“DICHIARIAMO FALLIMENTO” | Addio all’azienda più amata dagli italiani: negli anni ’80 era più forte di Mediaset

“DICHIARIAMO FALLIMENTO” | Addio all’azienda più amata dagli italiani: negli anni ’80 era più forte di Mediaset

Berlusconi (infoiva.com)

Il fallimento è stato dichiarato ormai. Nessuno può più farci nulla se non compiangere un gioiello amato da tutti.

Negli anni ’80, Mediaset non esisteva ancora: c’era Fininvest, c’erano le tv private, i colori sgargianti, la sigla di Drive In, la pubblicità con un leone parlante e soprattutto Silvio Berlusconi che costruiva un impero televisivo da zero, rivoluzionando per sempre il modo in cui gli italiani guardavano la televisione.

In poco tempo, Canale 5, Italia 1 e Rete 4 divennero l’alternativa scatenata e un po’ popolare alla più compassata Rai. Oggi quell’impero è in mano al figlio Pier Silvio, che da anni cerca di “ripulire” l’immagine della rete, allontanandosi da certe derive trash e promuovendo una linea editoriale più sobria e istituzionale.

Una sorta di “risciacquatura in Arno”, per usare le sue parole, dopo la morte del padre. Addio a certi eccessi, più spazio alla qualità e alla stabilità. Ma la verità è che i fasti degli anni d’oro sono difficili da replicare. Il pubblico è cambiato, e la tv di massa non è più quella cosa monolitica che si guardava tutti insieme sul divano.

Il cambiamento della tv

Gli anni ’80 non erano solo l’epoca di Berlusconi, ma anche il periodo in cui la televisione era regina assoluta. Un elettrodomestico diventato oracolo popolare. Era l’era delle televendite, dei varietà infiniti, di Wanna Marchi che urlava al miracolo con il sale magico e degli spot che diventavano tormentoni nazionali.

I caroselli non erano solo pubblicità: erano appuntamenti quotidiani, parte integrante dell’infanzia e della vita familiare. Ma il tempo ha spazzato via tutto. I canali si sono moltiplicati, gli algoritmi hanno sostituito i palinsesti, e il pubblico si è sparpagliato tra streaming, TikTok e serie tv on demand. Le aziende che non hanno saputo adattarsi a questa mutazione sono rimaste impantanate in un mondo che non c’è più.

Persone che guardano la tv (pexels) infoiva.com

Il fallimento dell’azienda storica

Rivistastudio.it ha diffuso le informazioni. Del Monte, nome storico dell’agroalimentare, ha ufficialmente dichiarato bancarotta. Dopo 138 anni di storia, la filiale del colosso della frutta in scatola si è arresa: i debiti sono diventati insostenibili, e l’unica via rimasta è stata quella di ricorrere al fallimento controllato. L’obiettivo è riorganizzarsi e, magari, trovare un compratore disposto a rilanciare il marchio.

Un tempo amatissima anche in Italia, Del Monte vende lattine che promettono frutta tropicale a portata di cucchiaio. Ma oggi, come spiega Jordan Valinsky sulla CNN, il crollo è figlio di un cambio radicale nei gusti alimentari: sempre meno persone vogliono cibo in scatola pieno di conservanti. La tendenza è verso il fresco, il biologico, l’eticamente prodotto. Oltre un miliardo di dollari di debiti. La società ha già ottenuto un prestito da 900 milioni per tentare di sopravvivere, ma dovrà rinnovare completamente la propria offerta commerciale se vuole restare aperta.