Bufera nella PA: salta la deroga al tetto degli stipendi dei manager pubblici

E’ bufera nella p.a, con il tetto degli stipendi dei manager pubblici che prima salta, e poi invece ricompare la deroga, quindi cos’è successo?

Bufera nalla p.a., salta o no il tetto sugli stipendi dei manager pubblici?

Sono stati due giorni in cui, in poche ore, si è detto tutto l’opposto di tutto. Tanto che anche l’imperturbabile Presidente del Consiglio uscente, Mario Draghi, ha detto la sua. Cosa gli ha fatto perdere la tranquillità? Il pericolo che fosse saltato il tetto sugli stipendi dei manager pubblici.

Martedì scorso il Senato approva la conversione in legge del Decreto aiuti bis, per il quale sono già stati stanziati 17 miliardi di euro. Lo stesso decreto contiene un emendamento per introdurre una deroga al tetto degli stipendi dei manager della pubblica amministrazione. Il tetto prevede un massimo di 240 mila euro lordi l’anno. Ma dopo la bufera tra partiti, stampa e p.a. sembra che la deroga al tetto degli stipendi sarà eliminata.

Bufera nella p.a., tutta colpa del tetto, ma cos’è?

Il tetto stabilisce che le figure più importanti della pubblica amministrazione possano avere uno stipendio massimo di 240 mila euro lordi all’ano. E’diventato legge nel 2014 ed è ancora in vigore. Tuttavia l’importo annuo  stabilito include anche i “Trattamenti accessori“, cioè tutto ciò che si aggiunge allo stipendio base. Anche se questi constituiscono la parte più grande della retribuzione per i gradini più altri della gerarchia dello stato.

Tra queste figurano rientrano anche i vertici delle forze armate e dei Ministeri. In particolare, per quanto riguarda le Forze armate, l’emendamento coinvolge queste figure: il Capo della polizia, i comandanti generali di Carabinieri e Guardia di finanza, il capo dell’amministrazione penitenziaria, il capi di Stato maggio di difesa e Forze armante, il comandante del Comando operativo di vertice interforze, e il comandante generale delle Capitanerie di Porto.

Cosa succede adesso?

Oggi le camere si sono riunite per procedere all’approvazione del decreto aiuti bis. L’emendamento governativo che rimette il tetto generalizzato agli stipendi sarà votato domani dalla Camera, e il decreto Aiuti-bis tornerà in Senato il 20: richiamando a Palazzo Madama senatori impegnati nella campagna elettorale o nel ritorno al vecchio lavoro.

Inoltre mancano circa 10 giorni al voto del 25 settembre, e ci respira un clima politico più confuso che mai. Infine il premier Draghi sembra essersi irritato in quanto l’emendamento sarebbe stato modificato senza informare il Governo. Se così fosse sarebbe molto grave, e soprattutto la bufera non sembra volersi placare.

 

 

 

Francesca Cavaleri

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