Reddito di cittadinanza: come calcolare quanto spetta di bonus per l’autoimprenditorialità?

I percettori del reddito di cittadinanza possono avviare un’attività in proprio e ottenere un bonus rispetto a quanto previsto dal sostegno erogato dall’Inps. Si tratta di un incentivo a iniziare una nuova attività che può essere l’apertura di un negozio, l’avvio di uno studio professionale o anche la partecipazione a un cooperativa o società. Ci si chiede quanto spetti dall’Inps come contributo aggiuntivo rispetto al reddito di cittadinanza per avviare un’attività autonoma?

Quanto spetta di bonus per l’avvio di una nuova attività rispetto al reddito di cittadinanza?

Il bonus per l’autoimprenditorialità spettante ai percettori del reddito di cittadinanza per l’avvio di una nuova attività è pari a 6 mensilità del reddito stesso. Il massimo che si può ottenere è di 4.680 euro, pari a 6 mensilità di 780 euro. È questo il massimale stabilito dalla normativa per la misura come importo massimo ottenibile con il reddito di cittadinanza. In realtà il massimale del bonus sarebbe dovuto spettare nella misura di seimila euro (1.000 euro per sei mensilità). Tuttavia, la normativa ha preso come riferimento questa somma come valore massimo ottenibile.

Esempi del calcolo del bonus autoimprenditorialità Inps per i percettori del reddito di cittadinanza

Il calcolo del bonus per l’autoimprenditorialità versato dall’Inps a integrazione del reddito di cittadinanza si effettua come rata ottenuta rispetto al reddito stesso. Pertanto, se la domanda del reddito di cittadinanza è stata accolta il 15 gennaio 2021, l’inizio dell’attività lavorativa autonoma è fissato al 15 settembre successivo e l’importo Rdc percepito nella mensilità di settembre 2021 è di 500 euro, al percettore spetterà anche il bonus autoimprenditorialità di 3.000 euro ottenuto da 500 euro per 6 mensilità.

Qual è il massimo importo che si può ottenere con il bonus autoimprenditorialità?

Lo stesso esempio si può fare per un percettore di reddito di cittadinanza la cui rata di settembre 2021 è pari a 1.000 euro. In questo caso, l’importo del bonus per l’autoimprenditorialità è pari sempre e comunque al massimo liquidabile, ovvero 780 euro. Pertanto, il contributo aggiuntivo dell’Inps è pari a 780 euro per 6 mensilità, corrispondente a 4.680 euro. Rispetto alla domanda, il bonus verrà pagato in un’unica soluzione entro il termine dei due mesi successivi.

Da quando parte l’erogazione del bonus per l’autoimpiego dell’Inps ai percettori del reddito di cittadinanza?

L’Inps, dunque, paga il bonus per l’avvio di una nuova attività ai percettori del reddito di cittadinanza, normalmente in un’unica soluzione. Il termine per il pagamento è il secondo mese successivo a quello nel quale si è presentata la domanda. Pertanto, se il percettore del Rdc ha presentato la domanda entro la fine di ottobre scorso, l’Inps eroga il bonus entro la fine dicembre. Tuttavia, l’importo che spetta per l’avvio della nuova attività viene calcolato in riferimento al mese nel quale è stata avviata l’attività stessa. La data effettivo di inizio attività è quella risultante da quanto dichiarato nel modello Rdc Com Esteso. È infatti questo il modulo Inps da utilizzare per presentare l’istanza del contributo aggiuntivo.

Entro quando si deve presentare la domanda del bonus di autoimprenditorialità rispetto all’inizio della nuova attività?

In ogni caso, la data di inizio effettiva dell’attività dei percettori del reddito di cittadinanza non può essere successiva ai 30 giorni previsti per la presentazione della domanda stessa. Pertanto, se la domanda del reddito di cittadinanza è stata accolta il 15 gennaio 2021 e l’inizio della nuova attività avviene alla metà del mese di settembre successivo, per ottenere il bonus si deve presentare la domanda entro i 30 giorni successivi, ovvero entro la metà di ottobre.

Imprenditore individuale deceduto: come funziona la successione per la ditta?

Cosa avviene nel caso in cui l’imprenditore individuale muoia e gli eredi vogliano continuare l’attività? In prima battuta, con la morte del titolare, l’impresa individuale cessa facendo spazio alla comunione ereditaria. Quest’ultima, conosciuta anche come “incidentale”, sopraggiunge a prescindere dalla volontà degli eredi. Infatti, gli eredi succedono nella stessa eredità, composta contemporaneamente da tutti i beni e anche dall’azienda individuale stessa.

Successione aziendale: la comunione ereditaria

La comunione ereditaria, ai sensi dell’articolo 485 del Codice civile, inizia quando i chiamati accettano l’eredità. Se l’impresa si eredita come comunione, non diventa automaticamente una società. Infatti, in regime di comunione, gli eredi partecipano:

  • alla mera amministrazione della società;
  • al godimento diretto e indiretto;
  • alla gestione meramente strumentale dei beni ereditati.

Impresa individuale, gli eredi non proseguono l’attività

Nel caso in cui gli eredi non intendano proseguire l’attività individuale, trova applicazione la lettera h-bis dell’articolo 67 del Testo unico sulle imposte sui redditi (Tuir) che disciplina i redditi diversi. In tal caso, da un punto di vista fiscale, l’Irpef sarà dovuta solo in caso di cessione dei singoli beni aziendali o dell’impresa nel suo complesso.

Tassazione pro-quota eredi

L’importo da dichiarare sarà dato dalla differenza tra il corrispettivo della cessione e il valore fiscalmente riconosciuto dei beni dell’azienda che fanno capo all’imprenditore deceduto. La plusvalenza realizzata verrà tassata pro-quota tra gli eredi, secondo il criterio di cassa, al pari di quanto succede per la generalità dei redditi diversi.

Azienda individuale tra gli eredi, è necessaria la regolarizzazione entro un anno

Se gli eredi del titolare dell’azienda sono più di uno e manifestano la volontà di continuare l’attività dell’impresa, la comunione ereditaria si assimila a una società di fatto. In altre parole sorge una società di fatto tra gli stessi eredi. La società ereditata, in questo caso, deve essere regolarizzata entro un anno in una società di persone o di capitali. A tal proposito, la Sezione V della Corte di Cassazione si è espressa con la sentenza numero 14889 del 17 novembre 2000. Nella decisione si presume che l’impresa individuale, alla morte del titolare, non cessi con una necessaria fase di liquidazione. L’attività continua nella forma di comunione, in mancanza di atti formali che facciano configurare una società di fatto tra i chiamati all’eredità.

Successione d’azienda: cosa significa società di fatto?

Non essendosi costituita per atto scritto e non essendo iscritta nel registro delle imprese della Camera di Commercio, la società di fatto è una società irregolare. La società di fatto è regolata dalle disposizioni inerenti alle società semplici fino al momento in cui non si provvederà a presentare iscrizione al registro delle imprese. In questo regime, la società di fatto ha minore autonomia patrimoniale rispetto alle società registrate.

Società di fatto e possesso di immobili

Il rispetto del termine di un anno per la regolarizzazione è, inoltre, fondamentale nel caso in cui l’azienda individuale sia proprietaria di immobili. In questo caso, gli eredi potranno usufruire della tassazione fissa ma, al superamento del termine, verranno applicate le consuete imposte proporzionali con eventuali sanzioni.

Nomina rappresentante legale della comunione

Passaggio fondamentale nel regime di comunione è la nomina del rappresentante legale secondo quanto prevedono gli articoli 1105 e 1106 del codice civile. In particolare, l’articolo 1106 disciplina che “l’amministrazione può essere delegata ad uno o più partecipanti, o anche a un estraneo, determinandosi i poteri e gli obblighi dell’amministratore”. Inoltre, l’amministratore della comunione è un mandatario avente posizione giuridica in conseguenza proprio della delega, atto con il quale viene conferito l’incarico da parte dei comunisti.

Comunicazione all’Agenzia delle entrate

Nel caso in cui gli eredi intendano continuare l’attività, dunque, è necessaria la registrazione con la comunicazione all’Agenzia delle entrate. Il rappresentante legale della comunione ereditaria deve inoltrare, nel termine dei trenta giorni dalla morte dell’imprenditore, la modifica dei dati Iva indicando contestualmente gli identificativi della comunione ereditaria. In genere, la denominazione si attua nella forma di “Comunione ereditaria di” oppure “Eredi di”, facendo seguire il nome dell’imprenditore defunto.

Modelli da compilare all’Agenzia delle entrate

Il modello da utilizzare all’Agenzia delle entrate è l’AA7, con indicazione del numero 23 corrispondente alle società semplice ed equiparate. Si dovrà inoltre compilare il quadro D selezionando la casella della successione ereditaria (1E) e indicare la partita Iva dell’imprenditore defunto per la sua cancellazione. Nel caso in cui gli eredi dovessero decidere di non continuare l’attività dovrà essere compilato il modello AA9 da uno degli eredi. In questo caso la dichiarazione da fornire è quella di cessazione di attività.

Casi particolari di liquidazione

Nel caso in cui l’attività di liquidazione si presentasse complessa e non potendosi perfezionare nel breve termine, dovrà essere compilato il modello AA9, ma la partita Iva dell’imprenditore defunto non dovrà essere cessata. Nel modello si procederà alla variazione dei dati con l’indicazione del rappresentante della comunione. Il modello serve, dunque, per la comunicazione del decesso.

Come si aggiunge un codice Ateco a una Partita Iva?

Scegliere il codice Ateco giusto per la descrizione della propria attività è, senza dubbio, uno dei crucci da affrontare in particolare all’atto dell’apertura della partita Iva. Il codice Ateco rappresenta una tipologia di classificazione delle attività economiche basata su una combinazione alfanumerica.

Che cos’è il codice Ateco?

La classificazione dei codici Ateco (o anche codice attività) è utilizzata dall’Istat per le rilevazioni di carattere economiche. Per ogni attività economica classificata esiste un codice le cui lettere indicano il macro settore dell’attività economica, mentre i numeri descrivono, via via, le sottocategorie. Il codice attività è particolarmente importante all’apertura di una nuova partita Iva. È infatti indispensabile comunicare all’Agenzia delle Entrate il tipo di attività che si andrà a svolgere con la nuova posizione lavorativa. La scelta del codice giusto deriva, pertanto, da un’accurata ricerca per identificare il codice che maggiormente descrive la nuova attività.

A cosa serve il codice Ateco?

In prima battuta, il codice Ateco serve a identificare il tipo di attività della partita Iva in apertura. In particolare, l’attribuzione del codice giusto è importanti ai fini del controllo dell’Agenzia delle Entrate e della Camera di commercio per le imprese. Attraverso il codice alfanumerico si riesce a determinare la categoria statistica, contabile e fiscale della partita Iva. Inoltre, il codice è necessario anche in ambito di sicurezza del lavoro ai fini Inail: in questo caso, il codice attività identifica il rischio connesso al tipo di attività svolta.

Come scegliere il codice Ateco giusto?

La scelta del codice Ateco parte dalla descrizione dell’attività nella maniera più chiara possibile. Sul sito dell’Istat, nella sezione “Classificazione delle attività economiche Ateco 2007”, è possibile utilizzare gli strumenti per individuare il codice alfanumerico giusto. Nella pagina di ricerca del codice Ateco dell’Istat, è necessario inserire nel primo spazio disponibile la descrizione dell’attività (“Individua un codice attività”). La descrizione sintetica porterà a un risultato di ricerca che potrà essere confermato. Ad esempio, inserendo nel campo di ricerca “barista”, il risultato che il sito restituisce, da confermare, è il codice “56.30.00″, con la descrizione dell’attività corrispondente a “Bar e altri esercizi simili senza cucina”. 

Ricerca codice Ateco sul sito Istat

Tra le opzioni di ricerca del codice Ateco sul sito Istat è possibile procedere anche con la ricerca per codice di attività, ovvero avendo già il codice è possibile sapere a quale tipologia di attività corrisponda. Infine, le possibilità di ricerca permettono di poter procedere per aggregati andando, di volta in volta, a spacchettare il gruppo omogeneo per arrivare al codice preciso. Questa tipologia di ricerca è utile soprattutto quando non si ha una professione ben definita e si voglia arrivare al codice Ateco andando a identificare esattamente il tipo di attività da svolgere.

Come cercare il codice Ateco, un esempio pratico

Volendo cercare il proprio codice Ateco da una generica descrizione della propria attività, ad esempio allevatore di bovini da latte, è necessario procedere partendo dal gruppo più omogeneo, ovvero quello dell’Agricoltura, silvicoltura e pesca. All’interno del gruppo, che Ateco 2007 classifica con il primo codice “01”, è necessario andare a cliccare sul “+” per spacchettare il settore ed entrare più nello specifico. All’interno della classificazione, si va a selezionare la macroarea più corrispondente, ovvero quella dell'”allevamento di animali”, alla quale fa capo il codice 01.4.

Codici Ateco, come rendere la ricerca il più precisa possibile

Cliccando sul “+” di questa voce, la ricerca entra più nel dettaglio andando a individuare la voce più precisa, corrispondente all’attività “Allevamento di bovini da latte” con codice 01.41. Il passaggio successivo (cliccando nuovamente sul “+”) serve a individuare più capillarmente l’attività, corrispondente ad “Allevamento di bovini e bufale da latte, produzione di latte crudo”, alla quale corrisponderà il codice Ateco definitivo 01.41.00, che fornirà una descrizione completa di tutta l’attività con le varie ipotesi di esclusione (perché corrispondenti ad altre attività e ad altri codici Ateco). Nel nostro caso, sono escluse le attività svolte per conto terzo o le lavorazioni del latte all’esterno dell’azienda.

Perché il codice Ateco è importante per le partite Iva forfettarie?

Il codice Ateco è fondamentale soprattutto per il calcolo del reddito netto delle partite Iva ricadenti nel regime forfettario. Infatti, a ogni codice di attività è assegnato un coefficiente di redditività, variabile dal 40 all’86%. Fino al 2018 alle diverse attività era assegnato anche un diverso limite di fatturato. Ma dal 2019, con le modifiche fatte al regime forfettario delle partite Iva, il limite di fatturato per tutte le partite Iva è pari a 65.000 euro, con applicazione dell’imposta unica del 15% (del 5% per le nuove attività e per i primi cinque anni).

I codici Ateco per la partita Iva forfettaria

I codici Ateco attualmente in vigore e i coefficienti di redditività corrispondenti sono i seguenti:

  • Industrie alimentari e delle bevande, codici Ateco 10 e 11, coefficiente di redditività del 40%;
  • commercio all’ingrosso e al dettaglio, codici Ateco 45; da 46.2 a 46.9; da 47.1 a 47.7; 47.9; coefficiente del 40%;
  • commercio ambulante e di prodotti alimentari e bevande, codice Ateco 47.81, coefficiente di redditività 40%;
  • commercio ambulante di altri prodotti, 47.82-47.89, coefficiente del 54%;
  • costruzioni e attività immobiliari, 41; 42; 43; 68; coefficiente 86%;
  • intermediari del commercio, codice Ateco 46.1, coefficiente 62%;
  • attività dei servizi di alloggio e di ristorazione, codici 55 e 56, coefficiente 40%;
  • attività professionali, scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione, servizi finanziari ed assicurativi, codici 64; 65; 66; 69; 70; 71; 72; 73; 74; 75; 85; 86; 87; 88; coefficiente 78%;
  • altre attività economiche, codici Ateco 01; 02; 03; 05; 06; 07; 08; 09; 12; 13; 14; 15; 16; 17; 18; 19; 20; 21; 22; 23; 24; 25; 26; 27; 28; 29; 30; 31; 32; 33; 35; 36; 37; 38; 39; 49; 50; 51; 52; 53; 58; 59; 60; 61; 62; 63; 77; 78; 79; 80; 81; 82; 90; 91; 92; 93; 94; 95; 96; 97; 98; 99; coefficiente di redditività del 67%.

Se il franchising ci salverà

Continua a crescere in Italia il mercato del franchising. Crisi economica a parte, il settore ha registrato nel 2010 un trend di crescita notevole, con un incremento dell’1,8% del fatturato, che si stanzia adesso attorno ai 22 miliardi di euro.

Cresce il numero degli impiegati nel settore, con un + 3,3%, per un totale di 186.409 addetti, mentre il numero di insegne è aumentato del +1,6%, a quota 883 sul territorio nazionale. E’ quanto rivelano i dati del centro studi Antonio Fossati, docente di Marketing all’Università di Pavia e presidente di Rds su dati Assofranchising e Unioncamere.

Ma non finisce qui. Negli ultimi due anni, nonostante la pesante crisi economica che ha gravato sull’Europa, le reti in franchising sono aumentate del + 8,9%, a dispetto di molte aziende italiane che non hanno registrato tassi di crescita. Trend che rispecchia perfettamente quanto accade ormai da quasi 10 anni: l’analisi della natalità, calcolata come saldo tra dismissione e lancio di nuove attività imprenditoriali, rivela che le aziende in franchising hanno mostrato fra il 2003 e il 2010 un tasso di crescita in termini percentuali superiore rispetto alle aziende in generale. In particolare tra il 2006 e il 2007 il franchising è cresciuto 89 volte rispetto alle aziende e nel 2008-2009 la crescita è stata 23,6 volte superiore.

La voglia di mettersi in proprio non è calata negli ultimi anni – ha sottolineato Antonio Fossati, docente di Marketing all’Università di Pavia e presidente di Rds –, ma chi avvia un’attività imprenditoriale tende sempre più ad affidarsi a un network dal quale ottenere assistenza e consulenza“.

A.C.

Nuovi strumenti finanziari per gli artigiani in crisi

Uniscono le forze Confartigianato Imprese Sardegna e Banca di Credito Sardo, insieme per supportare le imprese artigiane nella crisi. In tal senso è pronto un accordo sottoscritto dall’associazione degli artigiani della Sardegna e l’istituto di credito sardo, che permetterà alle aziende sia di usufruire di nuovi strumenti per il sostegno finanziario e diagnostico, sia di instaurare un nuovo dialogo con le banche.

Anche le specificità territoriali della Sardegna saranno tutelate e valorizzate: l’accordo prevede che l’attuazione dello stesso avvenga attraverso il perfezionamento di specifici intese tra le associazioni territoriali di Confartigianato in Sardegna e Banca Intesa.

Diversi i punti fondamentali dell’accordo come, ad esempio, l’individuazione di nuove modalità di scambio di informazioni tra la banca e l’impresa a livello locale, la valorizzazione del rapporto con i Confidi, l’individuazione di strumenti di valutazione dell’impresa che consentano un’analisi completa dell‘attività imprenditoriale e l’individuazione di strumenti di finanziamento che possano supportare i processi di ricapitalizzazione dell’impresa, per fornire così maggiore liquidita’ per l’attivita’ imprenditoriale.

 

Marco Poggi