Sappiamo che vi sono reati che precludono la possibilità di ottenere il Reddito di Cittadinanza, ma la Corte di Cassazione, Sezione Penale, con la sentenza 38383 del 2022 ha posto un limite a tale diniego stabilendo che l’interdizione perpetua dai pubblici uffici non preclude la possibilità di accedere a tale agevolazione. Ecco cosa dice la sentenza.
Nell’ambito di un’indagine per truffa finalizzata all’ottenimento di erogazioni pubbliche, una persona ha visto effettuare il sequestro delle somme in quanto 30 anni prima della richiesta del reddito di cittadinanza aveva avuto una condanna, con sentenza definitiva, per aver commesso il reato di rapina e sequestro di persona. Tra le pene accessorie per tale reato vi era l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Sulla base di questa pena accessoria, il tribunale di Vibo Valentia aveva disposto la decadenza dal beneficio del reddito di cittadinanza e il sequestro delle somme erogate. Tale sanzione si commina in applicazione dell’articolo 28 comma 5 del codice penale il quale stabilisce che coloro che sono condannati all’interdizione perpetua dai pubblici uffici non possono percepire stipendi, pensioni e altri assegni che siano a carico dello Stato o di altri enti pubblici.
La Corte di Cassazione è però stata di contrario avviso e in particolare non ha ricompreso il reddito di cittadinanza tra gli emolumenti previsti dall’articolo 28 comma 5 del codice penale. Secondo i giudici della Suprema Corte, il reddito di cittadinanza non può essere parificato agli emolumenti prima visti in quanto viene caricato su Carta Acquisti non utilizzabile liberamente in tutti gli esercizi commerciali.
Trattasi invece di una “prestazione assistenziale finalizzata a soddisfare le proprie esigenze di vita” . In tal senso si è espresso anche il Ministero del Lavoro interpellato sul punto dall’INPS. La Corte di Cassazione sottolinea inoltre la natura ibrida del reddito di cittadinanza, infatti si tratta di una misura che include anche le politiche attive del lavoro con formazione e interventi volti ad evitare l’esclusione sociale. Trattasi di una misura di contrasto alla povertà e alla disuguaglianza e visto che comunque la pena in Italia è volta anche alla rieducazione del condannato, non avrebbe senso escludere una persona che si trova in tale situazione da politiche volte proprio alla rieducazione e reinserimento sociale.
A ciò si aggiunge che la disciplina del Reddito di Cittadinanza contiene già dei casi di esclusione e in particolare prevede che per poter ottenere il sussidio è necessario che siano intercorsi 10 anni dalla sentenza di condanna definitiva. Nel caso in oggetto gli anni effettivamente intercorsi sono invece già 30, quindi il soggetto poteva tranquillamente presentare la domanda. Inoltre la natura afflittiva delle sanzioni penali impongono la loro applicazione letterale senza estensione a ipotesi simili ma non uguali. In nessun punto la normativa prevista per il reddito di cittadinanza impedisce l’erogazione del RdC a coloro che sono condannati all’interdizione e di conseguenza non è possibile un’applicazione per analogia.
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