonomo sono commisurati al reddito prodotto. E se il problema pensionistico futuro è già abbastanza rilevante, non è da meno il carattere sanzionatorio che la legge impone a chi non provvede a versare nei termini quanto dovuto.
Nel caso emergano mancanze o irregolarità nei versamenti contributivi, il lavoratore inadempiente deve versare oltre al corrispettivo dei contribuiti omessi, anche le relative sanzioni ed eventuali interessi.
Che l’Inps non si renda conto che un lavoratore autonomo non ha versato i contributi è una speranza che resta vana visto ciò che accade oggi. L’incrocio delle banche dati consente all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale italiano di avere ben chiaro il quadro di ogni contribuente, lavoratore autonomo compreso. I altri termini, è assai facile che l’Inps noti subito il mancato arrivo del corrispettivo dovuto dal contribuente.
Ed in genere l’Istituto Previdenziale parte con l’avviso bonario, in cui si segnala la carenza e si intima il contribuente a provvedere a sanare la situazione. Già con l’avviso bonario l’Inps specifica all’inadempiente che deve versare quel trimestre di contribuzione omessa, con l’aggiunta di determinati e prima calcolati interessi e sanzioni. Naturalmente parliamo di sanzioni ed interessi in misura ridotta vista la celerità dell’avviso da parte dell’Inps. Non si arriva a superare il 10% di somme aggiuntive da versare.
Partendo da un presupposto fisso, e cioè che chi non ha versato è in difficoltà (ma ci sono casi di omessi versamenti per semplice dimenticanza), l’Inps concede la possibilità di rientro rateale. Il lavoratore autonomo inadempiente potrà ottenere dall’Inps la rateizzazione delle somme dovute. La mancata risposta all’avviso bonario, cioè il protrarsi dell’omesso pagamento, porta a conseguenze ben peggiori. Una volta che l’Inps ha compreso che chi era inadempiente resta tale, non potrà che passare il credito vantato all’Agente della Riscossione. In pratica, si passa alla cartella esattoriale. Il debito contributivo del contribuente passerà a ruolo, cioè finirà nelle mani di Agenzia delle Entrate Riscossione.
E gli importi dovuti salgono esponenzialmente e si passa da quel 10% dell’avviso bonario, al30% op più di somme aggiuntive da versare.
Le conseguenze diventano ben più gravi per il lavoratore che non ha regolarizzato la sua posizione contributiva in precedenza e finisce nelle mani del concessionario alla riscossione. Parliamo infatti di cartelle esattoriali di Agenzia delle Entrate Riscossione. L’iscrizione a ruolo di un debito, anche contributivo, espone il lavoratore autonomo alle procedure per l’esecuzione forzata. L’Agenzia delle Entrate Riscossione ha il potere di passare a pignoramenti, espropri e confische. Conto corrente, veicoli e immobili diventano a rischio con il protrarsi del mancato pagamento.
Arrivare alla cartella esattoriale è sempre sconsigliabile proprio per via del potere dell’Agenzia delle Entrate Riscossione di passare alle maniera forti nei confronti di un contribuente inadempiente. Tra l’altro esistono anche strumenti che consentono rientri meno dolorosi per il lavoratore autonomo.
Per esempio, utilizzando il cosiddetto ravvedimento operoso, strumento con il quale il lavoratore può di fatto fare ammenda. In pratica, pagando un minimo di interessi e sanzioni, può mettersi a posto senza grossi danni. Va ricordato anche che pure le cartelle possono essere pagate a rate, sempre previo accordo con l’Agenzia delle Entrate Riscossione. Occorre presentare richiesta di rateizzazione. In questo caso, tranne che per provvedimenti di sanatoria delle cartelle come la rottamazione o il saldo e stralcio, le rate presuppongono il caricamento di ulteriori interessi. La somma da versare tende così a salire sempre di più.
Ecco perché anche il ravvedimento operoso può essere una soluzione più idonea a non appesantire più del dovuto una posizione debitoria per i contributi non pagati.
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