Divieto di compensazione dell’assegno di mantenimento con altri crediti

Quando due coniugi sono in fase di separazione e poi divorziano è necessario regolare anche i rapporti economici tra marito e moglie e tra ciascun coniuge e i figli. Solitamente al coniuge economicamente più debole, fatte tutte le valutazioni, viene riconosciuto il diritto a percepire un assegno di mantenimento. Viene inoltre fissato un assegno di mantenimento anche in favore dei figli,  da corrispondere, se questi sono minori, al coniuge presso il quale gli stessi sono prevalentemente collocati. In giurisprudenza sul merito si sono formati diversi dubbi interpretativi e tra cui quello inerente il divieto di compensazione dell’assegno di mantenimento con altri crediti. La giurisprudenza costante opta per il divieto di tali operazioni, ma vediamo nel dettaglio le varie ipotesi.

Cosa vuol dire divieto di compensazione dell’assegno di mantenimento con altri crediti?

La prima cosa da chiarire è cosa si intende per compensazione dei crediti. L’articolo 1241 del Codice Civile stabilisce che: Quando due persone sono obbligate l’una verso l’altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti”. Mentre l’articolo 1243 del Codice Civile stabilisce che per applicare la compensazione è necessario che i crediti siano entrambi liquidi ed esigibili. Lo stesso articolo stabilisce che se uno dei due crediti è esigibile, ma non liquido, ma di facile liquidazione si può optare per la compensazione giudiziale.

Quando si parla di divieto di compensazione con altri crediti dell’assegno di mantenimento si è nell’ipotesi in cui il coniuge A (solitamente il marito) è obbligato a versare nei confronti del coniuge B e dei figli l’assegno di mantenimento. A sua volta il coniuge B è debitore nei confronti del coniuge A ( magari perché ha svuotato il conte in comunione e deve restituire la coniuge A la sua quota). A questo punto il coniuge A non versa l’assegno di mantenimento adducendo quale motivazione la compensazione con questi crediti, già riconosciuti dal giudice con sentenza passata in giudicato e quindi esigibili.

In questi casi molti potrebbero propendere con il pensare che tale comportamento sia rispettoso delle normative, in realtà non è così, infatti la giurisprudenza pressoché costante è unanime nell’affermare che sia vigente il divieto di compensazione con altri crediti dell’assegno di mantenimento. Solo per avere un quadro esaustivo ricordiamo che il coniuge a cui è addebitata la separazione/divorzio,  anche se economicamente più debole, non ha diritto all’assegno di mantenimento, ma esclusivamente all’assegno alimentare, inoltre la giurisprudenza recente più volte ha esortato i coniugi ad una maggiore indipendenza economica, invitando quello più debole a cercare un’occupazione rendendo così l’assegno di mantenimento in suo favore temporaneo.

Il divieto di compensazione dell’assegno di mantenimento nel codice penale

La Corte di Cassazione nella sentenza 9553 del 2020 ha stabilito che il soggetto obbligato a versare gli assegni di mantenimento non può opporre il diritto alla compensazione con i crediti da lui vantati nei confronti del titolare di tale diritto, in quanto il mancato versamento integra il reato previsto dall’articolo 570 bis del codice penale. Questo stabilisce che “Le pene previste dall’articolo 570 applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”, inserito all’interno del codice penale con l’articolo 2 del D. Lgs. 01/03/2018, n. 21.

Genitore, padre o madre, che vanta un credito può smettere di versare l’assegno di mantenimento ai figli?

In realtà la Corte di Cassazione sul punto è unanime soprattutto per quanto riguarda l’assegno stabilito in favore dei figli, infatti la sentenza 49543/2014 della Corte di Cassazione sottolinea che in realtà lo stato di bisogno per i figli si presume sempre. Già la sentenza 28987 del 2008 definisce l’assegno in favore dei figli “sostanzialmente alimentare”e quindi non compensabile, questa stessa sentenza è alla base della sentenza della Corte di Cassazione 23569 del 18/11/2016.

Sulla stessa linea anche l’ordinanza della Corte di Cassazione 11689/18,  che sottolinea che l’assegno di mantenimento in favore dei figli per il contributo al mantenimento non è disponibile, rinunciabile e, soprattutto, compensabile. Non solo, non è ripetibile. La Corte di Cassazione in un caso specifico ha accettato la richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento nei confronti del figlio per le mutate condizioni economiche. Allo stesso tempo, essendo le somme destinate a un uso immediato per le esigenze primarie, ha stabilito che non ci fosse diritto alle restituzione delle somme già versate in eccedenza e contemporaneamente per le somme ancora non versate si applicava il nuovo dispositivo. (ordinanza 13609 del 2016).

L’ex coniuge che vanta un credito può non versare il mantenimento all’altro coniuge?

Per quanto invece riguarda l’assegno di mantenimento in favore dell’ex coniuge , ci sono state delle titubanze, infatti in alcuni casi l’assegno di mantenimento in suo favore è stato diviso in due parti: una inerente l’obbligo alimentare e l’altra il mantenimento vero e proprio.

L’assegno alimentare in teoria avrebbe la funzione di far fronte alle esigenze primarie nei confronti di un soggetto che versa in stato di bisogno, cioè mangiare, mentre il mantenimento sarebbe diretto a fare in modo che l’ex coniuge possa mantenere lo stesso tenore di vita che aveva in costanza di matrimonio e proprio per questo lo stesso potrebbe essere portato in compensazione.

In particolare la sentenza 6519 del 1996 della Corte di Cassazione civile Sez.III afferma che “Il credito dell’assegno di mantenimento attribuito dal giudice al coniuge separato senza addebito di responsabilità, ai sensi dell’art. 156 c.c., avendo la sua fonte legale nel diritto all’assistenza materiale inerente al vincolo coniugale e non nella incapacità della persona che versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, non rientra tra i crediti alimentari per i quali, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1246 comma primo, n. 5 e 447 c.c., non opera la compensazione legale”.

La natura dell’assegno di divorzio

Nella sentenza citata  la ex moglie aveva diritto all’assegno di mantenimento e allo stesso tempo era debitrice dell’ex marito e dichiarava di voler compensare tale suo debito con le somme che l’ex coniuge avrebbe dovuto versarle. In tale caso però non era possibile determinare quale fosse la quota di mantenimento spettante alla ex moglie e quale ai figli e di conseguenza comunque la compensazione non venne applicata, ma questo è stato ritenuto l’unico motivo ostativo.

Dello stesso tenore è la sentenza 9686 del 2020 pronunciata sempre dalla Corte di Cassazione e che afferma: l’assegno di mantenimento al coniuge separato non è qualificabile quale credito alimentare, posta la sua maggior latitudine, in cui è ricompresa la funzione”.

Nel caso in esame l’ex marito non versava l’assegno di divorzio e opponeva in compensazione il pagamento delle rate del mutuo fondiario stipulato insieme all’ex coniuge e la Corte ha sposato tale tesi portando in compensazione di due crediti.  Questa stessa sentenza distingue bene i due assegni, quello in favore del figlio e quello in favore del coniuge e infatti stabilisce che  nei confronti dei figli sipresuppone uno stato di bisogno strutturale proprio perché riferito a soggetti carenti di autonomia economica e come tali titolari di un diritto al sostentamento”.

In sintesi, non è possibile la compensazione tra assegno di mantenimento e crediti vantati se l’assegno è in favore dei figli, mentre se è in favore dell’ex coniuge, è necessario valutare di volta in volta la singola situazione, ma la compensazione non è esclusa perché l’assegno di mantenimento in suo favore non rientra nel credito alimentare.

Quando si può smettere di pagare l’assegno di mantenimento per i figli?

A seguito di una separazione legale o di un divorzio, il coniuge non convivente con il figlio è obbligato a versare l’assegno di mantenimento all’altro genitore. Ma fino a quando è tenuto a pagarlo? Le cose cambiano con il raggiungimento della maggiore età? Scopriamo cosa prevede la legge, ma soprattutto come sono cambiate le regole a partire dagli ultimi mesi dell’anno 2020.

L’assegno di mantenimento è dovuto ai figli maggiorenni?

Fino a circa un anno fa, l’assegno di mantenimento per i figli era dovuto a prescindere dal compimento della maggiore età. Nello specifico, il genitore obbligato era tenuto a pagarlo fino a quando il figlio non avesse raggiunto l’indipendenza economica. Oppure, nel caso non fosse diventato autonomo per colpa sua.

Quest’ultima ipotesi si sostanziava qualora il figlio maggiorenne avesse rifiutato un lavoro che era in grado di svolgere, o nel caso di ritardato conseguimento della laurea a causa di negligenza, o ancora per mancato impegno nel trovarsi un’occupazione lavorativa dopo aver raggiunto un’età avanzata, nonché per dimissioni da un posto di lavoro senza valido motivo.

Tali regole erano abbastanza generiche e la relativa valutazione da parte di un giudice non era affatto facile in quanto avrebbe dovuto tenere conto di tutti gli aspetti, prima di arrivare a una decisione finale. Tendenzialmente, il genitore obbligato al versamento dell’assegno di mantenimento per i figli si protraeva anche per molti anni dopo il raggiungimento della maggiore età.

Le nuove regole sul mantenimento dei figli maggiorenni

Come già anticipato poc’anzi, i presupposti per il pagamento dell’assegno di mantenimento per i figli maggiorenni è cambiato da poco meno di un anno. Entrando nel dettaglio, la sentenza di Cassazione n. 17183 pronunciata il 14 agosto 2020 fa molta leva sulla responsabilità del figlio stesso. I giudici hanno ritenuto che quest’ultimo non può limitarsi ad attendere il lavoro sognato, ma darsi da fare per cercare un qualsiasi occupazione che gli consenta di sostenersi economicamente.

Quando un figlio diventa maggiorenne diventa anche capace di determinare la sua vita anche dal punto di vista economico, pertanto, dovrebbe decadere l’obbligo del genitore di mantenerlo.

Tuttavia, la Cassazione precisa che non si tratta di una regola inamovibile, ma ci sono altri aspetti da considerare. Innanzitutto, il figlio maggiorenne deve avere a disposizione un certo periodo di tempo per entrare nel mondo del lavoro. Ciò significa anche che gli si deve concedere la possibilità di ultimare il percorso di studi che ha scelto e, successivamente, un ulteriore lasso temporale che gli permetta di trovare un’occupazione lavorativa.

Dopo tali concessioni, il figlio non ha più alibi e deve impegnarsi al massimo per trovare un lavoro che gli consenta di provvedere economicamente a se stesso. Il giudice può continuare ad obbligare il genitore a corrispondere al figlio l’assegno di mantenimento, solo nel caso in cui quest’ultimo dimostri di averle provate tutte per cercare un lavoro, senza successo.

Se il mantenimento viene chiesto dal genitore convivente, è lui a dover fornire la prova. Nel caso la richiesta provenga direttamente dal figlio, allora, tocca a quest’ultimo provarlo.

In cosa consiste la prova che determina il ricevimento dell’assegno?

Per continuare a percepire il mantenimento dal genitore non convivente, il figlio deve trovarsi in una condizione di menomazione o debolezza personale come potrebbe essere una patologia. Oppure, deve dimostrare di ricevere buoni voti a scuola con l’aspettativa di continuare gli studi universitari. Se gli studi sono stati completati, deve provare che non è trascorso ancora un periodo di tempo sufficiente per trovare un lavoro. In alternativa, deve dimostrare che ha fatto di tutto per trovarlo ma che ogni tentativo è andato vano.

Entriamo ancor più nello specifico, per capire meglio quanto è dovuto o meno l’assegno di mantenimento in determinati casi.

Il mantenimento deve essere pagato se il figlio maggiorenne frequenta l’Università?

Rispetto ai tempi antecedenti la sentenza di Cassazione del 14/08/2020, qualcosa cambia. Per mantenere il diritto all’assegno, il figlio che frequenta l’Università deve conseguire buoni risultati e non andare fuori corso. Inoltre, i giudici hanno chiarito che il rischio di perdere il mantenimento è ancora più alto se egli vive lontano dalla casa di famiglia, rientrando ogni tanto come se fosse un ospite.

Cosa succede se il figlio maggiorenne che percepisce il mantenimento non ha un lavoro a tempo indeterminato?

Una volta ultimati gli studi, se il figlio trova un lavoro precario, difficilmente un giudice concederà al genitore la revoca dall’obbligo di mantenimento. In caso di occupazione a tempo determinato, la situazione cambia. Non essendo considerato, soprattutto con i tempi che corrono in cui avere un contratto a tempo indeterminato è molto difficile, un lavoro precario, il giudice può decidere di esonerare il genitore dall’obbligo di versamento dell’assegno.

Nessuna novità sul mantenimento per il figlio invalido

Come ovvio che sia, le nuove regole della Cassazione non vanno a modificare la situazione del figlio maggiorenne disabile. Va sempre valutato il grado di gravità dell’handicap, e se tale condizione non gli permette di accedere a un lavoro protetto, continuerà a ricevere l’assegno di mantenimento, anche se, in alcuni casi, parziale.

Conclusioni

Sulla base della legge in vigore che regola il diritto ad ottenere l’assegno di mantenimento da parte del figlio maggiorenne e, soprattutto alla luce delle nuove regole introdotte dalla Cassazione, resta comunque fondamentale la valutazione, caso per caso, di un giudice. Ciò vuol dire, che i genitori separati o divorziati, prima di decidere arbitrariamente di sospendere il mantenimento, farebbero bene a rivolgersi a un avvocato specializzato in diritto di famiglia, allo scopo di capire quante siano le possibilità di ottenere l’esonero dal pagamento dell’assegno da un giudice.

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Assegno di divorzio: presupposti e calcolo

L’assegno di divorzio scatta a seguito della pronuncia di scioglimento del matrimonio, la quale può avvenire dopo sei mesi dalla separazione consensuale o un anno in caso di separazione giudiziale.

Cos’è l’assegno divorzile

L’assegno di divorzio consiste in una somma di denaro che il coniuge ritenuto economicamente più forte eroga periodicamente a favore di quello più debole. L’assegno divorzile ha lo scopo di garantire quel sostentamento al coniuge che non riesce a ottenere da solo, in quanto non fornito degli strumenti necessari e adeguati oppure impossibilitato a reperirli, ma solo per motivi fondati.

Per queste ragioni, il giudice valuterà le condizioni personali, economiche, patrimoniali e professionali dei due ex coniugi. Come? Attraverso l’analisi della situazione reddituale, allo stato di salute, all’età, alla formazione scolastica e/o accademica e alla capacità lavorativa di entrambi.

Quando spetta l’assegno di divorzio

L’assegno divorzile spetta al coniuge privo di propri redditi, ma che risulti impossibilitato allo svolgimento di un’attività lavorativa per ragioni personali o che l’inserimento nel mondo del lavoro risulti molto difficile. Tutto questo, viene stabilito proprio dalla preventiva analisi compiuta dal giudice.

Inoltre, il giudice verificherà quale sia stato il contributo personale dei due ex coniugi all’amministrazione familiare e alla formazione del loro patrimonio, del reddito di ambo le parti e dalla durata del matrimonio. Una volta ultimate tutte le procedure del caso, verrà stabilito dal tribunale chi è il coniuge obbligato al versamento periodico dell’assegno di divorzio.

Tuttavia, gli ex coniugi possono anche trovare un accordo sulla modalità di erogazione dell’assegno divorzile che può avvenire una tantum. In tal caso, la decisione deve essere avallata anche dal giudice.

Come si calcola l’assegno di divorzio

L’entità dell’assegno divorzile deve garantire l’autosufficienza economica del coniuge beneficiario, ma per stabilirne l’importo va valutata anche la condizione economica del coniuge obbligato.

A differenza dell’assegno di mantenimento che deve garantire lo stesso stile di vita tenuto dal coniuge economicamente più debole durante il matrimonio, l’assegno di divorzio, così come un qualsiasi altro contributo non è dovuto al coniuge autosufficiente.

L’assegno divorzile viene calcolato sui presupposti rappresentati dall’età, dallo stato di salute delle parti, dalla durata del matrimonio, dalla possibilità di lavorare da parte del coniuge non autosufficiente e l’impegno familiare di uno dei due ex coniugi di sacrificare la propria carriera lavorativa alla famiglia.

Assegno divorzile e assegno di mantenimento: differenza

I presupposti dell’assegno di divorzio differiscono da quelli dell’assegno di mantenimento. Per prima cosa, c’è da chiarire che quest’ultimo scatta dalla pronuncia di separazione consensuale o dalla sentenza di separazione giudiziale e termina, solitamente, con la pronuncia di divorzio. Il giudice decide se l’assegno di mantenimento spetta al coniuge richiedente, al quale non deve essere addebitata la separazione, pena la mancata concessione dell’assegno.

Come già accennato, l’entità dell’assegno di mantenimento deve tenere conto dello stile di vita mantenuto dal coniuge beneficiario nel corso del matrimonio, presupposto che non viene applicato nella determinazione dell’importo dell’assegno di divorzio.

La separazione fa venire meno i doveri di convivenza e fedeltà e gli effetti del rapporto vengono sospesi. Infatti, uno dei coniugi può intraprendere una nuova relazione o convivenza, ma senza poter contrarre matrimonio. Il divorzio rompe definitivamente il matrimonio e consente agli ex coniugi di sposarsi con un’altra persona.

Quando cessa l’obbligo di versamento dell’assegno di divorzio

Se il coniuge beneficiario convola a nozze con una terza persona abbiente, l’ex coniuge non è più obbligato a corrispondere l’assegno divorzile. Qualora sia proprio il coniuge obbligato a risposarsi, l’assegno di divorzio sarà ancora dovuto, ma il mantenimento della nuova famiglia può essere motivo per ridurne l’importo. La decisione spetta al Tribunale dopo l’esecuzione delle verifiche necessarie.

Il diritto all’assegno di divorzio decade nel caso di morte dell’ex coniuge. Tuttavia, il coniuge beneficiario può fruire di altre forme di tutela, come quella previdenziale. Nel caso in cui quest’ultimo si trova in stato di bisogno, ha diritto a un assegno successorio, ossia un assegno periodico a carico dell’eredità, sempre che abbia beneficiato in precedenza di un assegno divorzile periodico. L’entità dell’assegno successorio viene stabilita dal giudice previo l’analisi dei presupposti.

L’assegno di divorzio non è più dovuto nel caso in cui il coniuge beneficiario trova il modo di provvedere al proprio sostentamento, quindi, non versa più in stato di bisogno.

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