Federauto: “Il Governo ascolti le nostre proposte”

Ce lo aspettavamo e, puntualmente, è arrivato. Non per fare i pessimisti a tutti i costi (è un modo di pensare che non ci appartiene), ma l’ennesimo calo delle immatricolazioni di auto a ottobre era previsto ed è stato confermato.

Secondo i dati diffusi dal Ministero dei Trasporti, il mese scorso si è chiuso con 110.841 immatricolazioni di autovetture nuove segnando una flessione del -5,6% rispetto a ottobre 2012. “Le previsioni del nostro Osservatorio – ha commentato Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione che rappresenta i concessionari di tutti marchi commercializzati in Italia -, diramate lo scorso 30 ottobre, sono state confermate dal dato ufficiale che fotografa una flessione del -5,6% fra ottobre 2013 e ottobre 2012. E quindi, a dispetto di chi vorrebbe ‘vendere’ ottimismo ad ogni costo, il mercato auto non riparte. Anzi, continua nel suo ciclo negativo apertosi 41 mesi fa. Una nuova spia rossa lampeggiante, quindi, si è accesa sul cruscotto del settore automotive”.

Una filiera che, come tante nel nostro Paese, è da troppo tempo in grave sofferenza. Secondo Roberto Bolciaghi, presidente dell’associazione dei concessionari Renault, “a parte l’instabilità politica, che non ci fa bene, e l’incerto incedere dell’economia italiana, i mali primari che impediscono alla domanda di esprimersi con numeri adeguati sono la pressione fiscale e i costi di gestione. Ormai è dimostrato che ogniqualvolta lo Stato aumenta le tasse incassa sempre meno. Questo perché si contrae la domanda e i fatturati diminuiscono ingenerando un circolo vizioso che fa bruciare centinaia di migliaia di posti di lavoro”.

Non si tratta quindi di un male e di un calo che interessano solo il mondo delle concessionarie. Federauto ci ha messo del suo, tanto che Pavan Bernacchi ricorda numeri di mercato, impegni della filiera e rischi che il governo si deve prendere per rivitalizzare un settore che sta andando incontro a morte certa: “Il 2013 chiuderà presumibilmente attorno a 1.280.000 pezzi, registrando un -8% rispetto al 2012. Ma questo dato non rende giustizia alla realtà delle cose. Il mercato italiano dovrebbe esprimere circa 2.000.000 di pezzi. Mancano quindi all’appello 720.000 immatricolazioni rispetto alla media degli ultimi 5 anni. In altri termini stiamo performando il -35% rispetto a quanto la filiera, che dà lavoro a 1.200.000 persone, necessita per sopravvivere. Ma il paradosso è che lo Stato sta perdendo circa 3 miliardi tra Iva e altre imposte. Questo abbiamo sostenuto lo scorso 24 ottobre scorso nella riunione convocata dal Ministero dello Sviluppo Economico, nel primo giro di orizzonte fatto con il Ministro Zanonato e il Sottosegretario De Vincenti. Il Governo è stato informato con chiarezza, da parte di tutti i principali attori della filiera, di quanto la crisi sia profonda e articolata. Abbiamo lasciato sul Tavolo queste riflessioni con un nuovo appuntamento a fine mese. L’attenzione del Ministro e del Sottosegretario c’è stata e siamo loro grati, ma adesso ci aspettiamo che sul tema del mercato, quel mercato italiano, fanalino di coda europeo, che cala da 41 mesi, il Governo sia disponibile ad ascoltare le nostre proposte e a considerarle nella giusta prospettiva. Senza un intervento deciso, anche solo per detassare l’acquisto delle vetture o il loro utilizzo, la situazione è destinata a peggiorare al di là di quanto possano raccontare degli sterili numeri ”.

Filiera dell’auto, il brivido dell’ibrido

Oggi il ministero dei Trasporti renderà noti i dati sulle immatricolazioni, ma le previsioni, tanto per cambiare, sono tutt’altro che ottimistiche. Federauto prevede infatti una flessione del 5% delle immatricolazioni del mese scorso verso lo stesso periodo del 2012, quando la cifra si era collocata a poco meno di 117.400 unità. “Il panel di Federauto stimava un -9% rispetto allo stesso periodo dell’ottobre 2012. Questo, insieme ad altri dati raccolti dai concessionari ufficiali italiani, fa propendere il nostro osservatorio a prevedere per ottobre 2013 un calo complessivo del -5%“, ha detto Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto. E mentre prosegue il mercato nazionale dell’auto continua a essere uno dei grandi malati dell’economia italiana, volano le vendite di veicoli ad alimentazioni alternativa.

I dati contenuti nel IV Osservatorio Deloitte sull’Auto Elettrica presentati la scorsa settimana a Milano, in Assolombarda, durante il convegno “Come sta cambiando la mobilita” parlano da soli: le immatricolazioni sono ancora in calo (-8,4% rispetto ai primi 9 mesi del 2012), ma le vendite di veicoli ‘green’ registrano un’impennata. Da gennaio a ottobre le immatricolazioni di veicoli a metano hanno fatto segnare un aumento del 30%. Ma il vero boom è quello fatto registrare dalle auto ibride: nel giro di 9 mesi la loro presenza sul territorio nazionale è cresciuta del 141%. Bene anche i veicoli elettrici: le auto vendute sono state 588, in aumento del 64% rispetto ai primi 9 mesi del 2012.

L’Italia sembra dunque protagonista di una rivoluzione della mobilità e il settore dell’autonoleggio si prepara per intercettare questa nuova domanda. Lo studio Deloitte evidenzia che il 73% delle aziende di autonoleggio presenta veicoli elettrici e/o ibridi nella propria flotta.

Secondo il Ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, l’auto elettrica rappresenta ”un settore sempre più strategico per il nostro Paese” e in questo scenario ”l’auto elettrica può svolgere un ruolo cruciale perché rilancia le tecnologie italiane sostenibili e perché contribuisce a ridurre le emissioni, questione particolarmente sentita nel Nord e nella Pianura Padana”.

Quello che è certo, è che questi dati stridono con i dati relativi al mercato “tradizionale” dell’auto. Sempre secondo Pavan Bernacchi, “gli sterili numeri non danno la misura esatta dello tsunami che si è abbattuto sul nostro settore. Stiamo vendendo 750.000 vetture in meno rispetto alla media degli ultimi 5 anni e questo si traduce, in primis, in centinaia di migliaia di posti di lavoro bruciati”.

Con tanti saluti alla ripresa, che in tanti continuano a vedere.

Auto, quando la luce in fondo al tunnel?

Infoiva non poteva restare indifferente ai dati sulle immatricolazioni delle auto in Italia, diffusi la scorsa settimana, che hanno lasciato l’amaro in bocca agli operatori del settore. Non poteva restare indifferente proprio perché il settore comprende tantissime piccole imprese e tanti professionisti che già sono bastonati ogni giorno dalla crisi economica; in più, devono fare i conti con un segno meno che impatta su tutta la filiera, togliendo ossigeno a un settore che è sempre stato trainante per il Paese.

Ecco perché in questa settimana sentiremo alcune delle voci più autorevoli del comparto: per capire i motivi di questo profondo rosso; per sentire l’umore di chi, tutti i giorni, vede i propri margini erosi nonostante buona volontà e voglia di fare; per ascoltare idee e proposte per tamponare l’emorragia, tanto più importanti perché vengono “dal basso”, da chi ha a che fare quotidianamente con i reali problemi della filiera e dell’economia.

Crisi dell’auto, le colpe di governo e costruttori

Nell’intervista pubblicata ieri su Infoiva, il presidente di Anfia Roberto Vavassori ha fatto un’analisi cruda ma lucida e realistica delle difficolta che, in Italia, affliggono la filiera del settore auto. Uno dei protagonisti di questa filiera è senza dubbio il comparto delle concessionarie.

Federauto le rappresenta e per bocca del suo presidente, Pavan Bernacchi, lancia l’allarme sulla tenuta del sistema, avanza proposte per ridare ossigeno al mercato ma formula anche dure accuse tanto al governo quanto ai costruttori. Perché se la crisi è di sistema, per uscirne bisogna fare sistema anziché procedere in ordine sparso. E se un attore va a fondo, si trascina dietro tutti gli altri.

Leggi l’intervista al presidente di Federauto Filippo Pavan Bernacchi

Federauto al governo: via i “disincentivi” al settore

di Davide PASSONI

Dopo Anfia, riflettori puntati oggi, per il focus di Infoiva sulla filiera dell’auto italiana, su Federauto, la Federazione Italiana Concessionari Auto. Perché ogni concessionario è una piccola impresa e, come tale, soffre i morsi della crisi globale, oltre a quelli della crisi dell’automobile. La parola al presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi.

Che cosa c’è oltre i numeri freddi del mercato? Dove soffre maggiormente oggi la filiera dell’auto italiana e perché?
La filiera dell’automobile in Italia, dalla produzione alla commercializzazione, fattura l’11,4% del Pil, partecipa al gettito fiscale nazionale per il 16,6% e occupa con l’indotto 1 milione e 200mila persone. Questi dati reggono con un mercato medio di 2 milioni di vetture immatricolate all’anno. Nonostante la media degli ultimi 5 anni dia proprio 2 milioni, il 2011 è stato il primo anno dove siamo andati abbondantemente al di sotto della soglia di sopravvivenza del settore: 1 milione e 748mila unità. Il 2012 sta flettendo del 20% rispetto a un anno pessimo, il 2011, e si concluderà attorno ai 1 milione e 370mila pezzi. In questo mercato le vendite ai privati, alle famiglie, scendono sotto il milione di pezzi, il resto riguarda le vendite ad aziende, a noleggi e autoimmatricolazioni delle case e dei concessionari: i famigerati chilometri zero. Con 1 milione e 370mila pezzi crollerà la filiera; e si prevede che il 2013 si attesterà sugli stessi volumi. Chi soffre di più? I concessionari italiani di tutti i brand commercializzati in Italia che pur distribuendo per il 70% prodotto straniero, sono tutte PMI italiane che pagano le tasse in Italia, locali e nazionali, e danno occupazione. I Costruttori, tutte multinazionali, possono recuperare le perdite italiane nei mercati esteri, tipo Brasile, India e Cina, mentre i concessionari Italiani vivono o muoiono all’interno dei confini nazionali. Il problema principale è che sono a rischio ben 220mila posti di lavoro. Gli addetti passeranno così dagli ammortizzatori sociali, largamente utilizzati, alla disoccupazione. Tasse che mancano all’appello, contrazione di volumi, disoccupazione esponenziale ma lo Stato è completamente assente. Anzi, ha varato solo provvedimenti per distruggere la filiera.

Anche sul fronte dei veicoli commerciali la situazione è tutt’altro che rosea …
Se le auto sono la spesa più elevata, dopo gli immobili, che si trova ad affrontare una famiglia o un’impresa, lo stesso vale per i veicoli commerciali e industriali. Sono mezzi per il business. Ma se l’economia stagna, l’edilizia e il commercio sono in crisi nera, dei veicoli commerciali non c’è bisogno e chi ce l’ha, spesso, non può cambiarlo o preferisce stare alla finestra per capire ciò che accade. Essendo mezzi di lavoro sono i primi ad andare in crisi ma, se e quando ci sarà una ripresa, saranno i primi a ripartire. Ora fanno un -30% circa, ma erano già scesi lo scorso anno.

Com’è l’umore dei vostri associati? Che richieste o segnalazioni vi arrivano “dal basso”?
L’umore è pessimo. Siamo nel centro di un lungo tunnel buio di cui non si vede l’uscita. Questo a causa sia della crisi internazionale, sia dei “disincentivi” varati dal governo Monti. Una valanga di tasse e balzelli per colpire gli autoveicoli e gli automobilisti: aumenti di Iva, IPT, bolli, accise, Rc, pedaggi e varo del superbollo per le auto prestazionali. Sembra che si faccia di tutto per uccidere l’autoveicolo. E il primo danneggiato è lo Stato che, per effetto della contrazione dei volumi, introiterà 3 miliardi di tasse in meno dalla nostra “mucca da mungere”. Ma se ammazzano la mucca non potranno più avere latte. I concessionari sono basiti anche dall’immobilismo dei manager dei Costruttori che non riescono a convincere i loro vertici che per il mercato Italia ci vuole una ricetta diversa rispetto agli altri paesi europei, che passa attraverso l’alleggerimento o la soppressione degli standard, l’eliminazione dei meccanismi legati solo alle quantità e ai volumi, in un mercato che non tornerà più ai fasti di una volta. I concessionari da 3 anni chiedono di rivedere integralmente le regole della distribuzione ma i Costruttori pensano solo a produrre più auto di quello che il mercato può assorbire, questo perché il nostro mondo è malato da tempo. E questa è la madre di tutti i problemi. L’altra chiave di lettura, come espresso l’8 settembre su Sky dal direttore di Quattroruote, Carlo Cavicchi, è che le Case guardano solo alle quote di mercato, ossia quante vetture ogni 100 auto vende una marca, senza invece darsi obiettivi di redditività. E’ anche per questo che moltissimi producono in perdita, i casi eclatanti sono sotto gli occhi di tutti, e distruggono i margini delle reti di distribuzione. Un sistema ormai marcio fino al midollo destinato a scoppiare come una bolla finanziaria.

Quanto soffre la filiera dell’auto italiana la difficoltà di un grande player come Fiat? Come evitare che la difficoltà di un “grande” si scarichi sui “piccoli”?
Fiat soffre in Europa al pari degli altri Costruttori; ricordo che spesso anche quelli che fanno volumi non fanno utili nella zona Euro. Questo a causa di una lotta sui prezzi senza quartiere. Ci si dimentica sempre che quando è arrivato Marchionne, Fiat era un’azienda virtualmente fallita e ora ha accesso ai grandi mercati mondiali. Lo scarico delle multinazionali, tutte, sulle concessionarie è un gioco antico che si poteva praticare quando c’erano margini positivi. Ora è difficile estrarre sangue da un muro, cioè dai dealer. Inoltre se le vetture vanno distribuite attraverso i Concessionari, e si vogliono avere i clienti soddisfatti che poi possono diventare fedeli anche all’assistenza, bisogna che in primis i Concessionari siano soddisfatti, anche economicamente. Solo chi guadagna può lavorare bene, investire, e disporre di personale motivato per incontrare le aspettative della clientela.

L’auto in Germania, invece, continua a tirare. Merito anche di politiche industriali e sindacali che, negli anni pre-crisi, hanno ben “seminato”. La crisi non potrebbe essere l’occasione per intervenire anche da noi in questo senso e rivedere il sistema dalle basi?
In Germania c’è un ricorso abnorme alle chilometri zero per cui “non è tutto oro quello che luccica”. Che la crisi sia il momento per intervenire e costruire un presente e un futuro diverso non c’è dubbio. Ma i Costruttori, l’altra metà della luna, sono spesso assenti. Non vale per tutti e per tutti i marchi, ma per la stragrande maggioranza.

Va bene la crisi, va bene l’euro boccheggiante, ma leggere di un mercato ai livelli del 1964 significa che gli italiani non ne hanno più da spendere. Che fare?
Nel 1964 c’erano un’infinità di dealer e di marche in meno. Ergo: concorrenza molto blanda rispetto all’esasperazione odierna. E con gli stessi volumi i concessionari marginavano moltissimo. Il paragone quindi non tiene. Gli italiani, privati e aziende, sono da un lato uccisi dalle tasse, oramai a livelli indecenti, dall’altro colpiti dalle chiusure dei negozi, delle imprese, dalla delocalizzazione, dalla perdita, in ultima analisi, di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Senza che i disoccupati trovino chance in altri settori. E anche chi potrebbe spendere ha paura e si è bloccato in attesa degli eventi. Che fare? Esattamente il contrario della cura Monti: meno tasse sulle aziende, perno della nostra economia, meno tasse sulle buste paga dei dipendenti, meno accise e: tagliare la spesa pubblica senza se e senza ma. Via tutte le Province, via tutte le auto blu, grigie e bianche, abbassare le RCA fissando il limite ai risarcimenti e contrastando le truffe, fissare un tetto massimo ai costi dei carburanti. Insomma: far ripartire questo paese, tenere le aziende in Italia, cercare di attrarre con degli sgravi gli investitori esteri. Ma io non sono un Professore universitario per cui se la ricetta Monti piace, avrà ragione lui. Ai posteri l’ardua sentenza.

Che cosa chiede Federauto al governo per sostenere un settore vitale come il vostro per l’economia italiana?
Che ritiri i “disincentivi”, li annulli. Che vari un piano per lo svecchiamento del circolante triennale, a scalare e non legato a un fondo a esaurimento. Piano che si autofinanzierebbe. Che annulli il porcellum varato per agevolare le auto a basso impatto ambientale che partirà il 1 gennaio 2013. Un piano che è una bufala e che farà buttare allo Stato centinaia di milioni di euro, destabilizzerà il mercato e non produrrà solo che danni e confusione. Piano varato contro tutti, dico tutti, gli attori della filiera. Che allinei la fiscalità delle auto aziendali ai principali Paesi europei. Che vari un tavolo di lavoro permanente perché la mobilità di domani va costruita con le scelte di oggi. Di considerare che occupiamo 1 milione e 200mila occupati e che versiamo il 16,6% delle tasse totali nazionali e che penalizzando noi, o non dandoci ascolto, alla fine penalizzano l’intero sistema-Paese.

Auto, un settore industriale in via di estinzione

di Davide PASSONI

La scorsa settimana i dati presentati sul mercato dell’auto in Italia nel mese di agosto hanno fatto tremare le vene ai polsi a più di un addetto del settore: poco più di 56mila immatricolazioni con un calo del 20% rispetto ad agosto 2011. Cifre che riportano ai volumi di quasi 50 anni fa, del 1964.

Per capire quanto questi numeri impattino sulla filiera dell’auto che, in Italia, è un settore vitale per l’economia ed è fatto principalmente da piccole e medie imprese, questa settimana Infoiva ascolterà alcuni degli attori principali della filiera. Partiamo da Anfia, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, forse il termometro più attendibile per misurare la febbre del settore. Ecco che cosa ci ha raccontato il presidente Roberto Vavassori.

Che cosa c’è oltre i numeri freddi del mercato? Dove soffre maggiormente oggi la filiera dell’auto italiana e perché?
Ci sono due aspetti molto preoccupanti, di cui si vede il primo ma il secondo un po’ meno. Il primo è che esiste in Italia una domanda di veicoli molto bassa; il 2012 chiuderà con 1 milione e 400mila autovetture vendute, anche se bisogna considerare che parte del calo è strutturale e non congiunturale: un calo dovuto a un cambio culturale nel rapporto con l’auto che ne ha fatto calare l’appeal, non solo in Italia. Pensi che qualche anno fa in Giappone l’auto era al 6° posto nella classifica dei beni più desiderati e in Germania al 2°: l’anno scorso è scesa rispettivamente al 17° e 23° posto.

E il secondo?
Dietro al calo della domanda c’è anche il fatto che in Italia produrremo poco più di 400mila autovetture quest’anno, un numero che era la produzione della sola Mirafiori degli anni d’oro. Siamo a 1/5 della Spagna, a 1/4 della Francia e a un 1/12 della Germania. La nostra filiera dell’auto è in pericolosissima apnea, un settore che per la componentistica nel 2011 ha esportato per oltre 19 miliardi di euro mentre ora la base industriale sta venendo clamorosamente a mancare.

Mentre in Germania…
In Germania per il 2012 è prevista una produzione di 5 milioni e 700mila autovetture e le case stanno lavorando con player di livello assoluto come Bosch e Continental, per esempio, per sviluppare modelli e tecnologie del futuro. Ora come ora non abbiamo una base produttiva forte in Italia e non si percepisce il fatto che dietro al calo della domanda – il quale, per inciso, riguarda per l’70% veicoli esteri – abbiamo un settore industriale che sta scomparendo.

E quindi?
Drogare il mercato finale non serve, in Italia abbiamo 600 auto ogni 1000 persone e il nostro è un mercato di pura sostituzione, non possiamo aspettarci centinaia di migliaia di auto nuove ogni anno sulle strade. Quello italiano è un mercato che va seguito e sostenuto, visto che siamo l’unico Paese industrializzato con un solo costruttore di veicoli. Dobbiamo tornare a essere un Paese “normale”: come possiamo produrre meno auto di Iran e Thailandia? Siamo il secondo Paese manifatturiero in Europa, il sesto industrializzato al mondo e stiamo buttando via un settore trainante per l’intera economia.

Quanto soffre la filiera dell’auto italiana la difficoltà di un grande player come Fiat? Come evitare che la difficoltà di un “grande” si scarichi sui “piccoli”?
In realtà questa difficoltà si è già scaricata in maniera pesantissima. Non siamo stati capaci di fare sistema, non possiamo andare avanti in ordine sparso: ci vuole la convinzione sistemica che dobbiamo invertire la rotta. Abbiamo tutti i mezzi per farlo, siamo più produttivi della Baviera, numeri alla mano, un nostro metalmeccanico ne vale 3 francesi per specializzazione e produttività, ma negli ultimi 40 anni non abbiamo fatto programmazione e pianificazione industriale e continuiamo tuttora a non farne.

Com’è l’umore dei vostri associati? Che richieste o segnalazioni vi arrivano “dal basso”?
Tutti hanno ancora voglia di fare, ma incontrano difficoltà: dall’accesso al credito, ai costi energetici, alla burocrazia. Ostacoli che, alla lunga, rischiano di vanificare la voglia di fare impresa in Italia e la voglia di continuare a fare fatica nell’impresa di famiglia. In un quadro di difficoltà crescente, o ci si muove tutti insieme o si soccombe.

Tornando alla Germania… Lì l’auto continua a tirare. Merito anche di politiche industriali e sindacali che, negli anni pre-crisi, hanno ben “seminato”. La crisi non potrebbe essere l’occasione per intervenire anche da noi in questo senso e rivedere il sistema dalle basi?
Sì, non è impossibile, se si ha voglia di fare. Tenga conto che quando sento gli industriali tedeschi, ben pochi sono contenti del sistema di cogestione attuale, segnale che quel sistema non è la panacea per i mali del settore.

Dove sta il segreto, allora?
La differenza tra noi e la Germania è che i tedeschi riescono a pianificare e fare sistema molto meglio di noi. Pensi che con i clienti tedeschi oggi le nostre imprese chiudono contratti con scadenza 2017-2018. A differenza della Germania, ci siamo avviluppati in una spirale negativa, mentre loro hanno la capacità, anno dopo anno, di pianificare e investire. In questo senso sono stato contento che Lamborghini sia stata acquistata dal gruppo Audi, perché così ha avuto i fondi necessari per fare gli investimenti che le servivano.

Va bene la crisi, va bene l’euro boccheggiante, ma leggere di un mercato ai livelli del 1964 significa che gli italiani non ne hanno più da spendere. Che fare?
Spingere la leva dell’export; politiche sociali e fiscali che aiutino imprese e lavoratori; puntare sui prodotti che sappiamo fare bene e sul loro export; dare più ossigeno alle aziende. Quando leggo che in Spagna vengono stanziati dal governo milioni di finanziamenti a tasso 0 per 10 anni alle Pmi che fanno ricerca e sviluppo, mi viene da pensare. Per non parlare della Francia, il cui governo ha varato misure straordinarie a sostegno dell’industria dell’auto mettendosi contro ai costruttori stessi.

Che cosa chiede Anfia al governo per sostenere un settore vitale come il vostro per l’economia italiana?
In primo luogo di aumentare l’output delle auto prodotte in Italia: i nostri associati chiedono volumi. Noi li stiamo aiutando a internazionalizzarsi, perché ormai l’Italia non basta più come mercato e anche l’Europa è quasi satura: per cui mettiamo a disposizione le esperienze di grossi player come Brembo e altri, già ben posizionati su diversi mercati mondiali, che si condividono esperienze, know how, strategie con i colleghi più piccoli per aiutarli.

Guardare avanti sempre, insomma…
Io sono un ottimista convinto, ma bisogna invertire la tendenza, altrimenti rischiamo davvero grosso. Sui mercati odierni, se non si ha la capacità di reagire agli eventi e di controllarli, si rischia di scomparire. Prendiamo esempio dal mercato americano, passato in pochi anni da un -50% ai livelli precrisi attuali, senza piangersi addosso ma adottando politiche industriali serie. Tornando alla Germania, pensa che la sua crescita di questi ultimi 5 anni sia dovuta all’industria? No, per i 2/3 è cresciuta grazie alle infrastrutture e agli investimenti nel settore pubblico. In Italia, invece, ci troviamo a tagliare nel pubblico e a non investire nelle infrastrutture, che sono un volano di ripresa economica. Le imprese tedesche si finanziano a tassi vicini allo 0%, vanno bene nei loro mercati di export e così
guadagnano vantaggio competitivo per cui non hanno alcun interesse a risolvere questa crisi, almeno nel breve periodo. Per cui il mio appello è: non molliamo, prendiamo in mano la situazione, mettiamo da parte i campanilismi, rimbocchiamoci le mani e lavoriamo insieme a politiche industriali serie per il Paese.