La chiamano “Scienze dei Disoccupati”: è la peggior laurea in Italia | Non ti assumono neanche al McDonald’s

McDonald's (pexels) infoiva.com
Il settore universitario è un campo minato: nessun corso di laurea è peggio di questo, fai attenzione a cambiare se puoi.
Il precariato non è più una fase di passaggio: per molti giovani italiani è diventato uno stato permanente. Dopo la laurea, spesso si passa da uno stage non retribuito a un contratto a progetto, e poi si ritorna daccapo. Le promesse di stabilità che un tempo accompagnavano il titolo di studio sembrano essersi dissolte nel nulla, lasciando spazio a curriculum gonfi e stipendi fantasma.
Il mito del “pezzo di carta” che apre tutte le porte è ormai superato. La competizione è feroce, le aziende chiedono esperienza a chi ha appena finito gli studi e l’unico vantaggio reale sembra essere quello di sapersi adattare. Chi cerca un contratto a tempo indeterminato, spesso, si scontra con una realtà fatta di attese, tirocini e porte chiuse in faccia.
Intanto il sistema universitario continua a sfornare laureati senza preoccuparsi troppo del loro futuro. E molti si ritrovano a dover scegliere tra l’accettare un lavoro sottopagato o restare a casa ad aggiornare LinkedIn. Il problema non è il merito, ma la mancanza cronica di una reale domanda nel mercato del lavoro.
Alternative lavorative
Al posto del contratto, arriva la partita IVA. O peggio: arriva l’idea di “inventarsi un lavoro”. Negli ultimi anni, non a caso, sono cresciuti a dismisura i percorsi alternativi: diventare creator, gestire un profilo social, lanciarsi nell’e-commerce. Scelte che un tempo facevano sorridere e ora riempiono i bollettini Inps.
Se il lavoro tradizionale è un miraggio, tanto vale provarci da soli. Ma anche qui, senza contenuti validi o visibilità, si rischia l’ennesimo buco nell’acqua.
La scienza “delle merendine”
I dati lo confermano: alcune lauree sembrano fatte apposta per spingerti nel baratro del precariato. I numeri parlano chiaro. A un anno dalla triennale in Psicologia, solo il 27,1% dei laureati risulta occupato, e solo il 7,5% lavora senza continuare a studiare. Il resto si barcamena tra corsi magistrali e lavoretti. Simile la situazione per le lauree in ambito umanistico-letterario: 27,5% di occupati dopo dodici mesi, ma quasi sempre con contratti marginali.
Nemmeno le discipline considerate più “tecniche” offrono certezze. Ingegneria industriale e dell’informazione, per esempio, ha un tasso di occupazione del 27,3%, con retribuzioni comunque inferiori a quelle degli altri ingegneri. Le triennali in Scienze Motorie, Educazione e Formazione, Servizio Sociale, Lingue, Arte e Design registrano stipendi netti sotto i mille euro al mese. E a sorpresa, è il settore scientifico puro a occupare l’ultimo gradino del podio: solo il 24,9% lavora dopo la triennale, mentre il 14,2% studia e lavora contemporaneamente. Un paradosso in un paese che sbandiera continuamente l’importanza della ricerca, ma che dimentica chi la porta avanti.