Phishing e cybersicurezza: prestare il conto per riciclare il denaro è reato

phishing

La cybersicurezza è uno dei temi caldi di questo periodo, infatti gli attacchi hacker negli ultimi mesi si sono molti moltiplicati mettendo in allarme società e persone che rischiano di vedere esposti i dati personali. Naturalmente, sebbene non vi sia una normativa specifica per la tutela dal cyber crimine, si stanno stratificando massime che derivano da sentenze che applicano norme generali previste dal nostro ordinamento. L’ultima importante sentenza della Corte di Cassazione è la 6395 del 2023, che applica le norme sul riciclaggio di denaro proveniente da illeciti anche al phishing. Ecco cosa dice la sentenza.

Reato di riciclaggio per chi mette a disposizione il proprio conto per ricevere somme derivanti da phishing

La preoccupazione crescente in tema di cybersicurezza si nota in molte decisioni dei vari governi a livello globale e tra queste la scelta di vietare alcuni social, come Tik Tok.

Leggi anche: Tik Tok sarà vietato? Perché molti governi stanno vietando l’uso del social?

Naturalmente vi è l’esigenza di tutelare aziende e persone e mentre l’Unione Europea sceglie di fornire consigli alle aziende per proteggersi dagli attacchi, i vari Giudici sono chiamati a reprimere le condotte criminose.

La pronuncia della Corte di Cassazione va a punire un soggetto che ha ricevuto sul proprio conto corrente denaro proveniente dal reato di phishing, si tratta di una pratica volta a clonare i dati bancari di un soggetto introducendosi abusivamente in un sistema informatico altrui ( articolo 615 ter del codice penale).

La vicenda: condanna per riciclaggio a chi mette a disposizione il conto anche se non partecipa attivamente al reato

Il ricorrente era stato condannato dal Tribunale di secondo grado, non per aver perpetrato il reato di truffa, ma per aver messo a disposizione il proprio conto corrente per ricevere denaro proveniente dalla violazione degli articoli 615 ter, 640 e 617 quater del codice penale. Sottolinea la Corte di Appello che il ricorrente “ mettendo il proprio conto postale a disposizione degli hacker aveva posto in essere un passaggio necessario per far perdere le tracce del reato”.

La sentenza condanna l’imputato che ha messo a disposizione il conto corrente non per truffa (articolo 640 codice penale, punisce chiunque con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a se’ o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno), in quanto il soggetto non aveva partecipato a tale condotta, ma per riciclaggio ( articolo 648 bis del codice penale).

Sottolinea inoltre che integra il reato di riciclaggio la condotta di chi pur: senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione la propria carta prepagata per ostacolare la provenienza delittuosa delle somme da altri ricavate dall’illecito utilizzo di una carta donata, consentendo il versamento del denaro in precedenza prelevato al bancomat dal possessore di quest’ultima [… ] ovvero consentendo il diretto trasferimento, sulla predetta carta prepagata, delle somme ottenute dal possessore della carta clonata con un’operazione di “ricarica” presso lo sportello automatico.