Foto facebook e accertamenti fiscali, cosa devi sapere

È rischioso pubblicare foto su Facebook e altri social? Leggendo alcune sentenze sembra proprio di sì, infatti si è creata una giurisprudenza consolidata che sostiene la legittimità della ricostruzione dei redditi attraverso le cose postate sui social.

I social possono essere usati per provare il reddito?

Quante volte l’amico che fa piano bar la sera, magari come lavoretto per arrotondare, ha pubblicato foto dei propri spettacoli? Quelle entrate devono essere dichiarate? Naturalmente sì, ma se non lo fa, le foto pubblicate, magari dal locale e non direttamente dal percipiente possono costruire una prova per ricostruire il reddito?

Sebbene il vice-ministro dell’Economia, Maurizio Leo, parli della necessità di implementare l’uso dei social attraverso atti normativi, al fine di contrastare l’evasione fiscale, la giurisprudenza è già oltre e già utilizza tali fonti, che diventano parti del metodo induttivo di determinazione del reddito.

Ecco alcune pronunce che ci dimostrano quanto sia rischioso pubblicare foto e post su Facebook e altri social come Instagram.

Il metodo induttivo per la determinazione del reddito usa le foto su Facebook

L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza possono utilizzare il metodo induttivo per rilevare il reddito effettivo di un soggetto. Il metodo induttivo è previsto dall’articolo 39, comma 2 del dpr 600 del 1973 e articolo 55 del Dr 633 del 1972. Tale tipologia di accertamento può essere effettuata sulla base di dati o notizie comunque raccolti dall’amministrazione finanziaria o venuti a sua conoscenza, nonché sulla base di presunzioni anche prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Il metodo induttivo si basa su un procedimento logico che consente di determinare l’imponibile globale senza analizzarne le singole parti semplici, bensì impiegando nella costruzione tutte le notizie, le prove ed i dati.

Il fulcro centrale è “dati o notizie comunque raccolti dall’amministrazione finanziaria o venuti a sua conoscenza”, infatti in diverse sentenze si legge che il reddito è stato rideterminato tenendo in considerazione anche dati raccolti in modo “anomalo”. Ad esempio, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, con la sentenza n. 648 del 20 febbraio 2024 afferma che è corretto ricostruire il reddito di un lavoratore avendo in considerazione una serie di elementi appresi durante un’ispezione. Tra questi elementi vi sono i contenuti di un sito internet e in particolare una galleria fotografica che di fatto prova nel caso in oggetto  la partecipazione a serate in locali che evidentemente non erano oggetto di fattura.

Questa non è l’unica pronuncia da tenere in considerazione.

Non solo accertamenti fiscali: assegno di mantenimento determinato in base alle foto pubblicate su Facebook

Un’ulteriore pronuncia importante è la sentenza n. 91/2020 del Tribunale di Verona, sezione civile. In questo caso siamo nell’ambito di una pronuncia per separazione, nella determinazione dell’assegno di mantenimento viene tenuto in considerazione il reddito dichiarato, ma non solo. Il coniuge afferma che l’altro coniuge oltre ai redditi dichiarati percepisce delle somme in nero. “Attività che trova del resto riscontro nelle fotografie e nella pagina Facebook depositate da parte ricorrente nelle quali C. d. risulta indicato come referente in Italia del Centro dentistico croato – nonché nelle dichiarazioni della teste S., che oltre a dichiarare che di averne avuto notizia dalla P., ha riferito di avere lei stessa avuto modo di vedere su Facebook delle foto e degli annunci postati dal D. e segnatamente foto di una macchina con la pubblicità sulla fiancata dello Studio odontoiatrico croato e degli appartamenti Va poi rilevato che risultano erogati al resistente gli assegni familiari.”

Naturalmente non possono mancare gli accertamenti fiscali su chi utilizza i social per lavorare, cioè gli influencer. Ha fatto discutere nelle settimane scorse l’accertamento fiscale su 4 noti influencer che non dichiaravano i proventi delle sponsorizzazioni.

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Accertamenti fiscali: i movimenti in conto corrente sono ricavi occulti

Il 24 aprile 2023 c’è stata un’importante pronuncia della Corte di Cassazione inerente i movimenti in conto corrente che, secondo gli ermellini, devono essere considerati ricavi e di conseguenza trattati come tali in sede di accertamenti fiscali.

I movimenti in conto corrente sono ricavi occulti oggetto di accertamenti fiscali

L’Ordinanza 10817 della Corte di cassazione del 24 aprile 2023 sottolinea un importante principio previsto dal nostro legislatore e che può avere conseguenze particolarmente rilevanti per i contribuenti.

L’articolo 32 del Dpr 600 del 1973 stabilisce che i prelevamenti e i versamenti in conto corrente devono essere imputati a ricavi. Di conseguenza in fase di accertamenti fiscali l’Agenzia delle entrate può considerare tassabili tali movimenti in quanto considerati ricavi occulti e costi occulti.

Resta la facoltà da parte del contribuente di dimostrare il contrario. Sottolinea l’ordinanza che in assenza di un divieto espresso, resta in questa materia il principio di libertà dei mezzi di prova, questo vuol dire che il contribuente non è obbligato a fornire una prova scritta o testimoniale inerente la natura dei versamenti per dimostrare che non si tratta di ricavi, ma può fornire qualunque mezzo di prova e può avvalersi anche di presunzioni semplici per dimostrare la diversa natura di tali movimenti di denaro.

Spetterà quindi al giudice un’attenta verifica di tutti gli elementi portati dal contribuente al fine di determinare la disciplina a cui sottoporre tali ricavi.

Naturalmente il giudice non può non avere in considerazione il dettato normativo, il quale stabilisce che quando la prova viene data attraverso indizi o presunzioni, tali elementi devono essere gravi, precisi e concordanti.

Nel caso dei movimenti bancari, il giudice deve avere in considerazione il lasso temporale che caratterizza i versamenti, la loro entità e il contesto complessivo. Il contribuente nel fornire la prova non deve limitarsi ad affermazioni apodittiche, generiche e sommarie, ma deve essere in grado di dimostrare la natura delle somme.

Corte costituzionale: non è incostituzionale ritenere i prelievi costi occulti

Sulla costituzionalità dell’articolo 32 del Dpr 600 del 1973 si era già espressa la Corte Costituzionale con la sentenza 10 del 31 gennaio 2023. In questa sentenza si ribadisce che anche i prelievi sono da considerare indice di evasione, infatti per l’imprenditore devono essere considerati costi occulti relativi all’attività stessa.

La Corte ha ribadito che per i prelievi il decreto legge 193 del 2016 ha posto dei limiti, infatti sono considerati costi occulti solo i prelievi di valore compreso tra 1.000 e 5.000 euro. Il contribuente anche in questo caso può fornire prova contraria e di conseguenza è tutelato dalla arbitrarietà della presunzione legale riconosciuta in favore del Fisco.