Partite IVA, peggio del “pizzo”: 223€ di tassa per tutte le attività commerciali | Non puoi scappare

Lavoratore in p.IVA (pexels) infoiva.com
Non sembrava possibile ma è successo davvero: adesso le p.IVA hanno una bella gatta da pelare. Scopri come fare.
In Italia, tanti lavori moderni, soprattutto quelli più creativi, ruotano attorno alla partita IVA. Chi sogna di vivere di scrittura, grafica, fotografia, consulenza o moda finisce quasi sempre per dover aprire una posizione fiscale autonoma.
Non c’è un contratto fisso, nessuna tredicesima, ma in cambio c’è la libertà di gestire tempi, progetti e identità lavorativa. A volte si comincia per scelta, altre volte per mancanza di alternative, ma ciò che accomuna molti freelance è la spinta a creare qualcosa di proprio. Un proprio stile, una nicchia, un brand personale.
In teoria, questo è il lato romantico dell’autonomia professionale: non si risponde a un capo, si lavora per obiettivi e si trasforma il proprio talento in impresa. Eppure, questa stessa libertà può diventare anche un labirinto burocratico, in cui a ogni angolo si nasconde una tassa o un obbligo da adempiere. Come sta avvenendo adesso.
Percezione pubblica
Tra fatture elettroniche, versamenti INPS e regimi fiscali, il sogno a volte barcolla, ma non crolla. Chi lavora con la creatività non ha solo un mestiere, ma una piccola visione da trasformare in realtà. Praticamente un’impresa. Nonostante tutto questo però, in Italia chi ha la Partita IVA è spesso visto come un lavoratore di serie B.
Nell’immaginario collettivo, il posto fisso continua a rappresentare l’unico traguardo serio. Il pubblico è sinonimo di sicurezza, mentre chi lavora in proprio viene percepito come uno che non ce l’ha fatta, un po’ sognatore, un po’ incosciente, sicuramente precario. Una visione dura a morire.
I nuovi oneri per le partite IVA
Money.it ha diffuso le informazioni in merito. Quando si decide di rendere ufficiale il proprio lavoro autonomo, spesso si arriva al punto in cui serve registrare un marchio. È una tappa importante, perché permette di proteggere il nome della propria attività, impedendone l’uso da parte di terzi. Ma costa. Oggi registrarne uno in Italia può arrivare a 223 euro. La procedura avviene attraverso l’ufficio italiano Brevetti e Marchi e le tariffe includono 101 euro di tassa di deposito per una classe merceologica, 34 euro per ogni classe aggiuntiva, 40 euro di diritti di segreteria, più la marca da bollo da 48 euro per il deposito online.
Il marchio ha una durata di 10 anni ed è rinnovabile. Attenzione, però: il marchio non è il logo. Il marchio è il nome con cui si identifica un’attività o un prodotto, mentre il logo è il segno grafico che lo rappresenta. Registrare solo uno dei due non significa proteggerli entrambi. Quindi, per chi lavora in proprio e vuole davvero blindare la propria identità professionale, il conto finale è anche strategico. Non puoi scappare da questi oneri, in aumento rispetto al passato.