Storica sentenza della Corte Costituzional, ha sancito la legittimità costituzionale del taglio alle pensioni d’oro. Ecco perché e chi ha perdite economiche.
La legge di Bilancio 2023 ha previsto misure di raffreddamento della rivalutazione (la c.d. perequazione automatica), a partire dalle pensioni d’importo oltre quattro volte il minimo Inps (2.101 euro).
Per effetto delle norme introdotte nell’anno 2023 la rivalutazione delle pensioni è stata riconosciuta integralmente solo alle pensioni fino a quattro volte il minimo dell’Inps. A quelle superiori, invece, è stata riconosciuta in misura decrescente:
Le Corte dei Conti delle regioni Toscana e Campania hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale per tali norme.
I ricorsi presentati contestano il taglio della rivalutazione che, ordinariamente, (dal 1° gennaio 2001), andrebbe applicata: al 100% alle pensioni fino a tre volte il minimo; al 90% tra tre e cinque volte; al 75% a quelle superiori a cinque volte. Si tratterebbe quindi di tagli di minore importo.
La Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza 19 del 2025, ricorda che la rivalutazione delle pensioni è una misura volta ad adeguare gli importi al costo della vista in considerazione della spinta inflazionistica, ma che la stessa deve assicurare il rispetto dei principi di sufficienza e di proporzionalità della retribuzione.
Si deve quindi riconoscere discrezionalità del legislatore nel determinare il quantum di tutela da accordare di volta in volta, alla luce delle risorse disponibili. Il tutto alla luce del fatto non c’è nel nostro ordinamento una norma di rango costituzionale che imponga l’adeguamento annuale di tutte le pensioni. A ciò si aggiunge la non irragionevolezza della scelta visto che le pensioni più alte hanno una maggiore margine di resistenza alle spinte inflazionistiche e c’è necessità di tutale dei lavoratori più giovani.
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