Affitti brevi i Comuni non possono vietarli o limitarli. A deciderlo è una sentenza del Consiglio di Stato, che ribalta la situazione.
Per gli affitti brevi sembra non esserci pace. Infatti dal primo gennaio 2025 sono entrate in vigore le nuove norme sugli affitti brevi. In particolare le novità hanno riguardato il Cin (Codice identificativo nazionale) e l’introduzione della nuova tassazione. Dal primo gennaio i proprietari immobiliari fino a 4 unità immobiliari destinate all’affitto breve può continuare a scegliere tra la tassazione ordinaria e la cedolare secca (che nella maggior parte dei casi è più conveniente) aumenta però l’aliquota applicata. Si passa dal 21% al 26%, ben 5 punti percentuali che possono fare la differenza. L’aliquota al 26% si applica anche al primo immobile.
La normativa nazionale, che definisce i requisiti per l’affitto breve (es. durata massima di 30 giorni) e la tassazione (es. cedolare secca), prevale su eventuali regolamentazioni locali. Tuttavia, alcune regioni possono introdurre norme più restrittive, come ad esempio l’obbligo di una licenza o di un permesso per esercitare l’attività, o la definizione di limiti specifici per la diffusione degli affitti brevi in determinate aree.
Gli affitti brevi stanno creando qualche problema al mercato delle locazioni. Infatti non si trovano più immobili da destinare alle famiglie. Tanto che molti Comuni hanno avuto la possibilità di diminuire il fenomeno a favore di quelle che sono le locazioni classiche. Ma la situazione sta cambiando e sempre più verso la liberazione del mercato delle locazioni turistiche.
Una recente sentenza del Consiglio di Stato ha stabilito che i Comuni italiani non possono vietare o limitare gli affitti brevi a scopo turistico, se gestiti da privati e non in forma imprenditoriale. La decisione, contenuta nella sentenza n. 2928/2025, annulla il regolamento del Comune di Sirmione che imponeva restrizioni alle locazioni turistiche. Il massimo organo di giustizia amministrativa ha chiarito che le locazioni turistiche gestite da privati non rientrano nella categoria delle strutture ricettive e, pertanto, non sono soggette alla stessa normativa. Non esiste una legge nazionale che conferisca ai Comuni il potere di vietare o limitare tali attività.
I proprietari di immobili possono, quindi, continuare a offrire affitti brevi a scopo turistico senza necessità di autorizzazioni specifiche, a meno che non gestiscano l’attività in forma imprenditoriale. In tal caso, si applicano le normative previste per le strutture ricettive. La sentenza sottolinea l’importanza di bilanciare la libertà contrattuale dei proprietari con la necessità di regolamentare il settore turistico.
Tuttavia, eventuali restrizioni devono essere stabilite a livello nazionale o regionale, non comunale. In conclusione, la decisione del Consiglio di Stato rappresenta un punto fermo nella regolamentazione degli affitti brevi, confermando che i Comuni non possono imporre divieti o limitazioni a tali attività, se gestite da privati e non in forma imprenditoriale.
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