Siamo ormai giunti al termine della terza edizione dello scudo fiscale, che prevedeva la possibilità di rimpatriare i capitali illecitamente detenuti all’estero alla data del 31 dicembre 2008. Inizialmente, per tale operazione era stata fissata una scadenza al 15 dicembre 2009, ma di fronte ad una forte richiesta, o meglio, ad una forte esigenza da parte dello Stato di “fare cassa”, sono state aggiunte altre due scadenze: Il 28 febbraio 2010 ed il 30 aprile 2010. Le aliquote, per le tre scadenze, sono state rispettivamente il 5%, il 6% ed il 7%. Secondo i dati diffusi dal ministero dell’Economia, nella prima parte dello scudo, ovvero quella con scadenza al 15 dicembre 2009, sarebbero stati regolarizzati 95 miliardi di euro, di cui 93 effettivamente rimpatriati e 2 miliardi regolarizzati. Per il ministro Giulio Tremonti l’operazione è stata un successo, sia per il rientro dei capitali in linea con le aspettative, sia per il fatto che questi capitali provvederanno a far ripartire la nostra economia. Sempre lo stesso Tremonti ha tenuto a precisare che questa rappresenta l’ultima possibilità per fare rientrare i capitali dall’estero in quanto “il tempo dei paradisi fiscali è finito”. Ci sono però controversie sui dati: Bankitalia infatti afferma che sono rientrati solamente 34,9 miliardi di euro, per i rimanenti si tratta di rimpatrio giuridico, quindi non sono materialmente rientrati e conseguentemente non potranno contribuire al rilancio dell’economia. Altro problema relativo allo scudo riguarda la segretezza delle operazioni di emersione. Spinto verso un’adesione in massa ed incondizionata, lo scudo fiscale presenta dei rischi per il contribuente. Ad esempio, con l’istituzione dell’anagrafe dei conti, l’Agenzia delle Entrate ha chiesto agli intermediari gli estremi dei conti del precedente scudo, nonostante le garanzie di anonimato assoluto specificate nelle circolari. Vi è di più: Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza possono richiedere a Banca d’Italia, Consob ed Isvap tutte le informazioni possedute inerenti i contribuenti oggetto di indagine fiscale. Inoltre il Fisco potrebbe richiedere in futuro il pagamento di Iva, sanzioni ed interessi sulle somme scudate.
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