Se i buoni pasto smuovono il Pil…

 

Si è tenuto a Roma il convegno Aumentare i buoni pasto per aumentare i consumiorganizzato a Montecitorio da Anseb, Fipe, Confcommercio, Cittadinanzattiva, Adiconsum, Adoc, Federconsumantori, Movimento Consumatori, Cgil, Cisl e Uil proprio per dimostrare, numeri alla mano, a quanto ammonta l’impatto economico sia a livello micro che macro se si eleva l’importo esentasse del buono pasto fissato nel 1998 a 5,29 euro.

Aumentare il valore di deducibilità fiscale del buono pasto, ad oggi distribuiti solo a due milioni e mezzo di lavoratori, avrebbe ripercussioni immediate sul Prodotto interno lordo, sul valore aggiunto e sul gettito fiscale. Ogni euro aggiuntivo di deducibilità del buono genera in teoria un aumento dello 0,1% di Pil, un incremento di valore aggiunto da 0,75 a 1,35 miliardi di euro, mentre il gettito aggiuntivo netto di entrate fiscali può arrivare fino a 330 milioni di euro.

E qualcuno inizia a pensarci…

JM

E’ necessario cambiare gli appalti per i buoni pasto

In merito ai recenti problemi sorti per quanto riguardo gli appalti per i buoni pasto, con liti in merito alla modalità da adottare tra i criteri del massimo ribasso e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’Anseb si appella ancora una volta all’Autorità di vigilanza per porre rimedio al dubbio.

L’associazione emettitori buoni pasto aderente a Fipe-Confcommercio torna di nuovo sul tema in maniera chiara e forte: “Nella scelta tra il criterio del massimo ribasso e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la scelta deve cadere sul secondo e deve dare una reale importanza del progetto di servizio rispetto al prezzo“.

“L’offerta economicamente più vantaggiosa – afferma Franco Tumino, presidente Anseb – richiede all’impresa uno studio ed un progetto di servizio approfondito. Questo spingerà le imprese a investire in figure professionali (giovani e dotate di livelli di istruzione superiore) e sulle innovazione del processo e del prodotto. È soprattutto così che si può determinare una svolta per l’Italia: una scelta che sarebbe fondamentale per uscire dalla crescita stagnante e dalla produttività deludente del nostro Paese, visto che nei servizi si fa il 70% del Pil e dell’occupazione e che gli appalti di servizi sono la quota maggiore degli appalti pubblici”.

“Bisogna rafforzare la raccomandazione alle stazioni appaltanti – conclude Tumino – perché usino il criterio dell’offerta economica più vantaggiosa, richiamandole all’obbligo di motivare dettagliatamente ed in modo controllabile pubblicamente le decisioni di ricorrere invece a gare al massimo ribasso, anche in considerazione della delicatezza del settore caratterizzato da un’elevata manodopera (in riferimento soprattutto al lavoro presente negli esercizi pubblici affiliati) e importante per la qualità dell’alimentazione e per la salute dei lavoratori”.