Nessun obbligo di comunicazione se la compilazione è senza errori

Se la fase di compilazione risulta senza errori non c’è obbligo di comunicazione o di invito al contribuente. L’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dagli articoli 36-bis del Dpr 600/1973 e 54-bis del Dpr 633/1972 è condizionata alla preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente esclusivamente nel caso in cui dal controllo medesimo scaturiscano errori compiuti in sede di dichiarazione. Soltanto in questa ipotesi di irregolarità sorge in capo all’Amministrazione finanziaria l’obbligo di comunicazione per la liquidazione di imposte, contributi, premi e rimborsi. Questo il principio contenuto nell’ordinanza 11429 emessa dalla Corte di cassazione il 6 luglio 2012.

Il fatto
La vicenda trae origine dal ricorso proposto da un contribuente a seguito della notifica di cartelle di pagamento emesse per il recupero di Iva e Irap relativi all’anno d’imposta 2000.
Il ricorso era stato accolto sia in sede di primo grado che in appello.
I giudici di secondo grado, in particolare, avevano ritenuto che le cartelle emesse con le modalità ex articolo 36-bis Dpr 600/1973 e articolo 54-bis del Dpr 633/1972 fossero illegittime in quanto l’iscrizione a ruolo dei tributi richiesti non era stata preceduta dalla comunicazione delle irregolarità riscontrate e dall’avviso bonario previsto dall’articolo 6 della legge 212/2000.
Avverso la sentenza de qua la soccombente Agenzia delle Entrate esperiva a sua volta ricorso per cassazione.
La Suprema corte accoglieva le doglianze dell’ufficio cassando la sentenza impugnata e procedendo al rinvio a un’altra sezione della medesima Commissione tributaria regionale.

La decisione
Con la pronuncia in commento, la Cassazione è tornata a decidere in tema di legittimità dell’azione dell’Amministrazione finanziaria con riferimento alle procedure di liquidazione delle imposte.
I controlli di cui si parla sono quelli disciplinati dagli articoli 36-bis del Dpr 600/1973 (per le imposte dirette), e 54-bis del Dpr 633/1972 (per l’imposta sul valore aggiunto), previsti dal legislatore con lo scopo di correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella redazione delle dichiarazioni dei redditi.

A tal riguardo, giova ricordare che, nel caso in cui da tale controllo emerga un risultato diverso da quello indicato dal contribuente, l’ufficio provvede all’invio di una comunicazione in cui sono dettagliate le rettifiche operate, con l’indicazione delle relative imposte, sanzioni e interessi.

Le modalità inerenti tali comunicazioni di irregolarità sono disciplinate dall’articolo 6, comma 5, della legge 212/2000, secondo cui, prima di procedere all’iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti da dichiarazione, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti attinenti la medesima dichiarazione, l’ufficio deve invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti giustificativi entro un termine congruo, comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta.

Nel caso sottoposto al giudizio di legittimità, l’Agenzia delle Entrate lamentava la violazione delle norme attinenti il controllo “automatizzato” delle dichiarazioni, laddove i giudici della Ctr hanno ritenuto illegittima l’iscrizione a ruolo delle imposte dovute in quanto la relativa cartella di pagamento non era stata preceduta dalla comunicazione dell’esito della liquidazione e dall’invito a fornire chiarimenti.

La Corte suprema ha ritenuto fondate le doglianze dell’Amministrazione finanziaria, in quanto “l’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dagli artt. 36-bis, co. 3 del D.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di tributi diretti) e 54-bis, co. 3 del D.P.R. 633 del 1972 (in materia di IVA) non è condizionata dalla preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che il controllo medesimo non rilevi l’esistenza di errori, essendovi solo in tale ipotesi di irregolarità riscontrata nella dichiarazione, l’obbligo di comunicazione per la liquidazione d’imposta, contributi, premi e rimborsi”.
In questa prospettiva, l’operato dell’ufficio, che non ha comunicato l’esito della liquidazione in quanto non era stato rilevato alcun errore del contribuente, non viola né il disposto degli articoli 36-bis, Dpr 600/1973, e 54-bis, Dpr 633/1972, né quello dell’articolo 6, comma 5, dello Statuto del Contribuente (legge 212/2000).

In buona sostanza, a parere dei giudici di Cassazione, lo scopo della comunicazione è quello di consentire al contribuente di sanare gli errori da questi commessi nella redazione della dichiarazione e riscontrati in sede di controllo.
In questo modo si evita il reiterarsi di errori consentendo, al contempo, la possibilità di un ravvedimento onde evitare l’iscrizione a ruolo delle somme dovute e la notifica della relativa cartella di pagamento, nonché l’instaurarsi dell’eventuale contenzioso.

L’ordinanza in commento ricalca i principi enunciati dalla medesima Corte in due pronunce del 2010 (la sentenza n. 17396 del 23 luglio e l’ordinanza n. 22035 del 28 ottobre), aventi a oggetto questioni inerenti l’obbligatorietà della comunicazione di irregolarità da parte dell’Agenzia delle Entrate in caso di omesso o carente versamento delle imposte dichiarate.

I giudici hanno chiarito che il disposto dell’articolo 36-bis non prevede alcun obbligo assoluto in capo all’ente impositore di comunicare l’esito della liquidazione delle dichiarazioni.
A riguardo, l’obbligo di comunicazione è limitato ai casi in cui dai controlli automatici emerga un risultato non conforme a quello indicato nella dichiarazione dei redditi; d’altra parte, osserva il Collegio, nessuna delle norme riferite impone alcuna sanzione di nullità per l’inosservanza dell’incombenza.
Se ne deduce, pertanto, che nel caso in cui l’ufficio impositore non apporti alcuna azione correttiva ai dati (“di scienza”) rappresentati dal contribuente e, quindi, non pervenga a un risultato diverso rispetto a quello dichiarato, è giuridicamente corretto affermare che non sorge alcun obbligo di preventiva comunicazione al contribuente né è ravvisabile alcuna violazione dei diritti posti a salvaguardia della propria difesa.

CNF: le novità sul processo civile penalizzano le imprese

Il Consiglio Nazionale Forense, nel documento sull’articolo 54 del decreto legge Sviluppo, ritiene inaccettabile l’eliminazione del ricorso per cassazione per contraddittoria motivazione e in caso di “doppia conforme”, ossia quando l’appello è stato dichiarato inammissibile o rigettato perché fondato sulle stesse ragioni di fatto della sentenza di primo grado. Il filtro in appello, poi, è una iniziativa sbagliata che non farà che aumentare il carico sulla Corte di Cassazione e allungare i tempi dei ricorsi “fondati”. Entrambe le modifiche al codice di procedura civile creano un cortocircuito che non avrà l’effetto di ridurre i tempi della giustizia, perché prevedono canali accelerati dimenticando che il contesto è oberato. Il Consiglio nazionale forense ha elaborato, in un documento approvato dal plenum il 22 giugno, la ragioni “scientifiche” delle gravi preoccupazioni già espresse lo scorso 22 giugno per le norme sul processo civile contenute nel testo del decreto legge Sviluppo (n.83/2012), in vigore dal 26 giugno scorso. Norme, sottolinea il Cnf, discutibilmente presentate come misure per il rilancio delle imprese. Il documento verrà inoltrato a Governo e Parlamento, che dovrà convertire in legge il dl.
Filtro in appello Il Cnf boccia la norma: in caso di ordinanza di non ammissione l’appellante comunque ricorrerà in cassazione e dunque si rischia di gravare ancora di più la suprema corte. E oltretutto, si crea una corsia preferenziale per i ricorsi supposti infondati; con il ché si allungheranno i tempi per i ricorsi fondanti. Il parametro di ammissibilità non è fondato sull’importanza della questione (come è di regola negli altri paesi) ma sulla “ragionevole probabilità di accoglimento”; criterio “generico e indeterminato ed esposto ad arbitrio” e in conflitto con i principi della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha stabilito che ove sia previsto un grado di impugnazione esso non può esser sottoposto a condizioni eccessivamente discrezionali. Sono incomprensibili, infine, le eccezioni (che impongono il giudizio d’appello) che non attengono alle questioni di maggiore rilevanza sociale od economica.

Modifiche ai ricorsi in Cassazione Il testo elimina il ricorso per vizi di contraddittoria o insufficiente motivazione sulle questioni di fatto; e per vizio di motivazione in fatto, quando il giudice di secondo grado ha dichiarato inammissibile l’appello secondo le nuove regole (una sorte di doppia conforme). L’avvocatura plaude alla eliminazione, tra i motivi di ricorso, di quello per insufficiente motivazione, che porta a dichiarare inammissibili tutti i ricorsi che puntano a un terzo grado di merito e dunque è una misura efficace. Ma critica fortemente le altre due previsioni. La prima perché velleitaria: i casi sono ridotti e dunque non si avrà l’effetto deflattivo sperato; e si tenderà ad assorbire il ricorso nelle ipotesi di motivazione apparente: vanificando anche per questa via l’efficacia di una misura che peraltro presenta profili di incostituzionalità. Circa la seconda previsione (doppia conforme), sarebbe viziata da incostituzionalità per violazione del principio di uguaglianza visto che sbarra l’accesso in cassazione sia nel caso in cui la pronuncia di inammissibilità del ricorso di appello sia adottata in sede delibativa sia in caso di cognizione piena, senza tenere conto che nel primo caso la parte ha maggiormente necessità di tutela.