Il Made in Italy alla conquista dell’Australia

Il Made in Italy ha conquistato anche l’Australia, grazie ad una “missione” alla quale ha partecipato, tra gli altri, anche Aurelio Ceresoli, vicepresidente di Federalimentare, che, al suo ritorno in patria, si è dimostrato particolarmente ottimista.
Il motivo principale è che sia i ristoratori australiani sia le catene appartenenti alla grande distribuzione si sono dimostrati molto interessati al Made in Itlay.

Alla spedizione hanno partecipato circa trenta aziende dei settori dell’agrifood e della pelletteria, guidate dal sottosegretario allo Sviluppo economico, Ivan Scalfarotto, in collaborazione con Confindustria, Ice, Federalimentare, Assocalzaturifici, Aimpes e Rete Imprese Italia.

Piergiorgio Borgogelli, direttore generale dell’Ice, ha confermato questo mood positivo: “In Australia abbiamo raggiunto traguardi importanti nel settore agroalimentare e nel comparto calzature-pelletteria: l’Italia è al sesto posto tra i fornitori agroalimentari, con un trend del +2,7% nell’export 2016, mentre nei prodotti calzaturieri e nella pelletteria siamo al quarto posto con una crescita del 13,9% nel 2016”.

In quattro giorni molto fitti, la delegazione ha fatto tappa a Sidney e a Melbourne e ha anche incontrato le due principali catene della Gdo australiana, che sono Coles e Woolworths.

Ad oggi, i prodotti dell’agrifood italiano più esportati sono le bevande e le conserve di ortaggi e legumi, anche se negli ultimi tempi le vendite di sughi e pelati sono calate a causa dell’applicazione dei dazi antidumping, che poi Camberra a gennaio ha parzialmente revocato.
Si tratta di un problema di cui il governo italiano vuole farsi carico, come ha dichiarato Scalfarotto: “Nella prospettiva di un rafforzamento delle nostre relazioni bilaterali anche attraverso un eventuale accordo di libero scambio tra Ue e Australia il cui mandato negoziale è oggi in via di valutazione a livello europeo, l’Italia lavora perché siano superate le difficoltà rappresentate da alcuni ostacoli non tariffari quali dazi antidumping, barriere fitosanitarie e denominazioni di origine”.

Per quanto riguarda il settore della pelletteria, sembra che il mercato australiano offra molte buone opportunità, come ha dichiarato Riccardo Braccialini, presidente dell’Aimpes, l’associazione dei pellettieri. Aprire un negozio a Sidney significherebbe non solo avvicinarsi ai consumatori interni ma anche ai turisti provenienti da Corea del Sud, Giappone e Cina.

Vera MORETTI

A settembre MIPEL diventa virtuale

Risale all’11 maggio scorso l’incontro, svoltosi a Riccione, tra gli iscritti all’AIMPES, Associazione Pellettieri Italiani, in occasione dell’Assemblea Annuale della categoria.
In quella sede, è stato fatto il punto sull’andamento del settore nel 2012.

Ha voluto iniziare i lavori il presidente Giorgio Cannara, il quale ha presentato uno scenario di un comparto che si muove a due velocità: se, da una parte, è stato registrato un forte incremento del fatturato estero, dall’altra, infatti, è stata rilevata una notevole contrazione dei consumi domestici: “Si è creata, e si sta creando una netta demarcazione nelle scelte del consumo finale che ha riguardato sia le vendite in Italia sia quelle estere, sempre più connotate da una polarizzazione degli acquisti verso i due estremi dell’offerta: i prodotti del lusso e di fascia alta da una parte, e i prodotti “cheap” dall’altra”.

Cannara ha poi messo l’accento sull’importanza della crescita delle imprese del settore, il cui andamento dipende in gran parte dall’andamento dei mercati internazionali e da un interesse in aumento riguardo la qualità elevata: “ciò sta avvenendo sempre più per Paesi Extra UE, ove complessivamente, la crescita del fatturato è stata del 25%: sono stati dunque i Paesi di nuova industrializzazione quelli che hanno mostrato una dinamica della domanda in forte espansione; il progressivo consolidamento della loro capacità di acquisto e la crescita di una nuova borghesia urbana sensibile al “bello e ben fatto”, rappresenterà anche nei prossimi anni una significativa opportunità per le aziende del settore, anche se non per tutte”.

L’assemblea è stata chiusa da Alessandro Malnati, AD di GWC World, agenzia di comunicazione che sta accompagnando AIMPES nel processo di riposizionamento della fiera.

Malnati ha anche anticipato il progetto che riguarda il MIPEL, che, essendo diventato più tecnologico ed innovativo, da settembre 2013 esordisce come fiera virtuale con il nome di @mipel.
Si tratta di un esperimento che non ha precedenti nel settore, e che prevede lo sviluppo di un’attività di e-commerce con uno store online dedicato alla borsa e all’accessorio in pelle, che rende MIPAL accessibile anche a un pubblico non specializzato.

Vera MORETTI

Mipel: la produzione vola al 20%

Non esiste la seconda generazione nel settore della conceria, è una forte riflessione fatta dai produttori di pelletteria italiani che espongono al Mipel in fieramilano a Rho fino a mercoledì 7 marzo. Uno sguardo al futuro rivela una sempre crescente mancanza di tecnici specializzati nei vari stadi della filiera della pelle, mettendo a serio rischio la capacità produttiva di domani. Un tema quanto mai attuale, soprattutto per gli imprenditori della zona di Firenze, primo territorio di produzione nazionale del settore pellettiero.

“Nel 2011 la produzione in valore si è attestata sui 4 miliardi e 550 milioni di euro – dichiara Giorgio Cannara, presidente Aimpes/Mipel –  con un aumento di circa il 20% rispetto all’anno precedente. Le esportazioni fanno registrare 3 miliardi e 841 milioni (+30% sul 2010) a fronte di un import di circa 1 miliardo e 850 milioni di euro (+12% sul 2010)”.

“Le previsioni di crescita delle produzioni di pelletteria nei prossimi 3 – 5 anni, dicono che ci sarà un aumento della produttività intorno al 20, 30% – commenta Andrea Calistri della Sapaf di Scandicci e fondatore dell’Alta Scuola di Pelletteria-. Questo significa che il comparto avrà necessità di formare almeno due, tre mila nuovi addetti che possano occupare posti specialistici della filiera della pelle”.

Proprio a Scandicci è attiva, da circa 10 anni, l’Alta scuola di pelletteria italiana che prevede corsi di formazione di periodo variabile, dai due mesi fino ai due anni. “La scuola prepara, ogni anno, circa 100 nuovi addetti specializzati nelle varie discipline – continua Calistri – ancora troppo pochi per la richiesta in crescita”.

Le principali figure ricercate sono tre: il modellista, il prototipista e il tagliatore di pelli pregiate. I primi due si occupano di approntare il primo esemplare della borsa disegnata dallo stilista. Questo passaggio è estremamente importante perché, realizzando il prototipo, è possibile valutare tempistica e modalità da applicare poi alla produzione, parametri che definiscono, in ultima analisi, il prezzo dell’articolo e il suo posizionamento nella fascia di mercato. Anche il tagliatore esperto fa un mestiere delicato perché, soprattutto a contatto con pellami particolarmente pregiati come per esempio il coccodrillo, è quanto mai importante non sprecare nemmeno un centimetro di materiale.

“Sarebbe importante che i giovani capissero – puntualizza Calistri – che lavorare nel settore della pelle è una vera e propria opportunità, non soltanto di occupazione ma anche di carriera. Un tecnico esperto può arrivare a guadagnare anche 2500 euro al mese con una tendenza in crescita”.

I dati economici relativi al comparto della pelle rivelano una netta tendenza all’export, mentre i mercati interni sono ancora un po’ in sofferenza.

“Il vero problema – spiega Piero Peroni, presidente di Cna Federmoda Firenze – è culturale. In Italia non viene riconosciuta la qualità artigiana delle produzioni. Questo ha cresciuto una generazione che punta alle grandi firme. La giovane donna di oggi preferisce la borsa griffata anche se falsa, piuttosto che il prodotto artigiano sconosciuto ma di buona qualità. Se noi italiani fossimo in grado di dare il giusto valore alle produzioni “Made in Italy”, come avviene in Cina e Giappone che sono mercati in espansione non solo per le grandi aziende ma anche per le piccole produzioni artigiane, il nostro mercato interno soffrirebbe meno”.

Fonte: agenparl.it