Accordo banche-imprese sugli impieghi scaduti

Firmato tra i rappresentanti delle banche e delle imprese il protocollo di intesa sugli impieghi scaduti per attenuare l’effetto delle nuove norme sulla classificazione del credito, classificato dal 2012 come deteriorato dopo tre mesi invece degli attuali sei. Abi, Alleanza delle cooperative, Assoconfidi, Confagricoltura, Confedilizia, Cia, Coldiretti, Confapi, Confindustria e Rete Imprese Italia hanno aderito all’accordo “Comunicazione alle imprese sull’entrata in vigore dei nuovi termini per la segnalazione degli sconfinamenti bancari (Past 2)”.

Con la sigla del protocollo vengono adottati strumenti informativi e di supporto alle imprese, perché siano preparate alle nuove regole. Le banche che aderiranno “si impegnano a esaminare tempestivamente le posizioni delle imprese“. L’accordo prevede anche che “ferma restando la piena autonomia della banca nella valutazione del merito creditizio dell’impresa, l’esame mirerà a valutare le effettive necessità finanziarie delle imprese e il rapporto tra le linee accordate e gli utilizzi“.

Il protocollo stabilisce la possibilità di interventi ad hoc e di “valutare insieme al cliente eventuali soluzioni personalizzate per il rientro degli sconfinamenti“. L’impegno di tutti i soggetti “è diretto ad evitare che l’applicazione delle disposizioni previste da Basilea provochi penalizzazioni per le banche e le imprese, già messe a dura prova dalla crisi“.

Finanziamenti per un’impresa su due

Sono più di un terzo le imprese che nel 2011 hanno dichiarato di aver ottenuto da parte delle banche un finanziamento inferiore a quanto richiesto, se non, nei casi peggiori, di non averlo ottenuto per niente. Secondo quanto rivela l’Osservatorio sul credito per le imprese del commercio, del turismo e dei servizi, pubblicato da Confcommercio sarebbero il 34,4% le imprese che nell’ultimo trimestre del 2011 denunciano di non aver potuto accedere ad alcuna forma di finanziamento, in aumento rispetto ai tre mesi precedenti, quando la percentuale raggiungeva quota 29,6%. Diminuisce quindi il numero delle PMI che riescono ad ottenere il finanziamento richiesto-  dal 55,8% al 49,8% – praticamente un’impresa su due.

I dati raccolti rivelano poi che le imprese maggiormente sfavorite si trovano nel Nord-Est e nel Mezzogiorno. A completare il quadro il peggioramento di tutti gli indicatori relativi all’offerta di credito: costo del finanziamento, costo dell’istruttoria e delle altre condizioni, durata dei finanziamenti, garanzie richieste.

Ma quante e quali sono le imprese che necessitano di ricorrere a un finanziamento in Italia?
Le imprese del terziario per far fronte al proprio fabbisogno finanziario si trovano costrette a richiedere un aiuto economico: nel terzo trimestre del 2011 solo il 49,2% ha dichiarato di non essere ricorso ad un finanziamento, mentre il 35,7% ha accusato qualche difficoltà o ritardo nei pagamenti. Risultato: il 15,1% delle imprese del terziario ha manifestato la propria necessità di ricorrere ad un aiuto economico per far quadrare i conti a fine trimestre. A registrare maggiori difficoltà sono state le microimprese e quelle operative nelle regioni del centro e del sud Italia.

Le previsioni per il quarto trimestre peggiorano ulteriormente il quadro, facendo registrare un saldo pari a -2,7. A manifestare maggior preoccupazione le imprese attive nel commercio, in particolare gli esercizi operativi nelle grandi aree metropolitane.

Resta stabile la percentuale (22%) delle imprese del terziario che nel terzo trimestre del 2011 si sono rivolte alle banche per chiedere un finanziamento o la rinegoziazione di un finanziamento già in atto. Occorre sottolineare però che nel terzo trimestre è diminuita la percentuale delle imprese che ottengono il credito con un ammontare pari o superiore rispetto alla richiesta: sono state il 49,8% contro il 55,8% del trimestre precedente. Ovvero meno della metà.

E’ aumentata l‘area di irrigidimento che ha colpito nei mesi scorsi, con riferimento a luglio, agosto e settembre, il 34,4% delle imprese contro il 29,6% del trimestre precedente.

A.C.

Confartigianato Vicenza sottolinea: le banche pensino alla PMI

Le drammatiche turbolenze dei mercati finanziari si riflettono sulle strategie delle banche e la spirale finisce col ripercuotersi sul credito in forma sempre più  pressante.

A lanciare l’allarme è il presidente di Confartigianato Vicenza Agostino Bonomo, secondo cui ”i continui bollettini di guerra provenienti dalle Borse hanno sconvolto il trend e le aspettative della nostra economia reale, che prima dell’estate lasciava intravedere qualche timido segnale di fiducia, specie per le attività legate all’export‘.

Oggi purtroppo il meccanismo di trasmissione degli effetti negativi della finanza sulle imprese concreto, e lo vediamo da un lato nel forte rallentamento sulle aspettative di crescita e sugli ordinativi, dall’altro in una stretta creditizia dagli effetti minacciosi sia sul livello dei tassi d’interesse e sia sulla forte selezione delle domande di credito. Purtroppo dal settembre 2008, ossia da quando cominciata la crisi finanziaria, non si potuto – o voluto – avviare un concreto processo regolatore dei mercati finanziari, e ora tutti ne paghiamo le conseguenze” .

Qui entra in gioco il ruolo degli istituti di credito. Bonomo ribadisce infatti ”le forti tensioni ribassiste sulle Borse e sul debito sovrano spingono verso l’alto il costo della raccolta bancaria, e quindi anche quello del credito per imprese e famiglie. E’ evidente quindi l’innalzamento dei tassi d’interesse sui prestiti: di questi giorni il raddoppio degli spread sui finanziamenti, che dall’1,5% di prima dell’estate hanno superato il 3%, portando i tassi finiti per le imprese sulla soglia del 5%. Vi è poi il cosiddetto ‘credit crunch’, ossia il razionamento creditizio.I limiti delle banche riducono drasticamente le erogazioni alle aziende che presentino dei rating appena un po’ meno meritevoli, alle quali la concessione praticamente preclusa”.

Per l’Italia uno degli elementi di principale preoccupazione è dunque il credito: mentre la classe politica non lo merita dal popolo, le banche di contro non lo concedono ai privati.

Marco Poggi

Anche i mutui per la casa colpiti dal downgrade di Standard&Poors

Il taglio di rating del debito italiano influisce sul tasso Euribor e sui mutui dei privati.

A sostenere ciò è Stefano Rossini, AD di MutuiSupermarket.it, che sottolinea come un downgrade fosse atteso solo per ottobre-novembre, e come quindi la decisione di S&P sia arrivata come un fulmine a ciel sereno sulle prospettive di crescita per il nostro Paese, rischiando di riflettersi, nei prossimi mesi, sulla disponibilità e sul costo dei finanziamenti per privati e famiglie.

“Il cammino al rialzo degli spread applicati da parte delle banche“, afferma Rossini, “è un cammino iniziato già da qualche mese a questa parte, e si riflettono sulle offerte mutuo. Da giugno a settembre gli spread tra le migliori offerte sono aumentati mediamente di 10 centesimi per il tasso variabile e di 35-40 centesimi per il tasso fisso (simulazioni effettuate su un mutuo acquisto casa per 140.000 euro e durata 20 anni)“.

A giugno i migliori mutui ventennali a tasso fisso erano all’1,25%, mentre quelli di settembre si attestano all’1,65%. Riguardo i mutui ventennali a tasso variabile, la differenza è tra l’1,20 e l’1,30%. Per i trentennali a tasso fisso, invece, i tassi a giugno erano dell’1,35% mentre a settembre hanno raggiunto l’1,70%; quelli a tasso variabile, invece, da giugno a settembre sono passati dall’1,35% all’1,45%.

L’effetto sui tassi finiti è somma dello spread e degli indici di riferimento Euribor per i tassi variabili e IRS per i tassi fissi, non è risultato particolarmente evidente per i nuovi mutuatari solo per il semplice fatto che nell’ultimo mese l’Euribor è diminuito di circa 10 centesimi e l’IRS (a 20 anni) è diminuito di circa 40 centesimi (oltre l’1% invece da aprile 2011)” conclude Rossini.

Sino a che gli indici di riferimento continueranno ad andare in “retromarcia”, l’aumento dello spread sarà assorbito e l’impatto finale per il consumatore sarà limitato, mentre con un aumento degli spread da parte delle banche l’impatto sul tasso finale potrebbe essere sicuramente più evidente.

Marco Poggi

Prestiti per lo studio, è boom

Oltre 40mila italiani nell’ultimo anno hanno chiesto un prestito per pagare i propri studi o quelli dei figli. Il dato è stato diffuso da Prestiti.it, portale specializzato in finanziamenti personali. Secondo l’analisi del sito, ciò che spinge queste persone a puntare sulla formazione è la volontà di vincere lo spettro della disoccupazione, che le porta così a chiedere somme ingenti per l’università dei figli, per corsi di formazione post laurea oppure per finanziarsi la vita da “studente fuori sede”.

L’età media dei richiedenti un prestito è di 38 anni – considerato che il calcolo comprende sia gli studenti che i loro genitori – mentre la somma richiesta si aggira intorno ai 10.500 euro, da rimborsare in circa quattro anni. Tra queste richieste, quelle effettuate da giovani studenti sono oltre il 15%, tra i quali l’età media scende a 25 anni e la somma richiesta è di circa 9.500 euro.

A preoccuparsi della formazione sono soprattutto le donne: se si solito sono gli uomini che richiedono un prestito, la percentuale di donne che li richiede per motivi di studio aumenta del 14% rispetto alla media, passando dal 24% al 38% delle richieste totali. Le regioni italiane hanno una generale uniformità di comportamento, mentre ciò che varia sono gli importi richiesti: guidano la classifica Sardegna (con 14.900 euro richiesti), Lombardia (12.800) e Trentino (12.000); in coda Abruzzo (8.000 euro), Umbria e Veneto (entrambe con 8.100 euro).

I genitori comprano casa per garantirsi attenzione

Un’indagine di Casa.it  rivela che i genitori italiani non accettano l’indipendenza dei figli, che spesso collima con un allontanamento dalle loro vite, e che anzi trovano stratagemmi per bloccarne l’indipendenza. La maggior parte dei giovani under 30 infatti, ricorre ai risparmi dei genitori per l’acquisto della prima casa, non rendendosi però conto, o forse in certi casi sì, che i genitori così facendo stanno opzionando il controllo sulle loro vite.

Il sostegno di papà e mamma infatti spesso non è disinteressato: due famiglie italiane su tre offrono aiuto per l’acquisto delle prima casa, pretendendo però di avere voce in capitolo sul da farsi: posizione, metratura, fino alla ristrutturazione e all’arredo interno.

Tendenza prevalente al Sud Italia (43,7%), quando i più giovani decidono di trasferirsi nelle grandi città del Nord per studio prima e lavoro poi.

Questo fenomeno messo in luce dalla survey è un atteggiamento tipicamente italiano, negli altri paesi europe i giovani si rendono indipendenti molto presto, acquistando la prima casa senza aiuti familiari”, commenta Daniele Mancini, Amministratore Delegato di Casa.it.

Il 58% dei giovani meridionali nello specifico si lamenta della tendenza a comparire alla porta senza preavviso dei genitori, azzerando la loro privacy. Al Nord ci si lamenta invece dell’intrusione di madri e padri nella scelta dell’abitazione “perfetta”.

Da cosa nasce la richiesta di aiuto ai genitori sapendone gli effetti collaterali? Senz’altro dalla complessità riscontrata nel gestire tutte le pratiche burocratiche legate all’acquisto della casa, come la scarsa conoscenza di tutte le fasi del processo di acquisto, la complicata scelta del mutuo/finanziamento e la lettura del contratto, tra le principali.
La colpa è soprattutto delle banche che,  mentre i paesi come gli Usa regalano mutui causando i già noti crack finanziari, in Italia fanno l’opposto, chiedendo ai giovani spesso e volentieri garanzie che solo i genitori possono coprire, per cui per acquistare la prima casa i ragazzi non hanno altra scelta se non quella di rifarsi al patrimonio familiare, qualunque sia il budget.

Quale il budget stimato per l’acquisto di una casa da parte dei giovani? Il 28,5% è disposto a spendere sotto i 150 mila euro, il 26,9% sotto i 200.000 euro, mentre solo un giovane su cinque si prefigge una spesa tra i 200 e i 300 mila euro.
Infine due gli estremi: dai più danarosi che si possono permettere immobili dal valore di 400 mila euro in su, (6,3%), ai più limitati,(12,6%), che cercano di non superare i 100 mila euro.

Le difficoltà economiche rendono però frequente anche l’opzione del monolocale (21%) o dell’appartamento in condivisione (18,7%).

Marco Poggi

Per uscire dalla crisi serve un Patto per la crescita

Guardiamo con preoccupazione al recente andamento dei mercati finanziari. Il mercato non sembra riconoscere la solidità dei fondamentali dell’Italia“. Questa la preoccupazione sollevata in un comunicato congiunto firmato dalle sigle ABI, ALLEANZA COOPERATIVE ITALIANE (CONFCOOPERATIVE, LEGA COOPERATIVE, AGCI, CGIL, CIA, CISL, COLDIRETTI, CONFAGRICOLTURA, CONFAPI, CONFINDUSTRIA, RETE IMPRESE ITALIA, UGL, UIL, CONFARTIGIANATO, CNA.

Per evitare che la situazione italiana divenga insostenibile occorre ricreare immediatamente nel nostro Paese condizioni per ripristinare la normalità sui mercati finanziari con un immediato recupero di credibilità nei confronti degli investitori“. La situazione internazionale è aggravata anche dalla crisi statunitense, debiti pubblici allarmanti e poter d’acquisto in continuo calo.

Per risollevarsi da questa situazione si rende necessario un Patto per la crescita che coinvolga tutte le parti sociali; serve una grande assunzione di responsabilità da parte di tutti ed una discontinuità capace di realizzare un progetto di crescita del Paese in grado di assicurare la sostenibilità del debito e la creazione di nuova occupazione“.

Prorogata la sospensione dei mutui fino a gennaio 2012

C’è tempo fino a gennaio 2012 per chiedere la sospensione delle rate del mutuo in caso di problemi economici. Si tratta di un accordo raggiunto tra Abi e 13 associazioni dei consumatori: Acu, Adiconsum, Adoc, Assoconsum, Assoutenti, Casa del Consumatore, Cittadinanzattiva, Confconsumatori, Federconsumatori, Lega Consumatori, Movimento Consumatori, Movimento Difesa del Cittadino e Unione Nazionale Consumatori.

Tra i nuovi requisiti è stato introdotto che i richiedenti non abbiano già fruito di una precedente sospensione. Si tratta di un aiuto importante per molte famiglie che per colpa della crisi economica non riescono a trovare il denaro necessario per far fronte alle spese mensili, una boccata d’ossigeno necessaria.

Si parla di una misura del valore di 5,5 miliardi di euro per una liquidità complessiva di 339 milioni di euro garantita ai richiedenti. Abi promette aiuti anche dopo la sospensione per garantire credito alle famiglie.

 

 

Prolungata la moratoria per le imprese in crisi

A partire da oggi le aziende che in seguito a una crisi hanno già usufruito della moratoria di un anno per il pagamento dei  mutui ipotecari, qualora abbiano ancora problemi di liquidità potranno ottenere l’allungamento dei finanziamenti senza aumentare il tasso originario. Questo quanto stabilito dall’accordo raggiunto tra l’Abi, Confindustria, Rete imprese Italia Alleanza delle cooperative e tutte le altre organizzazioni imprenditoriali insieme al ministero dell’Economia, Giulio Tremonti, alla presenza del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

In una nota si legge: “il Comitato di Gestione del Fondo di garanzia per le Pmi ha deliberato le modalità con cui le banche accederanno alla copertura di tali misure. In caso di default dell’impresa il Fondo interverrà a copertura del capitale residuo relativo alle rate aggiunte al piano di ammortamento originario. Le imprese prosegue l’Economia non sosterranno pagamenti di alcuna commissione o oneri aggiuntivi rispetto a quelli eventualmente sostenuti dalla banca nei confronti di terzi per la conclusione delle operazioni di allungamento“.

L’Abi ha comunicato i dati relativi alla moratoria di un anno, i cui termini sono stati riaperti fino a giugno 2011: al 31 marzo di quest’anno erano pervenute 273mila domande di sospensione e ne risultavano accolte 203mila per un ammontare di mutui superiore a 59 miliardi e una liquidità disponibile per le imprese pari a 15 miliardi. Il Presidente dell’Abi ha espresso opinione positiva sul decreto “sviluppo”: “tra le importanti novità contenute nel decreto – spiega – alcune intervengono sull’attività bancaria per allineare le norme italiane con quelle europee e sono un contributo alla trasparenza fra banche e imprese“.

Mirko Zago

Paolo Preti: passare dal breve al medio-lungo termine

Infoiva pubblica in esclusiva un articolo tratto dal numero di aprile del “Giornale delle partite Iva” – in edicola dal 31 marzo 2011 -, il mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.


Dialogate con le banche e presentate al meglio il business della vostra società o del vostro studio. È il consiglio che Paolo Preti, docente di Organizzazione delle piccole e medie imprese all’Università Bocconi di Milano, rivolge ai professionisti e ai titolari di microaziende, in vista dell’entrata in vigore dei nuovi parametri di Basilea 3. Secondo il professore, il rischio che si verifichi una restrizione del credito per le piccole e medie imprese è abbastanza concreto, ma il sistema produttivo italiano ha comunque a disposizione alcune armi efficaci per difendersi, almeno se sarà capace di muoversi in anticipo.

In quale direzione?
Innanzitutto, gli imprenditori e i professionisti devono capire l’importanza di una gestione attenta del debito e dei loro rapporti con le banche.

Andiamo per ordine: qual è il primo consiglio che si sente di dare ai titolari di un’azienda?
In primo luogo, è bene che spostino gran parte dei loro debiti con scadenza nel breve termine verso forme di finanziamento di media e lunga durata, almeno quando è possibile.

A quale scopo?
Le linee di credito di lungo termine consentono spesso di attuare una gestione finanziaria più efficiente, evitando molte situazioni problematiche nel breve periodo, determinate da difficoltà temporanee per l’impresa. Inoltre, “spalmando” su più anni l’ammortamento di un prestito, il piano di rimborso diventa maggiormente sostenibile, soprattutto per le società che hanno flussi di cassa ridotti o altalenanti. In questo modo, l’azienda può apparire agli occhi della banca come una controparte affidabile, meno esposta al rischio di non poter onorare i propri impegni.

Così il rating creditizio dell’azienda crescerà?
Diciamo che un’azienda che adotta queste strategie improntate al buon senso ha maggiori possibilità di ottenere una valutazione più elevata. Occorre, però, un ulteriore sforzo per migliorare il dialogo tra gli imprenditori e gli istituti di credito.

Quale sforzo?
In Italia ci sono tantissime piccole società guidate da professionisti bravissimi, che hanno alle spalle una solida cultura industriale. A volte, però, questi imprenditori hanno un difetto: non riescono a mettere in evidenza in maniera adeguata le dotazioni patrimoniali di cui dispongono, le garanzie offerte alla banca o i flussi di cassa generati dall’attività caratteristica dell’azienda.

Come possono riuscirci?
Ad esempio presentando un business plan degno di questo nome, che sottolinei nero su bianco i benefici economici derivanti da un determinato progetto d’investimento, cioè le risorse finanziarie che entreranno nell’azienda negli anni a venire. Si tratta di un documento molto importante, che va redatto con attenzione e, se necessario, con l’aiuto di professionisti
qualificati.

Ma basteranno tutte queste contromisure a ridurre l’impatto di Basilea 3?
Certamente sono un buon inizio. Com’è ovvio, molte piccole imprese hanno difficoltà a dialogare con il sistema bancario in una posizione di forza. Ma la rassegnazione non è certo un rimedio per superare i problemi. Le Pmi italiane hanno sempre dimostrato di essere ricche di inventiva e capaci di sfidare le insidie del mercato in maniera molto flessibile.

Cosa accadrà invece ai piccoli professionisti che hanno bisogno di nuove linee di credito?
Questa categoria di lavoratori si trova in una sorta di limbo. In teoria, i parametri stabiliti dagli accordi di Basilea tendono a equiparare i piccoli professionisti ai debitori privati, che contraggono finanziamenti per motivi personali. Di fatto, però, alla fine le banche tratteranno il popolo delle partite Iva con gli stessi criteri utilizzati per le microaziende, valutando con attenzione il loro merito di credito, la loro solvibilità finanziaria e il patrimonio di cui dispongono.

Dunque, anche per i professionisti valgono le stesse raccomandazioni rivolte alle piccole imprese?
Certo che sì. Dialogare in maniera proficua e trasparente con il sistema bancario è una strategia utile per chiunque voglia indebitarsi. Soltanto così si possono prevenire gravi difficoltà in futuro.