Crediti formativi obbligatori, un sistema molto poco qualificante

di Matteo SANTINI e Fabrizio BRUNI, Avvocati in Roma

La formazione di un professionista rappresenta un elemento imprescindibile per l’esercizio della professione. Una formazione effettiva e qualificata non può certo realizzarsi mediante il sistema dei “crediti formativi obbligatori“, per il semplice fatto che esso non rappresenta uno strumento idoneo ad accrescere le competenze specifiche del singolo avvocato. Ormai tutti i colleghi sono a conoscenza del fatto che, i vari convegni e corsi formativi (gratuiti o a pagamento) vengono spesso frequentati solo per il raggiungimento del numero minimo di crediti richiesto e non per l’aggiornamento; con la conseguenza che, l’avvocato finirà per seguire in modo disinteressato corsi magari non attinenti alle materie nelle quali esercita la propria attività o ancor peggio, concentrando la frequentazione dei corsi solo in prossimità della scadenza dei termini per il “raccoglimento” dei crediti oppure, prediligendo corsi particolarmente lunghi a livello orario, al fine di “raccogliere” in un’unica soluzione quanti più crediti possibile.

Convegni stracolmi di colleghi disinteressati o ancor peggio quotidiani aperti in sala e sbadigli ricorrenti, la dicono tutta sull’entusiasmo e sull’efficacia dello strumento dei “crediti obbligatori“. O ancora peggio: è possibile ricorrere ad escamotage quali l’invio di fax di prenotazione a convegni per i quali si sa in anticipo che non vi sono più posti disponibili, consentendo al collega di “accumulare” i crediti corrispondenti a quel determinato convegno al quale non si è potuto partecipare. Possiamo immagine, senza troppi sforzi intellettivi, quali possano essere i risultati in termini di accrescimento culturale e di aggiornamento professionale.

Il tutto condito da una serie continua di deroghe parziali e di proroghe, che manifestano in tutta la loro drammaticità la confusione, l’inutilità e la poca incisività dello strumento dei crediti formativi obbligatori. Richiedere che l’avvocato sia competente ed aggiornato è assolutamente legittimo e doveroso, ma il sistema dei crediti obbligatori, così come concepito è assolutamente inutile. L’aggiornamento non rappresenta solo un obbligo per l’avvocato; esso è innanzitutto un “interesse” dello stesso. L’avvocato competente ed aggiornato avrà maggiori possibilità di vincere le cause e di conseguenza, potrà aumentare considerevolmente la propria clientela. E’ il mercato a fare la selezione. D’altro canto un avvocato poco competente è destinato a “scomparire” dalla scena.
FORSE SAREBBE IL CASO DI INDIRE UN’ASSEMBLEA TRA TUTTI I COLLEGHI, PER ASCOLTARE PROPOSTE, DISCUTERE SULL’ARGOMENTO E TROVARE UNA SOLUZIONE CHE SODDISFI LA MAGGIORANZA DEGLI AVVOCATI.

Avv. Matteo SANTINI | m.santini[at]infoiva.it | www.studiolegalesantini.com | Roma

È titolare dello Studio Legale Santini (sede di Roma). Il suo Studio è attualmente membro del Network LEGAL 500. || È iscritto come Curatore Fallimentare presso il Tribunale di Roma; Presidente Nazionale del Centro Studi e Ricerche sul Diritto della Famiglia e dei Minori; Membro dell’AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Consigliere Nazionale AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Responsabile per la Regione Lazio dell’Associazione Avvocati Cristiani; Membro dell’I.B.A. (International Bar Association); Membro della Commissione Osservatorio Giustizia dell’Ordine degli Avvocati di Roma; Segretario dell’Associazione degli Avvocati Romani; Conciliatore Societario abilitato ai sensi del Decreto Legislativo n. 5/2003; Direttore del “Notiziario Scientifico di Diritto di Famiglia”; Membro del Comitato Scientifico dell’ A.N.A.C. || Autore del Manuale sul trasferimento dell’Azienda edito dalla Giuffré (2006); Co-autore del Manuale sul Private Equity (2009 Edizione Le Fonti). || Docente di diritto e procedura penale al Corso in Scienze Psicologiche e Analisi delle Condotte Criminali (Federazione Polizia di Stato 2005). || Collabora in qualità di autore di pubblicazioni scientifiche con le seguenti riviste giuridiche: Diritto & Giustizia (Giuffré Editore); Corriere La Tribuna (Edizioni RCS); Notiziario Giuridico Telematico; Giustizia Oggi; Associazione Romana Studi Giuridici; Il Sole 24 Ore; Studium Fori; Filo Diritto; Erga Omnes; Iussit; Leggi Web; Diritto.net; Ius on Demand; Overlex; Altalex; Ergaomnes; Civile.it; Diritto in Rete; Diritto sul Web; Iusseek.

Avv. Fabrizio BRUNI |bruniavv[at]inwind.it

Avv. Fabrizio Bruni del Foro di Roma. Avvocato civilista, esperto in diritto degli appalti, pubblici e privati, diritto della navigazione e delle assicurazioni. Presidente Nazionale dell’Associazione degli Avvocati Romani e co – fondatore del Notiziario Giuridico stragiudiziale. Mette a disposizione una presentazione sulla formazione continua degli avvocati sul sito: www.associazionedegliavvocatiromani.it

Diritto e Minori, un master a Roma per la famiglia

Il Centro Nazionale Studi e Ricerche sul diritto della famiglia e dei minori ha organizzato un interessante master in “Diritto della Famiglia e dei Minori“. Si terrà a Roma, dal 6 Giugno al 7 Luglio 2011 e vi potranno accedere gli avvocati (anche se non iscritti all’albo degli Avvocati), i praticanti avvocati e gli psicologi.

Per il master sono stati richiesti 24 crediti formativi ed i posti disponibili sono 136.

Di seguito, il calendario degli incontri:

  • Martedì 7 Giugno 2011 ore 13.00 / 20.00
  • Mercoledì 8 Giugno ore 13.00 / 20.00
  • Martedì 14 Giugno ore 13.00 / 20.00
  • Mercoledì 15 Giugno ore 13.00 / 20.00
  • Martedì 21 Giugno ore 13.00 / 20.00
  • Mercoledì 22 Giugno ore 13.00/20.00
  • Lunedì 27 Giugno ore 13.00 / 20.00
  • Martedì 5 Luglio ore 12.00 / 20.00
  • Mercoledì 6 Luglio ore 13.00 / 20.00

Le domande di iscrizione dovranno essere effettuate tramite e-mail a diritto_famiglia@email.it oppure  compilando l’apposita scheda da inviare per fax al n. 06/3220940, allegando copia di documento di identità.

Per ulteriori informazioni è a disposizione il sito dirittodellafamiglia.com dal quale scaricare le schede di iscrizione o visionare i nominativi di docenti/relatori.

Sono previste esercitazioni pratiche ed una prova  valutativa finale.

E’ previsto il rilascio di un attestato di partecipazione.

Paola Perfetti

Avvocati e rapporti con la stampa

di Matteo SANTINI e Fabrizio BRUNI, Avvocati in Roma

Il rapporto dell’avvocato con i media è una questione molto delicata, dibattuta e attuale.

L’articolo 18 del codice deontologico forense stabilisce che:

Nei rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di diffusione l’avvocato deve ispirarsi a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare interviste, per il rispetto dei doveri di discrezione e riservatezza.
I. Il difensore, con il consenso del proprio assistito e nell’esclusivo interesse dello stesso, può fornire agli organi di informazione e di stampa notizie che non siano coperte dal segreto di indagine.
II. In ogni caso, nei rapporti con gli organi di informazione e con gli altri mezzi di diffusione, è fatto divieto all’avvocato di enfatizzare la propria capacità professionale, di spendere il nome dei propri clienti, di sollecitare articoli di stampa o interviste sia su organi di informazione sia su altri mezzi di diffusione; è fatto divieto altresì di convocare conferenze stampa fatte salve le esigenze di difesa del cliente.
III. È consentito all’avvocato, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, di tenere o curare rubriche fisse su organi di stampa con l’indicazione del proprio nome e di partecipare a rubriche fisse televisive o radiofoniche.

A bene vedere, le disposizioni di cui all’articolo 18 contengono riferimenti più o meno diretti anche ad altre norme e doveri codificati del codice deontologico. Tant’è che in molti casi, a seguito del comportamento dell’avvocato, posto in essere in presunta violazione dell’articolo 18, viene aperto un procedimento disciplinare dove viene contestata non solo la violazione dell’articolo 18 ma anche la violazione di altri articoli del codice.
Comprendiamo pertanto come, la disposizione di cui all’articolo 18 debba essere necessariamente rapportata e coordinata con altre disposizioni del codice deontologico di carattere generale.
Il principio in base al quale ciascun individuo, avvocato compreso, possa comunicare o intrattenere rapporti con la stampa o con i media è contenuto nella Costituzione, la quale all’articolo 21 afferma che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Esistono però delle limitazioni, dettate nel caso degli avvocati, dal ruolo e dalla funzione che l’avvocato esercita e dalla posizione che gli riveste.
Certamente nell’intrattenere rapporti con i media e con la stampa l’avvocato dovrà rispettare anche l’articolo. 5 che concerne i doveri di probità, dignità e decoro. In particolare; “l’avvocato deve ispirare la propria condotta all’osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro“. (Vediamo quindi come la disposizione dell’articolo 5 sia strettamente connessa all’articolo 18 nella parte in cui parla di “discrezione” e di “divieto di sollecitare interviste“).

L’avvocato ha il dovere di muoversi ed agire nel rispetto del decoro che il suo ruolo impone; ed anche agire con prudenza; e questo non solo nell’adempimento del proprio mandato professionale ma anche nella vita di tutti i giorni; in tutti quei comportamenti ed in quelle azioni che possono essere solo indirettamente connesse al suo ruolo di avvocato o che, addirittura, sono completamente svincolate dalla sfera professionale (sempre l’articolo 5 afferma infatti che “L’avvocato è soggetto a procedimento disciplinare per fatti anche non riguardanti l’attività forense quando si riflettano sulla sua reputazione professionale o compromettano l’immagine della classe forense“).

Altro dovere stabilito dall’articolo 18, imposto all’avvocato che intrattenere rapporti con la stampa è quello connesso alla riservatezza e alla discrezione. Dovere importantissimo e fondamentale per chi esercita la professione di avvocato.
Pertanto, ove l’avvocato rilasci interviste o partecipi a trasmissioni televisive, sarà sempre opportuno non parlare dei casi specifici che l’avvocato sta trattando in quel momento, se non nella misura in cui, le informazioni divulgate siano già di dominio pubblico (ad esempio perché si tratta di una caso mediatico, sul quale si conoscono particolari e risvolti della vicenda).

A nostro parere comunque, l’avvocato dovrebbe astenersi dal rilasciare interviste relative a procedimenti dei quali si sta occupando e ciò in quanto, proprio per la sua conoscenza del caso e per la sua ovvia parzialità, le sue affermazioni potrebbero in qualche modo interferire sul sereno e corretto svolgimento del processo e trasferire il processo, dalla sua sede naturale (il tribunale) alla impropria sede televisiva.

Inoltre, esiste l’obbligo per l’avvocato di non rivelare i nomi dei clienti (ovviamente quando ciò non sia di dominio pubblico); e ciò vale ovviamente anche per quanto riguarda la rivelazione fatta ai giornali e ai media.

Accade ormai spessissimo che gli avvocati rilascino interviste o scrivano articoli su giornali o su riviste più o meno specializzate (sia cartacee che on line). E questo avviene nella maggior parte dei casi, non trattando questioni connesse a singoli procedimenti, ma semplicemente o scrivendo articoli di diritto o di presentazione del proprio studio e della propria attività professionale.

Sugli articoli che affrontano tematiche giuridiche nulla quaestio; è assolutamente ammissibile che l’avvocato possa contribuire mediante l’invio di articoli alla crescita scientifica.

La questione diventa più delicata quando l’avvocato scrive articoli e rilascia interviste che in modo più o meno palese, siano dirette a pubblicizzare la propria attività e le proprie competenze. A tal proposito, l’articolo 18 vieta all’avvocato, sempre nell’ambito dei rapporti con la stampa di “enfatizzare la propria capacità professionale“. Divieto che deve necessariamente essere connesso con le disposizioni, di natura generale, e quindi non riferite solo ai rapporti con la stampa, in materia di pubblicità dell’avvocato. Vale a dire gli articoli 17 e 17 bis del codice deontologico.

Pertanto, l’avvocato che voglia tramite la carta stampata far conoscere il proprio studio o la propria attività, potrà farlo ma nel rispetto delle disposizioni dell’articolo 17 e 17 bis (dovrà certamente evitare di parlare di percentuali di cause vinte, o inserire titoli inesistenti ed evitare di parlare di “eccellenza” “elevata competenza“; e cioè evitare tutte quelle espressioni che possano palesare una pubblicità di tipo elogiativo); potrà invece tranquillamente scrivere un articolo affrontando una tematica giuridica o trattando un istituto giuridico, inserendo alla fine il proprio nome ed i riferimenti dello studio.

È importante sottolineare che, affinchè si possa configurare un illecito disciplinare, il comportamento dell’avvocato che intende farsi pubblicità in modo non conforme al codice, deve essere volontario e consapevole.

Avv. Matteo SANTINI | m.santini[at]infoiva.it | www.studiolegalesantini.com | Roma

È titolare dello Studio Legale Santini (sede di Roma). Il suo Studio è attualmente membro del Network LEGAL 500. || È iscritto come Curatore Fallimentare presso il Tribunale di Roma; Presidente Nazionale del Centro Studi e Ricerche sul Diritto della Famiglia e dei Minori; Membro dell’AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Consigliere Nazionale AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Responsabile per la Regione Lazio dell’Associazione Avvocati Cristiani; Membro dell’I.B.A. (International Bar Association); Membro della Commissione Osservatorio Giustizia dell’Ordine degli Avvocati di Roma; Segretario dell’Associazione degli Avvocati Romani; Conciliatore Societario abilitato ai sensi del Decreto Legislativo n. 5/2003; Direttore del “Notiziario Scientifico di Diritto di Famiglia”; Membro del Comitato Scientifico dell’ A.N.A.C. || Autore del Manuale sul trasferimento dell’Azienda edito dalla Giuffré (2006); Co-autore del Manuale sul Private Equity (2009 Edizione Le Fonti). || Docente di diritto e procedura penale al Corso in Scienze Psicologiche e Analisi delle Condotte Criminali (Federazione Polizia di Stato 2005). || Collabora in qualità di autore di pubblicazioni scientifiche con le seguenti riviste giuridiche: Diritto & Giustizia (Giuffré Editore); Corriere La Tribuna (Edizioni RCS); Notiziario Giuridico Telematico; Giustizia Oggi; Associazione Romana Studi Giuridici; Il Sole 24 Ore; Studium Fori; Filo Diritto; Erga Omnes; Iussit; Leggi Web; Diritto.net; Ius on Demand; Overlex; Altalex; Ergaomnes; Civile.it; Diritto in Rete; Diritto sul Web; Iusseek.

Avv. Fabrizio BRUNI |bruniavv[at]inwind.it

Avv. Fabrizio Bruni del Foro di Roma. Avvocato civilista, esperto in diritto degli appalti, pubblici e privati, diritto della navigazione e delle assicurazioni. Presidente Nazionale dell’Associazione degli Avvocati Romani e co – fondatore del Notiziario Giuridico stragiudiziale. Mette a disposizione una presentazione sulla formazione continua degli avvocati sul sito: www.associazionedegliavvocatiromani.it

Internet e diritto, un interessante corso a Roma

L’Associazione “La tutela dei diritti” presenta un interessante corso di perfezionamento e approfondimento sul tema “Internet e diritto“. L’appuntamento è per venerdì 15 aprile dalle 13 alle 20 al Vicariato di Roma, Sala conferenze, Via Aurelia 208. I posti disponibili sono 140 e la partecipazione attribuisce 7 crediti formativi. Di seguito il programma dei lavori.

Ore 12.30 – REGISTRAZIONE DEI PARTECIPANTI

Introduce e coordina l’avv. Matteo Santini

Ore 13 – INTERNET E PRIVACY, Avv. Matteo Santini (Presidente Nazionale Centro Studi sul Diritto della Famiglia e dei Minori)

Ore 14 – CARATTERISTICHE INNOVATIVE DEL NEGOZIO GIURIDICO INFORMATICO, Prof. Renato Clarizia (Professore Ordinario di Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università degli Studi di Roma Tre)

Ore 14:45 – FIRMA DIGITALE E CONTRATTO INFORMATICO, Avv. Lello Spoletini

Ore 15:45 – LA RESPONSABILITA’ CIVILE IN INTERNET, Avv. Alessandro Lepone

Ore 16:30 – LA RESPONSABILITA’ PENALE IN INTERNET, Prof. Paolo Galdieri (Professore Università di Roma LUISS Guido Carli)

Ore 17:15 – LA TUTELA DEI MINORI SU INTERNET, Avv. Serena Tucci

Ore 17:45 – LA TENDENZA AL CRIMINE E L’AGEVOLAZIONE DELLO STRUMENTO INTERNET, Prof. Claudio Monzio Compagnoni (Criminologo e medico legale)

Ore 18:30 – MODALITA’ DI ACCERTAMENTO DEI REATI INFORMATICI, GARANZIE E INDAGINI DIFENSIVE, Dott. Giuseppe Corasaniti (Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma)

Ore 19:15 – REATI INFORMATICI, Avv. Massimiliano Parla

Le domande di iscrizione dovranno essere effettuate on line, e-mail tuteladeidiritti@hotmail.it, inviando altresì via fax al n. 06/3220940, copia di documento di identità e copia di ricevuta di avvenuto bonifico.

Il costo del corso, è di euro 100 + IVA (pari a euro 120) che dovranno essere corrisposte al momento dell’iscrizione, mediante bonifico bancario sull’IBAN IT 65 S 02008 05240 000 101286 336 intestato a LA TUTELA DEI DIRITTI.

E’ previsto il rilascio di un attestato di partecipazione.

La formazione continua degli avvocati

di Matteo SANTINI e Fabrizio BRUNI, Avvocati in Roma

L’offerta professionale costituisce una delle più importanti risorse di una nazione a mercato libero.
La professione forense in particolare, per il tipo di formazione che presuppone, comporta necessariamente una crescita culturale del singolo e una piena consapevolezza del contesto sociale in cui si opera.

L’Avvocato non può essere considerato un intellettuale solo per il titolo che consegue dopo l’abilitazione, ma può e deve offrire un contributo di pensiero alla società, oltre che un servizio di elevata qualità al Suo cliente nell’ambito del mandato ricevuto. Non v’è dubbio quindi che l’Avvocato debba essere in grado di accrescere e approfondire le proprie conoscenze e competenze professionali.

Come previsto dalla normativa in vigore (regolamento approvato dal c.n.f. il 13 luglio 2007) l’aggiornamento professionale si deve attuare con la partecipazione ad iniziative culturali in campo giuridico rispettando gli obblighi ed i programmi formativi del Consiglio Nazionale Forense e degli Ordini Territoriali.
L’obbligo formativo degli Avvocati è, come abbiamo visto, derivante da un testo di recente approvazione, essendo in vigore solo dal 2007, ma risulta imperfetto.

L’aggiornamento professionale, necessario al fine di raggiungere e mantenere la perizia necessaria per offrire al proprio assistito una prestazione adeguata all’incarico ricevuto, è imprescindibile per un avvocato. Non è questo il punto.
Le perplessità sorgono in ordine alle modalità dell’aggiornamento imposte agli Avvocati, fondate esclusivamente sull’acquisizione di un determinato numero di crediti mediante la partecipazione ad eventi formativi organizzati.
Tale sistema, così come è concepito, non prende, nemmeno in parte, in considerazione l’attività di aggiornamento e formazione che l’Avvocato quotidianamente svolge nel proprio studio per sé e per i suoi collaboratori, investendo risorse economiche e tempo per migliorarsi nella costante competizione che il mercato gli impone.

Si auspica quindi una parziale riforma che possa tener conto anche di questi aspetti, permettendo al professionista di dimostrare il proprio costante impegno di aggiornamento professionale sulla base di criteri obiettivi legati allo svolgimento dell’attività.

Avv. Matteo SANTINI | m.santini[at]infoiva.it | www.studiolegalesantini.com | Roma

È titolare dello Studio Legale Santini (sede di Roma). Il suo Studio è attualmente membro del Network LEGAL 500. || È iscritto come Curatore Fallimentare presso il Tribunale di Roma; Presidente Nazionale del Centro Studi e Ricerche sul Diritto della Famiglia e dei Minori; Membro dell’AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Consigliere Nazionale AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Responsabile per la Regione Lazio dell’Associazione Avvocati Cristiani; Membro dell’I.B.A. (International Bar Association); Membro della Commissione Osservatorio Giustizia dell’Ordine degli Avvocati di Roma; Segretario dell’Associazione degli Avvocati Romani; Conciliatore Societario abilitato ai sensi del Decreto Legislativo n. 5/2003; Direttore del “Notiziario Scientifico di Diritto di Famiglia”; Membro del Comitato Scientifico dell’ A.N.A.C. || Autore del Manuale sul trasferimento dell’Azienda edito dalla Giuffré (2006); Co-autore del Manuale sul Private Equity (2009 Edizione Le Fonti). || Docente di diritto e procedura penale al Corso in Scienze Psicologiche e Analisi delle Condotte Criminali (Federazione Polizia di Stato 2005). || Collabora in qualità di autore di pubblicazioni scientifiche con le seguenti riviste giuridiche: Diritto & Giustizia (Giuffré Editore); Corriere La Tribuna (Edizioni RCS); Notiziario Giuridico Telematico; Giustizia Oggi; Associazione Romana Studi Giuridici; Il Sole 24 Ore; Studium Fori; Filo Diritto; Erga Omnes; Iussit; Leggi Web; Diritto.net; Ius on Demand; Overlex; Altalex; Ergaomnes; Civile.it; Diritto in Rete; Diritto sul Web; Iusseek.

Avv. Fabrizio BRUNI |bruniavv[at]inwind.it

Avv. Fabrizio Bruni del Foro di Roma. Avvocato civilista, esperto in diritto degli appalti, pubblici e privati, diritto della navigazione e delle assicurazioni. Presidente Nazionale dell’Associazione degli Avvocati Romani e co – fondatore del Notiziario Giuridico stragiudiziale. Mette a disposizione una presentazione sulla formazione continua degli avvocati sul sito: www.associazionedegliavvocatiromani.it

Regolamento sulle Specializzazioni: l’auto-attribuzione arbitraria di un potere normativo

di Matteo SANTINI e Fabrizio BRUNI, avvocati in Roma
Con il “Regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista“, approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta amministrativa del 24.9.2010, questo organo ha dichiarato l’intento di predisporre una serie di norme sulla materia specifica al fine di supplire alla inerzia del legislatore nell’approvazione del disegno di legge sull’ordinamento professionale.

Il disegno di legge sull’ordinamento professionale giace in realtà in Parlamento ormai da qualche anno ed in verità non si tratta di un caso, dal momento che nel suo testo ultimo esprime una ratio del tutto conforme al testo che commentiamo in questo articolo.

Nella relazione di accompagnamento al Regolamento, si sostiene che lo scopo di quest’ultimo non è di creare aree di riserva a vantaggio di ristrette elite professionali; al contrario, si sostiene che esso è funzionale a tutelare l’affidamento del cittadino sulla professionalità dell’avvocato, favorendo, al contempo, l’acquisizione di saperi specialistici che sono, in quanto tali, garanzia di migliore qualità della prestazione.

Il giudizio su tali affermazioni non può risultare positivo considerato l’impianto del Regolamento che appare dimentico dei limiti che il legislatore ha posto all’organo in questione, e si risolve nella sua sostanza, nell’auto-attribuzione di poteri e di funzioni per legge assolutamente estranei al Consiglio Nazionale Forense nell’ordinamento vigente.
Si vogliono rammentare le funzioni del Consiglio Nazionale Forense de iure condito:

– una funzione prettamente amministrativa che consiste nella tenuta dell’Albo degli Avvocati Cassazionisti;
– un’altra funzione prettamente amministrativa che consiste nella predisposizione di pareri sui progetti di legge sulla Giustizia
– una funzione per così dire “normativo-amministrativa” in relazione al dovere, sancito dalla legge 1051/1957 (in relazione all’ art. 1 della L. 536/1949) di proporre la revisione ogni due anni delle tariffe forensi che poi sono comunque emanate con Decreto ministeriale (si è visto come tale potere, di reale interesse per gli avvocati, non sia stato mai osservato);
– una funzione giurisdizionale-disciplinare come organo deputato al giudizio disciplinare forense di secondo grado e nei confronti dei propri membri.

Del resto appare chiaro che al CNF non sia attribuito dalla legge alcun potere o facoltà di legiferare o porre in essere regolamenti con la finalità di custodire l’interesse dei cittadini o della collettività.

Non è quindi stabilito dalla legge che il CNF possa esercitare alcun ulteriore potere di natura normativa o regolamentare oltre quelli sopra indicati, dal momento che nel titolo V della Costituzione la materia delle professioni è attribuita alla legislazione dello Stato (e concorrente delle Regioni) mentre spetta esclusivamente allo Stato la individuazione delle figure professionali così come sancito dal Parere n. 67/2002 dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato del 11.4.2002.

Del resto, lo stesso art. 91 del RDL 1578/1933 dispone che:
Alle professioni di avvocato e di procuratore non si applicano le norme che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio professionale“.

E’ più che mai evidente, infatti, che la disciplina delle “specializzazioni” nell’ambito della medesima professione forense, mediante l’attribuzione del titolo di specialista, possa provocare un effetto pesantemente distorsivo della concorrenza e giammai potrà essere operata sulla base di una normativa emanata da un soggetto privo del relativo potere.

Ciò che rileva ictu oculi nella normativa non è l’invisibile diritto “collettivo” del cittadino che si sostiene vorrebbe essere tutelato, ma un insieme di norme che consentono al Consiglio Nazionale Forense di:
– attribuire in via esclusiva il titolo di specialista mediante un esame centralizzato;
– controllare, anche mediante il sistema del “silenzio assenso” (è sufficiente non occuparsene) l’esistenza in vita e l’operatività degli organismi che potranno “concedere” agli avvocati il titolo di specialista;
– verificare i titoli e controllare periodicamente (seppur in via mediata dalla previa verifica degli ordini, degradati a controllori e delatori) della permanenza dei requisiti (da ottenersi previa la frequentazione di corsi di natura specialistica).

In tal modo si attua un sistema autoreferenziale di controllo effettivo del mercato e della concorrenza tra i professionisti legali.
Cui prodest?

Avv. Matteo SANTINI | m.santini[at]infoiva.it | www.studiolegalesantini.com | Roma

È titolare dello Studio Legale Santini (sede di Roma). Il suo Studio è attualmente membro del Network LEGAL 500. || È iscritto come Curatore Fallimentare presso il Tribunale di Roma; Presidente Nazionale del Centro Studi e Ricerche sul Diritto della Famiglia e dei Minori; Membro dell’AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Consigliere Nazionale AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Responsabile per la Regione Lazio dell’Associazione Avvocati Cristiani; Membro dell’I.B.A. (International Bar Association); Membro della Commissione Osservatorio Giustizia dell’Ordine degli Avvocati di Roma; Segretario dell’Associazione degli Avvocati Romani; Conciliatore Societario abilitato ai sensi del Decreto Legislativo n. 5/2003; Direttore del “Notiziario Scientifico di Diritto di Famiglia”; Membro del Comitato Scientifico dell’ A.N.A.C. || Autore del Manuale sul trasferimento dell’Azienda edito dalla Giuffré (2006); Co-autore del Manuale sul Private Equity (2009 Edizione Le Fonti). || Docente di diritto e procedura penale al Corso in Scienze Psicologiche e Analisi delle Condotte Criminali (Federazione Polizia di Stato 2005). || Collabora in qualità di autore di pubblicazioni scientifiche con le seguenti riviste giuridiche: Diritto & Giustizia (Giuffré Editore); Corriere La Tribuna (Edizioni RCS); Notiziario Giuridico Telematico; Giustizia Oggi; Associazione Romana Studi Giuridici; Il Sole 24 Ore; Studium Fori; Filo Diritto; Erga Omnes; Iussit; Leggi Web; Diritto.net; Ius on Demand; Overlex; Altalex; Ergaomnes; Civile.it; Diritto in Rete; Diritto sul Web; Iusseek.

Avv. Fabrizio BRUNI |bruniavv[at]inwind.it

Avv. Fabrizio Bruni del Foro di Roma. Avvocato civilista, esperto in diritto degli appalti, pubblici e privati, diritto della navigazione e delle assicurazioni. Presidente Nazionale dell’Associazione degli Avvocati Romani e co – fondatore del Notiziario Giuridico stragiudiziale.

La “privatizzazione” della Giustizia attuata con la mediazione obbligatoria (D. Lgs. 28/2010)

Torna da oggi a scrivere sulle pagine di Infoiva l’avv. Matteo Santini, avvocato in Roma. Dopo averci accompagnato, nei mesi scorsi, nel mondo del diritto societario, del diritto di autore, della due diligence, ora svilupperà, in 8 puntate, nuovi aspetti legati al mondo del diritto, dell’impresa e delle professioni. Gli articoli saranno redatti insieme all’avv. Fabrizio Bruni del Foro di Roma, il quale si occupa, tra le altre cose, di problematiche e questioni attinenti al mondo dell’avvocatura e delle professioni.

Il D. Lgvo 28/2010 e il suo regolamento attuativo, emanato con il D.M. Giustizia del 18.10.2010, oggettivamente esprimono la scelta operata dal legislatore: sottrarre all’Amministrazione della Giustizia dello Stato Italiano l’esame della tutela dei diritti di una parte maggioritaria della cittadinanza per l’inclusione delle controversie più comuni, come quelle sulla responsabilità civile auto, sul condominio, sulle successioni e divisioni ereditarie, sui diritti reali (cioè tutte le cause riguardanti gli immobili) e per qualsiasi controversia che abbia come parte una banca, un’assicurazione oppure un ospedale o un professionista per responsabilità medica.

Il provvedimento in esame dispiega una serie di strumenti “dissuasivi”, di forte impatto sociale, per impedire che gli utenti, i quali hanno necessità di fare ricorso ad un giudice, abbiano la concreta possibilità di adire i Tribunali della Repubblica.

Il primo degli strumenti è stato quello di impedire l’accesso al Giudice senza aver prima svolto il procedimento di mediazione. Si tratta della cd. “condizione di procedibilità”.

Il secondo strumento è quello di prevedere costi della mediazione notevolmente superiori a quelli previsti per il contributo unificato dovuto per l’introduzione del processo ordinario.

Si ricorda che per entrambi i sistemi il costo è progressivo ed in relazione al valore della controversia. Ebbene, il costo della mediazione a carico del cittadino è pari a circa il doppio di quello dei procedimenti innanzi ai Giudici Stato, mentre per le controversie di valore superiore ai 250.000 euro i costi si moltiplicano sino a giungere addirittura a circa nove volte di più per le cause di valore superiore ai 5.000.000 di euro.

Il terzo strumento “dissuasivo” è costituito dalla conseguenze per la parte che non intende accettare la proposta di mediazione della “commissione”, proposta che potrebbe essere fatta anche nel caso che la parte chiamata non abbia partecipato a tale procedimento: in questo caso è previsto (art. 13 D. Leg. 28/2010) che colui che non abbia accettato la proposta del mediatore, confermata poi nel successivo giudizio innanzi Giudice, seppur sia riconosciuto il suo buon diritto, sia condannato, alla pari di chi è soccombente, a pagare anche le spese della controparte, oltre ad una vera e propria “penale” pari al contributo unificato relativo a qual processo. Si tratta di una evidente violazione del principio della soccombenza processuale, teso esclusivamente a sanzionare, e quindi a dissuadere dal procedere innanzi al Giudice, la parte che non intenda accogliere la proposta di mediazione.

Se la parte che è chiamata dalla controparte davanti all’Organismo di mediazione non si presenta, anche in questo caso essa è sanzionata (art. 8 D. Leg. 28/2010), con la previsione che il Giudice può desumere argomenti di prova ex art. 116 del codice di procedura civile.

Tale soluzione legislativa viola la possibilità di accesso del cittadino alla Giustizia Ordinaria e può porre il legittimo dubbio che sarà utilizzata da soggetti privati per un vantaggio di natura prettamente economica consistente nella formazione dei mediatori e nell’attività di mediazione, senza assicurare un risultato positivo al cittadino. Non sarà questa la vera ratio della normativa?

Avv. Matteo SANTINI | m.santini[at]infoiva.it | www.studiolegalesantini.com | Roma

È titolare dello Studio Legale Santini (sede di Roma). Il suo Studio è attualmente membro del Network LEGAL 500. || È iscritto come Curatore Fallimentare presso il Tribunale di Roma; Presidente Nazionale del Centro Studi e Ricerche sul Diritto della Famiglia e dei Minori; Membro dell’AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Consigliere Nazionale AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Responsabile per la Regione Lazio dell’Associazione Avvocati Cristiani; Membro dell’I.B.A. (International Bar Association); Membro della Commissione Osservatorio Giustizia dell’Ordine degli Avvocati di Roma; Segretario dell’Associazione degli Avvocati Romani; Conciliatore Societario abilitato ai sensi del Decreto Legislativo n. 5/2003; Direttore del “Notiziario Scientifico di Diritto di Famiglia”; Membro del Comitato Scientifico dell’ A.N.A.C. || Autore del Manuale sul trasferimento dell’Azienda edito dalla Giuffré (2006); Co-autore del Manuale sul Private Equity (2009 Edizione Le Fonti). || Docente di diritto e procedura penale al Corso in Scienze Psicologiche e Analisi delle Condotte Criminali (Federazione Polizia di Stato 2005). || Collabora in qualità di autore di pubblicazioni scientifiche con le seguenti riviste giuridiche: Diritto & Giustizia (Giuffré Editore); Corriere La Tribuna (Edizioni RCS); Notiziario Giuridico Telematico; Giustizia Oggi; Associazione Romana Studi Giuridici; Il Sole 24 Ore; Studium Fori; Filo Diritto; Erga Omnes; Iussit; Leggi Web; Diritto.net; Ius on Demand; Overlex; Altalex; Ergaomnes; Civile.it; Diritto in Rete; Diritto sul Web; Iusseek.

Avv. Fabrizio BRUNI

Avv. Fabrizio Bruni del Foro di Roma. Avvocato civilista, esperto in diritto degli appalti, pubblici e privati, diritto della navigazione e delle assicurazioni. Presidente Nazionale dell’Associazione degli Avvocati Romani e co – fondatore del Notiziario Giuridico stragiudiziale.

Il partitivista dal punto di vista del diritto: professionista di nome, dipendente di fatto

Secondo l’Agenzia delle Entrate, a fine marzo 2010, in Italia, risultavano aperte circa 10 milioni di Partite IVA, la stragrande maggioranza delle quali non faceva capo a società o imprese, ma a figure professionali autonome: un numero sicuramente impressionante, indice sì di vitalità del mercato del lavoro, ma anche dell’instabilità del medesimo.

Il fenomeno del boom delle partite Iva inizia negli Anni ’80, quando comincia la cosiddetta “ristrutturazione terzistica” dell’economia italiana: l’apertura della partita IVA, difatti, diviene lo strumento per divenire imprenditori di se stessi, è sufficientemente agile e snello e non richiede titoli di studio o eccessiva burocrazia.

In tutti questi anni, il popolo delle partite IVA è costantemente cresciuto, ma non ha mai avuto modo di organizzarsi con il solo risultato che, specialmente nel caso di giovani professionisti, vi sia esclusivamente una legislazione fiscale e non una di tutela. La partita IVA, infatti, solo in linea teorica consente di esercitare una professione in modo libero, autonomo ed indipendente, ma, in realtà, è più spesso lo uno degli strumenti, che il giovane avvocato, commercialista, architetto, o il professionista in generale è costretto ad utilizzare pur di entrare a far  parte del mondo del lavoro.

Negli ultimi anni, difatti, si è sviluppata la prassi di utilizzare la partita Iva come strumento per flessibilizzare il mercato del lavoro: invece di assumere un dipendente che lavora part time o addirittura full time, gli si suggerisce di aprire la sua partita Iva; ma, lo strumento in parola gli garantisce al massimo e nel migliore dei casi un lavoro, ma non la tutela che da esso dovrebbe derivare.

E’ indicativo il fatto che molti avvocati e commercialisti chiedano, declassandosi, un posto da impiegato o cerchino comunque carriere alternative. La partita IVA non garantisce una sicurezza, non dà, ovviamente, diritto a ferie né malattie e neppure, almeno per ciò che concerne i giovani professionisti, a quel miraggio di libertà, autonomia ed indipendenza che è stato il motivo per cui si è scelta una professione.

Le statistiche dicono come oltre i due terzi di questi “lavoratori” oscilla tra i 30 e i 40 anni d’età ed un livello alto di istruzione e di professionalità. A ciò occorre aggiungere come non esistendo praticamente barriere di entrata, la concorrenza sia pressocchè incontrollata e sarebbe necessario riformare l’intero modello favorendo gli accorpamenti, prevedendo una legislazione ad hoc e limitando altresì, la cifra spropositata che sfiora i summenzionati 10 milioni.

L’introduzione del c.d. “forfettone” per i redditi sotto i 30mila euro e la possibilità di dividere il reddito tra moglie e marito ha aiutato questo giovane popolo in termini di fisco leggero, ma sono mezzi “placebo” che non accontentano né tutelano se non in minima parte.

Questa la realtà lavorativa per la stragrande maggioranza dei titolari di partite Iva in Italia. Nel 60% dei casi hanno un solo committente e lavorano in sede con ritmi e orari pressoché identici a quelli di un dipendente. Mediamente guadagnano mille euro al mese e restano a lungo nella famiglia d’origine. Professionisti di nome, quindi, ma dipendenti di fatto.

L’esistenza di tali figure professionali “ibride”, genera un ulteriore problema; e cioè il ricorso indiscriminato (a volte giustificato a volte no) alla Giustizia civile (ed in particolare al Tribunale del Lavoro), nella speranza, da parte del “lavoratore” / collaboratore ricorrente, che il Giudice voglia qualificare, di fatto, il rapporto come di lavoro dipendente, nonostante esso sia mascherato da “lavoro autonomo”. La circostanza di essere titolare di partita IVA non è infatti elemento risolutivo per conferire al soggetto titolare, la posizione di lavoratore autonomo, se poi nella realtà dei fatti, il rapporto si manifesta secondo i canoni tipici della subordinazione o della parasubordinazione, quali possono essere l’assoggettamento al potere gerarchico del “datore” di lavoro, il rispetto di orari prestabiliti di entrata e di uscita, ecc…

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È titolare dello Studio Legale Santini (sede di Roma). Il suo Studio è attualmente membro del Network LEGAL 500. || È iscritto come Curatore Fallimentare presso il Tribunale di Roma; Presidente Nazionale del Centro Studi e Ricerche sul Diritto della Famiglia e dei Minori; Membro dell’AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Consigliere Nazionale AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Responsabile per la Regione Lazio dell’Associazione Avvocati Cristiani; Membro dell’I.B.A. (International Bar Association); Membro della Commissione Osservatorio Giustizia dell’Ordine degli Avvocati di Roma; Segretario dell’Associazione degli Avvocati Romani; Conciliatore Societario abilitato ai sensi del Decreto Legislativo n. 5/2003; Direttore del “Notiziario Scientifico di Diritto di Famiglia”; Membro del Comitato Scientifico dell’ A.N.A.C. || Autore del Manuale sul trasferimento dell’Azienda edito dalla Giuffré (2006); Co-autore del Manuale sul Private Equity (2009 Edizione Le Fonti). || Docente di diritto e procedura penale al Corso in Scienze Psicologiche e Analisi delle Condotte Criminali (Federazione Polizia di Stato 2005). || Collabora in qualità di autore di pubblicazioni scientifiche con le seguenti riviste giuridiche: Diritto & Giustizia (Giuffré Editore); Corriere La Tribuna (Edizioni RCS); Notiziario Giuridico Telematico; Giustizia Oggi; Associazione Romana Studi Giuridici; Il Sole 24 Ore; Studium Fori; Filo Diritto; Erga Omnes; Iussit; Leggi Web; Diritto.net; Ius on Demand; Overlex; Altalex; Ergaomnes; Civile.it; Diritto in Rete; Diritto sul Web; Iusseek.

Gli aspetti sostanziali della Pensione di reversibilità: natura e requisiti

La reversibilità viene definita come quella erogazione in denaro, da parte dell’istituto previdenziale, che al momento del decesso del pensionato (ex lavoratore dipendente), è attribuita ad alcuni soggetti, facenti parti della famiglia, ed in particolare il coniuge, i figli e, in specifiche ipotesi, anche ad altri partenti quali i nipoti, i genitori, i fratelli e le sorelle.

Le legge 898/1970 (articolo 9) sancisce che “in caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”.

Si evince da tale disposto che, il coniuge divorziato beneficia del diritto alla pensione di reversibilità, dell’ex coniuge defunto. Ciò avviene però, solo nel caso in cui sussistano i seguenti requisiti: il primo di essi è che il coniuge superstite, fosse già titolare dell’assegno divorzile. In virtù della natura assistenziale dell’assegno divorzile e del principio in base al quale, il vincolo di solidarietà non viene meno successivamente alla cessione del rapporto di coniugio, una quota della pensione del coniuge deceduto, dovrà servire a garantire al coniuge superstite, la possibilità di beneficiare di un importo in denaro che gli consenta di condurre una esistenza dignitosa.

Come stabilito in sentenza n. 7 del 2005 della Corte dei Conti, il diritto alla corresponsione della pensione di reversibilità, sorge semplicemente in virtù del fatto che la sentenza di divorzio abbia sancito il diritto a beneficiare dell’assegno divorzile, anche se effettivamente e concretamente, l’importo disposto non sia mai stato corrisposto dall’obbligato.

Il trattamento pensionistico di reversibilità trova il suo fondamento e la sua essenza nella solidarietà dovuta tra persone in precedenza legate da matrimonio, solidarietà che continua a spiegare i suoi effetti anche dopo la cessazione del vincolo e a prescindere dai motivi della rottura del rapporto coniugale. In tal senso, la pensione di reversibilità, spetta anche al coniuge superstite separato per sua colpa. La Corte Costituzionale ha infatti stabilito (in sentenza n. 15516/2003) che, il coniuge separato per colpa, o al quale la separazione sia stata addebitata, è equiparato, in tutto e per tutto, al coniuge superstite, separato e non, ai fini della pensione di reversibilità, atteso che opera in suo favore la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte, ed indipendentemente dalla circostanza che versi o meno in stato di bisogno o sia beneficiario di un assegno di mantenimento o altra provvidenza di tipo alimentare.

Ulteriore requisito richiesto affinchè possa sorgere il diritto a beneficiare della pensione di reversibilità, è rappresentato dal fatto che il coniuge superstite non si sia nel frattempo risposato e ciò in quanto, con le nuove nozze, il dovere di solidarietà morale ed economica passa in capo al nuovo coniuge.

L’ultimo requisito richiesto, è che il rapporto di lavoro da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio. Comprendiamo in pieno il motivo di tale assunto, in quanto sarebbe iniquo che l’ex coniuge possa beneficiare di utilità e di attività che il de cuius ha generato dopo il divorzio ed in riferimento alla costituzione delle quali, il coniuge superstite non ha minimamente contribuito.

Cosa accade se al momento del decesso, il soggetto aveva contratto un nuovo matrimonio ? Si verifica in questo caso un concorso nei diritti del coniuge superstite e dell’ex coniuge divorziato. L’articolo 9 della legge 898/1970 stabilisce che “qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di cui all’articolo 5″.
Pertanto sia il coniuge divorziato, sia il coniuge superstite, hanno diritto a percepire una quota della pensione di reversibilità. Al ricorrere di tale ipotesi di concorso, sarà necessaria una decisione del Tribunale (da adire mediante ricorso) che stabilisca le quote spettanti a ciascun coniuge.
I criteri per orientare l’organo giudicante nella decisione sono:
– Il criterio temporale: criterio che valuta la durata legale dei rispettivi matrimoni, per cui la quota di pensione spettante ai coniugi concorrenti si determinava in modo matematico in riferimento e proporzionalmente alla durata del matrimonio. Il criterio temporale è stato l’unico applicato dai giudici sino all’emanazione di una nota sentenza della Corte Costituzionale, (numero. 419/99) la quale ha sancito che “…. In presenza di più aventi diritto alla pensione di reversibilità (il coniuge superstite e l’ex coniuge), la ripartizione del suo ammontare tra di essi non può avvenire escludendo che si possa tenere conto, quale possibile correttivo, delle finalità e dei particolari requisiti che, in questo caso, sono alla base del diritto alla reversibilità. Ciò che, appunto, il criterio esclusivamente matematico della proporzione con la durata del rapporto matrimoniale non consente di fare. Difatti una volta attribuito rilievo, quale condizione per aver titolo alla pensione di reversibilità, alla titolarità dell’assegno, sarebbe incoerente e non risponderebbe al canone della ragionevolezza, né, per altro verso, alla duplice finalità solidaristica propria di tale trattamento pensionistico, la esclusione della possibilità di attribuire un qualsiasi rilievo alle ragioni di esso perché il tribunale ne possa tenere in qualche modo conto dovendo stabilire la ripartizione della pensione di reversibilità… La ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e l’ex coniuge deve essere disposta “tenendo conto” della durata dei rispettivi rapporti matrimoniali (art. 9, comma 3, della legge n. 898 del 1970). A questa espressione non può essere tuttavia attribuito un significato diverso da quello letterale: il giudice deve “tenere conto” dell’elemento temporale, la cui valutazione non può in nessun caso mancare; anzi a tale elemento può essere riconosciuto valore preponderante e il più delle volte decisivo, ma non sino a divenire esclusivo nell’apprezzamento del giudice, la cui valutazione non si riduce ad un mero calcolo aritmetico ..… La diversa interpretazione, che porta alla ripartizione dell’ammontare della pensione esclusivamente in attuazione di una proporzione matematica, non giustificherebbe, tra l’altro, la scelta del legislatore di investire il tribunale per una statuizione priva di ogni elemento valutativo, potendo la ripartizione secondo quel criterio automatico essere effettuata direttamente dall’ente che eroga la pensione, come avviene in altri casi nei quali la ripartizione tra più soggetti che concorrono al trattamento di reversibilità è stabilita in base ad aliquote fissate direttamente dal legislatore”.
– La necessità di valutare, oltre all’elemento temporale, anche ulteriori elementi trova la propria ratio nella natura assistenzialistica e previdenzialistica insita nel trattamento di reversibilità e, di conseguenza, nel determinare la ripartizione della pensione di reversibilità, il giudice dovrà tener conto anche, a titolo esemplificativo, dell’ammontare dell’assegno divorzile e delle condizioni economiche dei soggetti interessati, onde ottenere complessivamente il risultato più equo possibile.

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Azioni, obbligazioni e strumenti di finanziamento delle società: un quadro esaustivo

Con il decreto legislativo n. 6 del 17 gennaio 2003 n. 6 sono stati disciplinati, tra le altre cose, gli strumenti diretti al finanziamento delle società di capitali.

Risulta quanto mai opportuno, individuare tutti gli strumenti leciti, che consentano alle imprese, di aumentare il patrimonio e ciò, non solo attraverso gli ordinari strumenti finanziari (come ad esempio tramite l’emissione di titoli azionari ed obbligazionari), ma anche ricorrendo ad altre forme che prevedano la possibilità di finanziare la società attraverso titoli non partecipativi che, quindi, non fanno acquisire al possessore la qualità di socio.
Si tratta di strumenti di reperimento delle risorse economiche utili all’attività d’impresa che, in molti casi vedono l’intervento diretto del socio. La legge prevede una forte tutela dei creditori sociali, tendendo a disincentivare l’abitudine a reperire finanziamenti dai propri soci, senza ricorrere alla forma del conferimento; e ciò nell’ottica di garantire, la reale ed effettiva consistenza del patrimonio. Affinché un socio possa finanziare la società, è necessaria l’iscrizione nel libro dei soci da almeno tre mesi, la partecipazione al capitale sociale pari ad almeno il 2% dell’ammontare del capitale nominale quale risultano dall’ultimo bilancio approvato nonché la previsione di tale possibilità nello statuto. Tali forme di finanziamento effettuate mediante versamenti, sono considerate infruttifere, salvo che venga inserita una specifica disposizione che stabilisce il contrario.

Ai sensi dell’articolo 2467 del codice civile, il rimborso di quanto finanziato dal socio è “postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori della società e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.” Trattasi di norma inderogabile che, si applica anche, qualora nello statuto societario, venga stabilito diversamente. Tale disposizione introduce un’importante novità in materia, atteso che, in precedenza, i crediti vantati nei confronti della società erano considerato di pari grado rispetto a quello degli altri creditori. Lo stesso articolo 2467 prosegue, sancendo che “si intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”. Quindi, ogni finanziamento che sia stato posto in essere al di fuori dalle suddette condizioni è liberamente rimborsabile ai soci.

Lo strumento più utilizzato per finanziare una società di capitali rimane comunque il titolo azionario. Accanto alle azioni che hanno uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti, troviamo le azioni, cosiddette privilegiate, con priorità nella distribuzione degli utili, nella restituzione del capitale e che possono essere postergate in caso di perdite. Le azioni privilegiate (art. 2369 c.c. 5° comma), possono essere emesse esclusivamente a seguito di una delibera dell’assemblea straordinaria e con un quorum deliberativo superiore ad un terzo del capitale sociale (in prima o in seconda convocazione).

Possono altresì esservi altre categorie di azioni, con diritti “limitati”. Lo statuto societario, infatti, può prevedere azioni, prive del diritto di voto o con voto limitato a particolari materie oppure, con voto subordinato al verificarsi di determinate condizioni. I soci cui non è attribuito il diritto di voto e che, pertanto, non possono impugnare le delibere, hanno comunque titolo per ottenere il risarcimento del danno loro arrecato da un’eventuale delibera illegittima posta in essere dalla società.

Esistono poi azioni, le quali possono essere emesse a favore dei dipendenti della società.

La legge, prevede altresì la possibilità di emettere di azioni a favore di persone non legate alla società da alcun rapporto di subordinazione; ciò può avvenire sia mediante aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione, sia attraverso un’assegnazione gratuita di azioni agli amministratori, sia con una vendita di propri titoli azionari a società controllanti o controllate.

Le azioni di godimento, invece, sono particolari titoli azionari attribuiti ai possessori di azioni ordinarie quando, a seguito di una riduzione del capitale per eccedenza, ne sia stato interamente rimborsato il valore nominale. La loro disciplina non è stata toccata dalla legge del 2003 e, salvo diversa disposizione dello statuto sociale, sono prive del diritto di voto.

Vi possono poi essere azioni, le quali prevedono prestazioni accessorie, i cui possessori, oltre all’obbligo del conferimento, hanno l’obbligo di prestare alla società un’attività di tipo personale.

Altro mezzo, frequentemente utilizzato nella prassi per finanziare una società di capitali è il ricorso alla collocazione delle azioni di risparmio. La loro disciplina è contenuta nel Testo Unico della Finanza. Sono azioni, che non attribuiscono il diritto di voto, finalizzate soprattutto ai piccoli risparmiatori interessati al vantaggio economico rappresentato dalla distribuzione degli utili.

Altro strumento di finanziamento è rappresentato dalle obbligazioni. I titolari di obbligazioni hanno il diritto alla restituzione del capitale e alla riscossione degli interessi; secondo il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’articolo 2411 c.c.; tale diritto può essere, totalmente o parzialmente, subordinato alla piena soddisfazione dei diritti di altri creditori della società e la tempistica può variare in relazione alle condizioni economiche in cui si trova la medesima. La competenza ad emettere obbligazioni non convertibili – senza opzione sull’acquisto dell’azione – è attribuita agli amministratori, salvo che la legge o lo statuto non dispongano diversamente. L’emissione di obbligazioni convertibili, invece, rimane di competenza dell’assemblea straordinaria secondo quanto previsto dall’art. 2420 bis del codice civile.

Per ciò che riguarda i limiti quantitativi posti all’emissione di obbligazioni, per le società quotate in mercati regolamentati non è previsto alcun limite. Nei casi di società non quotate, alla società è consentita l’emissione solo per un ammontare che, complessivamente, non superi il doppio della somma del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili secondo l’ultimo bilancio approvato. Nel caso in cui tali titoli siano sottoscritti da investitori professionali oppure siano garantite da un’ipoteca, questo limite può essere superato, ma soltanto fino ai due terzi.

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