Superbollo per le supercar: ecco come versarlo

Ora è finalmente pronto il codice tributo 3364 per il versamento dell’addizionale erariale alla tassa automobilistica che devono pagare i proprietari di autoveicoli di grossa cilindrata. Il codice, istituito con la risoluzione 101/E del 20 ottobre, va riportato nel modello “F24 Versamenti con elementi identificativi”. La risoluzione segnala altri due “numeri”, il 3365 e il 3366, da utilizzare rispettivamente per sanzioni e interessi, qualora il pagamento del superbollo avvenga in ritardo.
 
Il “superbollo”, introdotto dal decreto legge 98/2011 (articolo 23, comma 21), deve essere versato entro il 10 novembre. Interessati all’adempimento sono i possessori, alla data del 6 luglio 2011, di autovetture e autoveicoli “per il trasporto promiscuo di persone e cose”, che devono pagare un importo “pari a euro dieci per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a duecentoventicinque chilowatt…”. “In caso di omesso o insufficiente versamento dell’addizionale si applica la sanzione pari al 30 per cento dell’importo non versato”. A partire dal 2012 l’addizionale dovrà essere corrisposta alle stesse scadenze previste per il bollo auto.
 
Sul modello “F24 Versamenti con elementi identificativi” è necessario indicare:

– nella sezione “Contribuente”, i dati anagrafici e il codice fiscale di chi versa;
– nella sezione “Erario ed altro”, la lettera “A” nel campo “tipo”, la targa del veicolo nel campo “elementi identificativi”, l’anno di decorrenza della tassa nel campo “anno di riferimento”.

Italiani sempre più al volante

Italiani sempre più al volante, almeno per quanto riguarda il tempo. Secondo dati Isfort (Istituto superiore di formazione e ricerca per i trasporti) elaborati dall’Osservatorio sulla mobilità sostenibile dell’Airp (l’associazione dei ricostruttori di pneumatici), negli ultimi 10 anni si è superata un’ora alla guida, passando dai 58 minuti al giorno del 2001 ai 62,5 del 2010.

Salita anche la distanza media percorsa quotidianamente, che è ora di 33,9 chilometri, 7,4 chilometri in più rispetto ai 26,5 nel 2001. La crescita della distanza e del tempo alla guida è costante fino al 2008 (con il picco di 65,9 minuti e 38 chilometri) poi, nel 2009, vi è una brusca diminuzione (62,3 minuti e 34,6 chilometri), in coincidenza con il manifestarsi della crisi. Nel 2010 torna ad aumentare il tempo, ma resta l’esigenza di risparmiare, che si manifesta in una distanza media percorsa ancora in calo, di 0,7 chilometri in un anno. In percentuale, rispetto al 2001, si passa in auto il 7,2% di minuti in più e c’è un incremento chilometricodel 21,8%.

Sarà Silvano Fogarollo a guidare l’associazione carrozzieri

L’Associazione Nazionale dei Carrozzieri di Confartigianato (ANC), che conta oltre 7mila soci ha eletto il suo nuovo presidente. Si tratta del veneto Silvano Fogarollo che, recentemente giù riconfermato alla guida del gruppo regionale veneto dei carrozzieri. Fogarollo sostituisce Roberto Ansaldo, dimissionario, fino al prossimo rinnovo nel 2012.

Il nuovo presidente, padovano, ha un’esperienza nel settore di oltre cinquant’anni. Ha iniziato a lavorare come ‘apprendista carrozziere’ all’età di 13 anni presso la Carrozzeria Rampazzo di Padova. Ha alle spalle una lunga esperienza in qualità di dirigente dell’Unione Provinciale Artigiani di Padova avendo ricoperto la carica di consigliere del Mandamento di Albignasego e quelle di Vice delegato e Delegato Provinciale della Categoria Carrozzieri. ”Una la priorità di questo mio mandato – ha esordito Fogarollo -, ottenere al più presto la riforma dell’attuale sistema del risarcimento diretto previsto dal Codice delle Assicurazioni Private in particolare dopo che anche l’Antitrust ne ha denunciato il sostanziale fallimento indicando come prioritaria una riforma di sistema che rilanci la competizione tra imprese e riduca i costi per i consumatori”.

 

Vino e motori “Made in Italy”: gioie, dolori e l’incapacità di fare sistema

di Danilo DELLA MURA

Che cosa può mai accomunare una bottiglia di vino e un’automobile? Apparentemente nulla. Anzi, in termini di sicurezza stradale dovrebbero stare molto lontane l’una dall’altra. Ma se parliamo in termini economici, di cifre, di vendite e di esportazioni, il mercato del vino italiano presenta molte, e purtroppo non felici, similitudini con il settore delle quattro ruote Made in Italy.

Per capirne il perché, iniziamo dando uno sguardo ai freddi numeri, relativi alle vendite e alle esportazioni di vino. In particolare alle vendite e alle esportazioni di vino spumante italiano: le famose “bollicine Made in Italy”.

Nei giorni scorsi sono stati presentati i dati Istat relativi alle esportazioni di vini spumanti italiani, durante i primi 8 mesi dell’anno in corso. Dati incoraggianti, positivi: + 21%. Dati, oserei dire, più che positivi, tenendo conto che il boom delle vendite deve ancora venire. Dicembre, da sempre, è il mese clou per le vendite di vino, in particolare del vino spumante e con Natale e Capodanno alle porte, il già positivo trend  non può che migliorare. Tutti felici, tutti contenti.

Ma proviamo ad andare oltre ai semplici titoli. Proviamo a leggere con attenzione anche le restanti pagine dello studio Istat. Pagine scritte a caratteri a dir poco piccoli, e forse per questo sfogliate velocemente, con poca attenzione. Da questi dati emerge una situazione non più così rosea.

Innanzitutto: è vero che le esportazioni di vino spumante italiano, da gennaio ad agosto 2010, sono cresciute del 21%, ma sono dati riferiti alle quantità, ai volumi, ovvero al numero di bottiglie. Se parliamo di  valore, la crescita è quasi dimezzata: +11%. In altre parole: esportiamo più bottiglie, ma a un prezzo più basso.
 
Altro dato poco confortante, anzi direi preoccupante: l’andamento del valore unitario riferito sempre al vino spumante italiano. Nei primi otto mesi dell’anno in corso, il valore unitario ha subito una flessione dell’8%. Il prezzo medio di un litro di “bollicine Made in Italy” è passato da 2,7 a 2,5 euro. Rapportato al prezzo di una bottiglia (da 0,75 l), si è passati da 2 euro a 1,87 euro. Preoccupante.

Ma non basta. Se ci focalizziamo sulle bollicine più pregiate, ovvero sul vino spumante “secco”, lo scenario si fa ancora più cupo. Da gennaio ad agosto 2010, la flessione del prezzo unitario di un litro di vino spumante secco “Made in Italy”, ha toccato il 13%, con un prezzo medio al litro di 2,8 euro (2,1 euro a bottiglia).

E qui torniamo alla domanda iniziale: che cosa accomuna il mercato del vino italiano a quello delle quattro ruote nostrane? Come il settore automobilistico, anche quello enologico si sta posizionando agli estremi del mercato. In Italia produciamo, da un lato, grandi auto sportive, performanti, di lusso: Ferrari e Maserati, per fare due nomi. Dall’altro produciamo piccole autovetture, city car per utilizzare un termine in gran voga: 500 e Panda per fare altri due nomi. Ma siamo carenti sui segmenti più acquistati, ambìti ma alla portata di molti, come il segmento delle grandi berline e dei Suv. Segmenti, dove, lo sappiamo, si costruisce l’immagine del brand e, soprattutto, si realizzano i margini superiori.

Allo stesso modo, il vino italiano, sui mercati internazionali, da un lato è ben rappresentato da un ristretto numero di prestigiose etichette. Costose e preziose, ma consumate da pochi, e in occasioni particolari. Ma, dall’altro lato, troviamo un vasto numero di piccole, medio piccole aziende costrette a far leva sul fattore prezzo. E, purtroppo, gran parte del nostro export è rappresentato dai vini di quest’ultime aziende.

Purtroppo sappiamo quale è stata l’evoluzione, anzi l’involuzione, del mercato delle quattro ruote italiane. Nonostante ciò, nonostante i dati sopra analizzati, sembra che nessuno, dal piccolo produttore ai grandi consorzi di tutela, se ne preoccupi. Eppure la causa di tutto, il vero problema, è conosciuto da tutti: l’incapacità di “fare sistema”. Quella stesa incapacità di creare una comune politica di comunicazione, di immagine e di promozione, che caratterizza molti dei nostri settori nazionali. Abbiamo il prodotto giusto, ma non sappiamo farlo conoscere

Prima di tutto al mercato domestico. L’Italia può vantare una varietà e una vastità di diverse tipologie di vini che neanche la Francia può vantare. Ma ognuna di queste singole realtà, entra in competizione con le altre. Tutte alla ricerca del proprio, piccolo momento di gloria. Alzi la mano chi sa quante sono le DOCG italiane. Forse qualche sommelier più esperto saprà che ormai hanno sfondato quota cinquanta. E molte altre sono le DOC in attesa di aggiungere la tanto bramata “G”.
 
E nel frattempo, da un lato, i francesi fanno bella mostra delle loro bottiglie sugli scaffali più prestigiosi al mondo, dall’altro, Australia, Cile e Nuova Zelanda, invadono i mercati con vini buoni, ma economici, per il piacere quotidiano di americani, britannici, tedeschi e austriaci, ovvero i nostri più importanti mercati di sbocco. Prosit.