Addio smart working, sono ufficialmente cambiate le regole

Addio smart working, bocciato l’emendamento che ne prevedeva la proroga, ecco quindi come sono cambiate le regole.

Addio smart working, bocciato l’emendamento

Non ci resta che dire addio lo smart working, così come lo abbiamo conosciuto in questi ultimi anni. Una misura quanto mai amata durante il periodo delle restrizioni da covid-19, ma che ormai sempre più bandita. Infatti è anche stato bocciato l’emendamento del decreto milleproroghe per spostare in avanti il termine della sospensione. Non ne potranno usufruire neanche i lavoratori con figli sotto i 14 anni e coloro che sono definiti lavoratori fragili.

Pertanto la materia torna ad essere regolata delle norme ordinarie, sul lavoro agile che danno priorità ad alcune categorie di lavoratori:

  • lavoratori e lavoratrici con figli di età inferiore ai 12 anni;
  • senza alcun limite di età nel caso in cui ci siano figli con disabilità;
  • lavoratori  caregivers;
  • lavoratori con grave disabilità;
  • anziani da 65 anni in su.

Addio smart working, cosa devono fare le imprese?

Durante il periodo della pandemia molte imprese hanno trovato nello smart working la possibilità di continuare a lavorare senza diminuire il personale. Tanto che molte aziende hanno disciplinato questo tipo di lavoro all’interno dei propri contratti aziendali. Indicando in modo chiaro al nuovo assunto la tipologia di contratto in sottoscrizione, purché in linea con le norme vigenti.

Pertanto gli accordi tra imprese e lavoratore possono essere fatti sia per contratti a tempo indeterminato che per contratti a tempo determinato. Nel primo caso basta rispettare le regole sul lavoro agile, e le novità introdotte. Nel caso invece di contratti a termine, alla scadenza è prevista la possibilità di rinnovo. Per le aziende che non lo prevedono è possibile introdurlo rispettando le norme di legge e gli accordi relativi ai contratti collettivi nazionali.

Cosa deve contenere l’accordo individuale

Come già anticipato è previsto un accordo individuale tra lavoratore e datore di lavoro sullo smart working. La durata deve essere uno degli elementi ben indicati in qualsiasi tipologia contrattuale. Inoltre occorre:

  • Le modalità di alternanza tra i periodi di lavoro all’interno e all’esterno dei locali aziendali;
  • Il periodo di riposo;
  • Definire i mezzi necessari allo svolgimento dell’attività comprese le strutture elettroniche e le modalità di disconnessione;
  • luoghi in cui può essere svolta l’attività o meno;
  • Gli aspetti relativi all’esecuzione della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali, inclusi i poteri direttivi del datore di lavoro e le possibili sanzioni disciplinari nel rispetto delle normative contrattuali.
  • Le forme e le modalità di controllo della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali;
  • Le modalità di esercizio dei diritti sindacali.

Addio smart working, da fine settembre come cambierà?

L’addio allo smart working, misura particolarmente sfruttata durante il periodo di Covid-19, è ormai imminente, ma come cambieranno le cose?

Addio smart working, mancano ancora pochi giorni

Se c’è una cosa che ha permesso a molte attività di andare avanti sia durante il periodo di look down, che immediatamente dopo, è stato lo smart working. E’ una forma di telelavoro definito dall’ordinamento italiano come:

«una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa

La legge del 3 luglio 2023 aveva permetto di prolungare fino al 30 settembre il termine ultimo per utilizzare l’opzione del lavoro da casa per i lavoratori fragili. Quindi tra pochi giorni tutto potrebbe cambiare per circa 800 mila lavoratori.  Si è quindi in attesa di capere e ci saranno nuove proroghe o meno o se ci si muoverà sempre di più verso il lavoro ibrido.

Quali saranno i possibili cambiamenti dopo l’addio allo smart working?

I lavoratori fragili che vogliono proseguire in questa modalità il loro lavoro dovranno firmare con il datore di lavoro un contratto in linea con i piani dell’aziende o delle amministrazioni pubbliche per i propri dipendenti. In questi tre anni sono molte le aziende che hanno fatto dello smart working un interessante modo di lavorare. Tanto che molte imprese, all’interno delle loro scelte aziendali, offrono la possibilità di lavorare da casa al proprio dipendente, stabilendone il tempo.

Ad esempio c’è chi offre anche un giorno intero a settimana. Oppure due giorni al mese, sembra essere molto in uso. L’importante è che sia un accordo tra le parti che sottoscrivono il contratto. Tim  consente ai suoi 32.000 dipendenti la possibilità di lavorare in smart working fino a tre giorni a settimana. Inoltre ha di recente lanciato un progetto pilota per consentire a 100 dipendenti il full smart working. Per lo più si tratta di grandi multinazionali, perché in Italia non sta trovando grandissimo sviluppo.  Il lavoro da remoto interessa appena il 14,9% degli occupati, che svolge parte dell’attività da remoto. Dopo il boom vissuto nel 2020, in piena pandemia, quando il nostro paese è passato dal 4,8% di telelavoro dell’anno precedente al 13,7%, il tasso di crescita ha subito una brusca frenata

L’opzione rimane invariata per alcune categorie di lavoratori

Lo smart working è stato prorogato al 31 dicembre 2023 per le seguenti categorie di lavoratori:

– i lavoratori dipendenti del settore privato che abbiano almeno un figlio, minore di anni 14. A condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito, in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa e che non vi sia genitore non lavoratore;

–  i lavoratori dipendenti che, sulla base delle valutazioni dei medici competenti sono più esposti a rischio di contagio dal virus SARS-CoV-2, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possano caratterizzare una situazione di maggiore rischio, accertata dal medico competente.