Federauto al governo: via i “disincentivi” al settore

di Davide PASSONI

Dopo Anfia, riflettori puntati oggi, per il focus di Infoiva sulla filiera dell’auto italiana, su Federauto, la Federazione Italiana Concessionari Auto. Perché ogni concessionario è una piccola impresa e, come tale, soffre i morsi della crisi globale, oltre a quelli della crisi dell’automobile. La parola al presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi.

Che cosa c’è oltre i numeri freddi del mercato? Dove soffre maggiormente oggi la filiera dell’auto italiana e perché?
La filiera dell’automobile in Italia, dalla produzione alla commercializzazione, fattura l’11,4% del Pil, partecipa al gettito fiscale nazionale per il 16,6% e occupa con l’indotto 1 milione e 200mila persone. Questi dati reggono con un mercato medio di 2 milioni di vetture immatricolate all’anno. Nonostante la media degli ultimi 5 anni dia proprio 2 milioni, il 2011 è stato il primo anno dove siamo andati abbondantemente al di sotto della soglia di sopravvivenza del settore: 1 milione e 748mila unità. Il 2012 sta flettendo del 20% rispetto a un anno pessimo, il 2011, e si concluderà attorno ai 1 milione e 370mila pezzi. In questo mercato le vendite ai privati, alle famiglie, scendono sotto il milione di pezzi, il resto riguarda le vendite ad aziende, a noleggi e autoimmatricolazioni delle case e dei concessionari: i famigerati chilometri zero. Con 1 milione e 370mila pezzi crollerà la filiera; e si prevede che il 2013 si attesterà sugli stessi volumi. Chi soffre di più? I concessionari italiani di tutti i brand commercializzati in Italia che pur distribuendo per il 70% prodotto straniero, sono tutte PMI italiane che pagano le tasse in Italia, locali e nazionali, e danno occupazione. I Costruttori, tutte multinazionali, possono recuperare le perdite italiane nei mercati esteri, tipo Brasile, India e Cina, mentre i concessionari Italiani vivono o muoiono all’interno dei confini nazionali. Il problema principale è che sono a rischio ben 220mila posti di lavoro. Gli addetti passeranno così dagli ammortizzatori sociali, largamente utilizzati, alla disoccupazione. Tasse che mancano all’appello, contrazione di volumi, disoccupazione esponenziale ma lo Stato è completamente assente. Anzi, ha varato solo provvedimenti per distruggere la filiera.

Anche sul fronte dei veicoli commerciali la situazione è tutt’altro che rosea …
Se le auto sono la spesa più elevata, dopo gli immobili, che si trova ad affrontare una famiglia o un’impresa, lo stesso vale per i veicoli commerciali e industriali. Sono mezzi per il business. Ma se l’economia stagna, l’edilizia e il commercio sono in crisi nera, dei veicoli commerciali non c’è bisogno e chi ce l’ha, spesso, non può cambiarlo o preferisce stare alla finestra per capire ciò che accade. Essendo mezzi di lavoro sono i primi ad andare in crisi ma, se e quando ci sarà una ripresa, saranno i primi a ripartire. Ora fanno un -30% circa, ma erano già scesi lo scorso anno.

Com’è l’umore dei vostri associati? Che richieste o segnalazioni vi arrivano “dal basso”?
L’umore è pessimo. Siamo nel centro di un lungo tunnel buio di cui non si vede l’uscita. Questo a causa sia della crisi internazionale, sia dei “disincentivi” varati dal governo Monti. Una valanga di tasse e balzelli per colpire gli autoveicoli e gli automobilisti: aumenti di Iva, IPT, bolli, accise, Rc, pedaggi e varo del superbollo per le auto prestazionali. Sembra che si faccia di tutto per uccidere l’autoveicolo. E il primo danneggiato è lo Stato che, per effetto della contrazione dei volumi, introiterà 3 miliardi di tasse in meno dalla nostra “mucca da mungere”. Ma se ammazzano la mucca non potranno più avere latte. I concessionari sono basiti anche dall’immobilismo dei manager dei Costruttori che non riescono a convincere i loro vertici che per il mercato Italia ci vuole una ricetta diversa rispetto agli altri paesi europei, che passa attraverso l’alleggerimento o la soppressione degli standard, l’eliminazione dei meccanismi legati solo alle quantità e ai volumi, in un mercato che non tornerà più ai fasti di una volta. I concessionari da 3 anni chiedono di rivedere integralmente le regole della distribuzione ma i Costruttori pensano solo a produrre più auto di quello che il mercato può assorbire, questo perché il nostro mondo è malato da tempo. E questa è la madre di tutti i problemi. L’altra chiave di lettura, come espresso l’8 settembre su Sky dal direttore di Quattroruote, Carlo Cavicchi, è che le Case guardano solo alle quote di mercato, ossia quante vetture ogni 100 auto vende una marca, senza invece darsi obiettivi di redditività. E’ anche per questo che moltissimi producono in perdita, i casi eclatanti sono sotto gli occhi di tutti, e distruggono i margini delle reti di distribuzione. Un sistema ormai marcio fino al midollo destinato a scoppiare come una bolla finanziaria.

Quanto soffre la filiera dell’auto italiana la difficoltà di un grande player come Fiat? Come evitare che la difficoltà di un “grande” si scarichi sui “piccoli”?
Fiat soffre in Europa al pari degli altri Costruttori; ricordo che spesso anche quelli che fanno volumi non fanno utili nella zona Euro. Questo a causa di una lotta sui prezzi senza quartiere. Ci si dimentica sempre che quando è arrivato Marchionne, Fiat era un’azienda virtualmente fallita e ora ha accesso ai grandi mercati mondiali. Lo scarico delle multinazionali, tutte, sulle concessionarie è un gioco antico che si poteva praticare quando c’erano margini positivi. Ora è difficile estrarre sangue da un muro, cioè dai dealer. Inoltre se le vetture vanno distribuite attraverso i Concessionari, e si vogliono avere i clienti soddisfatti che poi possono diventare fedeli anche all’assistenza, bisogna che in primis i Concessionari siano soddisfatti, anche economicamente. Solo chi guadagna può lavorare bene, investire, e disporre di personale motivato per incontrare le aspettative della clientela.

L’auto in Germania, invece, continua a tirare. Merito anche di politiche industriali e sindacali che, negli anni pre-crisi, hanno ben “seminato”. La crisi non potrebbe essere l’occasione per intervenire anche da noi in questo senso e rivedere il sistema dalle basi?
In Germania c’è un ricorso abnorme alle chilometri zero per cui “non è tutto oro quello che luccica”. Che la crisi sia il momento per intervenire e costruire un presente e un futuro diverso non c’è dubbio. Ma i Costruttori, l’altra metà della luna, sono spesso assenti. Non vale per tutti e per tutti i marchi, ma per la stragrande maggioranza.

Va bene la crisi, va bene l’euro boccheggiante, ma leggere di un mercato ai livelli del 1964 significa che gli italiani non ne hanno più da spendere. Che fare?
Nel 1964 c’erano un’infinità di dealer e di marche in meno. Ergo: concorrenza molto blanda rispetto all’esasperazione odierna. E con gli stessi volumi i concessionari marginavano moltissimo. Il paragone quindi non tiene. Gli italiani, privati e aziende, sono da un lato uccisi dalle tasse, oramai a livelli indecenti, dall’altro colpiti dalle chiusure dei negozi, delle imprese, dalla delocalizzazione, dalla perdita, in ultima analisi, di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Senza che i disoccupati trovino chance in altri settori. E anche chi potrebbe spendere ha paura e si è bloccato in attesa degli eventi. Che fare? Esattamente il contrario della cura Monti: meno tasse sulle aziende, perno della nostra economia, meno tasse sulle buste paga dei dipendenti, meno accise e: tagliare la spesa pubblica senza se e senza ma. Via tutte le Province, via tutte le auto blu, grigie e bianche, abbassare le RCA fissando il limite ai risarcimenti e contrastando le truffe, fissare un tetto massimo ai costi dei carburanti. Insomma: far ripartire questo paese, tenere le aziende in Italia, cercare di attrarre con degli sgravi gli investitori esteri. Ma io non sono un Professore universitario per cui se la ricetta Monti piace, avrà ragione lui. Ai posteri l’ardua sentenza.

Che cosa chiede Federauto al governo per sostenere un settore vitale come il vostro per l’economia italiana?
Che ritiri i “disincentivi”, li annulli. Che vari un piano per lo svecchiamento del circolante triennale, a scalare e non legato a un fondo a esaurimento. Piano che si autofinanzierebbe. Che annulli il porcellum varato per agevolare le auto a basso impatto ambientale che partirà il 1 gennaio 2013. Un piano che è una bufala e che farà buttare allo Stato centinaia di milioni di euro, destabilizzerà il mercato e non produrrà solo che danni e confusione. Piano varato contro tutti, dico tutti, gli attori della filiera. Che allinei la fiscalità delle auto aziendali ai principali Paesi europei. Che vari un tavolo di lavoro permanente perché la mobilità di domani va costruita con le scelte di oggi. Di considerare che occupiamo 1 milione e 200mila occupati e che versiamo il 16,6% delle tasse totali nazionali e che penalizzando noi, o non dandoci ascolto, alla fine penalizzano l’intero sistema-Paese.

Auto, un settore industriale in via di estinzione

di Davide PASSONI

La scorsa settimana i dati presentati sul mercato dell’auto in Italia nel mese di agosto hanno fatto tremare le vene ai polsi a più di un addetto del settore: poco più di 56mila immatricolazioni con un calo del 20% rispetto ad agosto 2011. Cifre che riportano ai volumi di quasi 50 anni fa, del 1964.

Per capire quanto questi numeri impattino sulla filiera dell’auto che, in Italia, è un settore vitale per l’economia ed è fatto principalmente da piccole e medie imprese, questa settimana Infoiva ascolterà alcuni degli attori principali della filiera. Partiamo da Anfia, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, forse il termometro più attendibile per misurare la febbre del settore. Ecco che cosa ci ha raccontato il presidente Roberto Vavassori.

Che cosa c’è oltre i numeri freddi del mercato? Dove soffre maggiormente oggi la filiera dell’auto italiana e perché?
Ci sono due aspetti molto preoccupanti, di cui si vede il primo ma il secondo un po’ meno. Il primo è che esiste in Italia una domanda di veicoli molto bassa; il 2012 chiuderà con 1 milione e 400mila autovetture vendute, anche se bisogna considerare che parte del calo è strutturale e non congiunturale: un calo dovuto a un cambio culturale nel rapporto con l’auto che ne ha fatto calare l’appeal, non solo in Italia. Pensi che qualche anno fa in Giappone l’auto era al 6° posto nella classifica dei beni più desiderati e in Germania al 2°: l’anno scorso è scesa rispettivamente al 17° e 23° posto.

E il secondo?
Dietro al calo della domanda c’è anche il fatto che in Italia produrremo poco più di 400mila autovetture quest’anno, un numero che era la produzione della sola Mirafiori degli anni d’oro. Siamo a 1/5 della Spagna, a 1/4 della Francia e a un 1/12 della Germania. La nostra filiera dell’auto è in pericolosissima apnea, un settore che per la componentistica nel 2011 ha esportato per oltre 19 miliardi di euro mentre ora la base industriale sta venendo clamorosamente a mancare.

Mentre in Germania…
In Germania per il 2012 è prevista una produzione di 5 milioni e 700mila autovetture e le case stanno lavorando con player di livello assoluto come Bosch e Continental, per esempio, per sviluppare modelli e tecnologie del futuro. Ora come ora non abbiamo una base produttiva forte in Italia e non si percepisce il fatto che dietro al calo della domanda – il quale, per inciso, riguarda per l’70% veicoli esteri – abbiamo un settore industriale che sta scomparendo.

E quindi?
Drogare il mercato finale non serve, in Italia abbiamo 600 auto ogni 1000 persone e il nostro è un mercato di pura sostituzione, non possiamo aspettarci centinaia di migliaia di auto nuove ogni anno sulle strade. Quello italiano è un mercato che va seguito e sostenuto, visto che siamo l’unico Paese industrializzato con un solo costruttore di veicoli. Dobbiamo tornare a essere un Paese “normale”: come possiamo produrre meno auto di Iran e Thailandia? Siamo il secondo Paese manifatturiero in Europa, il sesto industrializzato al mondo e stiamo buttando via un settore trainante per l’intera economia.

Quanto soffre la filiera dell’auto italiana la difficoltà di un grande player come Fiat? Come evitare che la difficoltà di un “grande” si scarichi sui “piccoli”?
In realtà questa difficoltà si è già scaricata in maniera pesantissima. Non siamo stati capaci di fare sistema, non possiamo andare avanti in ordine sparso: ci vuole la convinzione sistemica che dobbiamo invertire la rotta. Abbiamo tutti i mezzi per farlo, siamo più produttivi della Baviera, numeri alla mano, un nostro metalmeccanico ne vale 3 francesi per specializzazione e produttività, ma negli ultimi 40 anni non abbiamo fatto programmazione e pianificazione industriale e continuiamo tuttora a non farne.

Com’è l’umore dei vostri associati? Che richieste o segnalazioni vi arrivano “dal basso”?
Tutti hanno ancora voglia di fare, ma incontrano difficoltà: dall’accesso al credito, ai costi energetici, alla burocrazia. Ostacoli che, alla lunga, rischiano di vanificare la voglia di fare impresa in Italia e la voglia di continuare a fare fatica nell’impresa di famiglia. In un quadro di difficoltà crescente, o ci si muove tutti insieme o si soccombe.

Tornando alla Germania… Lì l’auto continua a tirare. Merito anche di politiche industriali e sindacali che, negli anni pre-crisi, hanno ben “seminato”. La crisi non potrebbe essere l’occasione per intervenire anche da noi in questo senso e rivedere il sistema dalle basi?
Sì, non è impossibile, se si ha voglia di fare. Tenga conto che quando sento gli industriali tedeschi, ben pochi sono contenti del sistema di cogestione attuale, segnale che quel sistema non è la panacea per i mali del settore.

Dove sta il segreto, allora?
La differenza tra noi e la Germania è che i tedeschi riescono a pianificare e fare sistema molto meglio di noi. Pensi che con i clienti tedeschi oggi le nostre imprese chiudono contratti con scadenza 2017-2018. A differenza della Germania, ci siamo avviluppati in una spirale negativa, mentre loro hanno la capacità, anno dopo anno, di pianificare e investire. In questo senso sono stato contento che Lamborghini sia stata acquistata dal gruppo Audi, perché così ha avuto i fondi necessari per fare gli investimenti che le servivano.

Va bene la crisi, va bene l’euro boccheggiante, ma leggere di un mercato ai livelli del 1964 significa che gli italiani non ne hanno più da spendere. Che fare?
Spingere la leva dell’export; politiche sociali e fiscali che aiutino imprese e lavoratori; puntare sui prodotti che sappiamo fare bene e sul loro export; dare più ossigeno alle aziende. Quando leggo che in Spagna vengono stanziati dal governo milioni di finanziamenti a tasso 0 per 10 anni alle Pmi che fanno ricerca e sviluppo, mi viene da pensare. Per non parlare della Francia, il cui governo ha varato misure straordinarie a sostegno dell’industria dell’auto mettendosi contro ai costruttori stessi.

Che cosa chiede Anfia al governo per sostenere un settore vitale come il vostro per l’economia italiana?
In primo luogo di aumentare l’output delle auto prodotte in Italia: i nostri associati chiedono volumi. Noi li stiamo aiutando a internazionalizzarsi, perché ormai l’Italia non basta più come mercato e anche l’Europa è quasi satura: per cui mettiamo a disposizione le esperienze di grossi player come Brembo e altri, già ben posizionati su diversi mercati mondiali, che si condividono esperienze, know how, strategie con i colleghi più piccoli per aiutarli.

Guardare avanti sempre, insomma…
Io sono un ottimista convinto, ma bisogna invertire la tendenza, altrimenti rischiamo davvero grosso. Sui mercati odierni, se non si ha la capacità di reagire agli eventi e di controllarli, si rischia di scomparire. Prendiamo esempio dal mercato americano, passato in pochi anni da un -50% ai livelli precrisi attuali, senza piangersi addosso ma adottando politiche industriali serie. Tornando alla Germania, pensa che la sua crescita di questi ultimi 5 anni sia dovuta all’industria? No, per i 2/3 è cresciuta grazie alle infrastrutture e agli investimenti nel settore pubblico. In Italia, invece, ci troviamo a tagliare nel pubblico e a non investire nelle infrastrutture, che sono un volano di ripresa economica. Le imprese tedesche si finanziano a tassi vicini allo 0%, vanno bene nei loro mercati di export e così
guadagnano vantaggio competitivo per cui non hanno alcun interesse a risolvere questa crisi, almeno nel breve periodo. Per cui il mio appello è: non molliamo, prendiamo in mano la situazione, mettiamo da parte i campanilismi, rimbocchiamoci le mani e lavoriamo insieme a politiche industriali serie per il Paese.

Il Salone dei Veicoli Ecologici torna a Rimini Fiera

Si scrive SAL.VE, si legge sostenibilità. Il Salone dei Veicoli Ecologici tornerà a Rimini Fiera in occasione dell’edizione 2013 di Ecomondo Fiera Internazionale del recupero di Materia e di Energia e dello Sviluppo Sostenibile. L’accordo per il ritorno è stato siglato a Torino nei giorni scorsi tra i presidenti di Rimini Fiera e della Sezione Veicoli per Servizi Ecologici di Anfia – Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica -, Lorenzo Cagnoni e Paolo Martinelli. Anfia concederà il proprio patrocinio esclusivo, con riferimento al settore dei veicoli ecologici, a SAL.VE fino al 2019, e la manifestazione avrà cadenza triennale.

Secondo Cagnoni, “questa intesa ricompatta il settore e consente a Ecomondo, già fiera leader nel comparto ambientale grazie anche alle concomitanti Key Energy e Cooperambiente, di rappresentare l’intera filiera del rifiuto, dalla raccolta fino al riciclo e riutilizzo finale”.

Anfia – commenta Martinelliha tra gli scopi statutari quello di favorire la crescita, l’aggregazione e lo sviluppo professionale delle aziende associate anche tramite la partecipazione alle Fiere. Conseguentemente ci fa molto piacere poter collaborare con Rimini, nell’interesse della crescita del comparto dei veicoli ecologici, tramite una vetrina così prestigiosa qual è Ecomondo“.

Crisi dell’auto: i carrozzieri sempre meno italiani, sempre più cinesi

Sempre più orfani della Fiat, i carrozzieri italiani rischiano di essere assorbiti dal mercato estero. E’ il timore espresso da Leonardo Fioravanti, Presidente del gruppo Carrozzieri Autovetture ANFIA, l’associazione della case automobilistiche italiane: “dietro alla maggior parte dei carrozzieri oggi non c’è più capitale italiano, la proprietà è sempre più straniera. Un tempo tutti lavoravano per la Fiat, oggi nessuno. I committenti sono aziende cinesi. Il rischio è che un enorme patrimonio di eccellenza venga disperso“.

Dati alla mano, il comparto della carrozzeria conta oggi 3.500 dipendenti, poco meno di un terzo di 20 anni fa, quando il numero dei carrozzieri in Italia era di almeno 10.000. Anche se il fatturato supera ogni anno il mezzo miliardo di euro, il quadro complessivo del settore assume proporzioni molto differenti rispetto al passato: la ex Bertone, che compirà 100 anni nel 2012, è ormai un satellite Fiat, mentre su Pininfarina, la cui produzione è ferma, ha già messo l’occhio il finanziere bretone Vincent Bolloré. In materia di acquisizioni, l’Italdesign di Giorgetto Giugiaro è ora di proprietà di Volkswagen, mentre l’Idea, che ha in Cina una sede operativa e rapporti con la Chang’an, è stata rilevata dalla società Quantum Kapital. Costretta al fallimento invece la Carrozzeria Maggiora.

Quella dei carrozzieri italiani come produttori dell’alta moda dell’auto, autosufficienti è un’esperienza conclusa” ha sottolineato Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom, “Torino ha perso una grande occasione perché aveva un’alta concentrazione dal punto di vista progettuale e industriale. I buoi sono ormai scappati e la classe dirigente piemontese rischia di non governarne neppure gli effetti“.

Un tempo tutti lavoravano pressoché per la Fiat, oggi quasi nessuno” spiega Leonardo Fioravanti, “la parte manifatturiera che ci caratterizzava è scomparsa perché con la lean production le grandi case automobilistiche realizzano da sole le piccole-medie produzioni. Il comparto però non è finito: la parte creativa c’é ancora ed è riconosciuta a livello mondiale. In fondo le acquisizioni fatte da società automobilistiche di livello mondiale sono una conferma di questo, e dietro ai più bei modelli prodotti ci sono degli italiani.’

Ma quali sono le prospettive per il futuro del comparto carrozzeria in Italia? I carrozzieri non potranno di certo sparire, ma la loro sopravvivenza dipenderà anche dal sostegno che l’intero sistema darà alla filiera. “Tramite la partecipazione attiva al Tavolo Istituzionale per la Ricerca Automotive avviato a ottobre 2009 – ricorda Fioravantil’Anfia nel 2010 ha presentato formalmente al ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca un Piano strategico di filiera, costituito da 23 progetti, tra cui il progetto Tris, per realizzare un veicolo ibrido o elettrico, ultra low cost. Un progetto che richiede 10 milioni di euro in due anni e che, per la prima volta in 100 anni, vede una collaborazione fra i carrozzieri italiani. Purtroppo, per ragioni varie, finora è rimasto nel cassetto. Eppure servirebbe a far crescere l’occupazione e a rimettere in funzione gli stabilimenti. Siamo una risorsa del made in Italy, un fiore all’occhiello, abbiamo tutto il diritto di dire ‘dateci una mano’ per resistere e contribuire alla crescita.’

Alessia Casiraghi

Automotive: allarme per l’eliminazione dell’IPT

Il decreto legge anti-crisi e con efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione conferma l’eliminazione dell’Imposta Provinciale di Trascrizione (IPT) in misura fissa per gli atti soggetti ad IVA. Gli effetti si faranno sentire su tutta la filiera, avvertono le associazioni di categoria (Anfia, Aniasa, Assilea, Federauto e Unrae).

Alla ricerca di risorse immediate e di facile reperimento, il Governo – precisa la nota – ha attinto nuovamente al settore auto colpendo senza distinzioni l’auto privata e quella aziendale e superando anche il decreto ministeriale che, in ossequio al D.Lgs n.68/2011 sul federalismo fiscale, doveva riordinare l’Imposta Provinciale di Trascrizione (IPT), unico balzello di questo tipo in Europa”. Per le associazioni di settore la nuova norma, ”in aggiunta all’aumento delle accise e dei costi dei carburanti, alla dimenticata promessa pre-elettorale sull’abolizione del bollo auto e all’aumento della tassazione sulla RC auto di ulteriori 3,5 punti deliberata da decine di Province, porterà ad un ulteriore inasprimento della tassazione dell’auto nuova e usata, con rincari che supereranno anche l’80%”.

 

L’economia che si risveglia: a giugno in rialzo la vendita dei veicoli commerciali.

A giugno, il mercato dei veicoli commercialiha registrasto un incremento: +3,7% rispetto al 2009 (ma -20,7% rispetto al 2008).

Dopo la cosa del programma di incentivazione alla rottamazione, che ha visto una crescita del 26% nel primo trimestre del 2010, il mercato dei veicoli da lavoro in aprile e maggio aveva mantenuto un leggero incremento, (rispettivamente 2,6% e 2,4%). A giugno – secondo quanto comunicato da Unrae e Anfia – le vendite sono state 16.703, in lieve crescita (+3,7%) rispetto alle 16.106 del giugno 2009, che a sua volta aveva però evidenziato i volumi più bassi dal 1998. Il primo semestre, quindi, riduce la crescita ad un +14,8% con 101.728 consegne a fronte delle 88.623 del gennaio-giugno 2009.