Turisti stranieri, in Italia resta solo la metà di quanto spendono

Quando ci mettiamo d’impegno, noi italiani siamo un popolo straordinario. Sia nel fare le migliori cose, sia nel rovinarci con le nostre stesse mani, riuscendo a dissipare il patrimonio di creatività, arte, voglia di fare e natura che il buon Dio ci ha dato. Ma noi di INFOIVA non smettiamo di credere nelle capacità delle parti sane che compongono il tessuto produttivo del nostro Paese di cambiare le cose, a dispetto di una politica sorda, aliena, lontana. E non smettiamo di farlo neanche quando ci imbattiamo in questi dati, affrontando questa settimana il tema dell’industria turistica italiana, facendo il punto su quanto emerso dalla Bit, la Borsa Internazionale del Turismo che si è tenuta la scorsa settimana a Milano.

Secondo quanto emerge dalla ricerca realizzata da Confturismo – Confcommercio in collaborazione con il CISET (Centro Internazionale di Studi sull’Economia Turistica) dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, meno della metà della spesa dei turisti stranieri arriva in Italia, mentre il rimanente arricchisce le economie estere. Dei 5,7 miliardi di euro di fatturato generato dalla vendita di pacchetti ai turisti stranieri, solo 2,7 miliardi (il 47,1%) rimane in Italia, mentre i restanti 3 miliardi (52,9%) vanno a remunerare la filiera estera.

I 5,7 miliardi di euro vengono innanzitutto depurati dal costo del trasporto effettuato da vettori internazionali (che pesa per il 39% sul costo finale del pacchetto). Poi, dal prezzo depurato viene detratto il mark up del Tour operator estero e la remunerazione del canale distributivo collegato (12,2% del costo finale). Il totale delle detrazioni ammonta così al 52,9% del fatturato totale.

A fronte di un turismo incoming organizzato che nel 2012 ha registrato un andamento migliore rispetto all’incoming totale, sia in termini di arrivi sia di spesa (+7,2% e +12,5%, rispettivamente, contro +0,6% e +3,8% per l’incoming totale) la filiera italiana cattura meno del 50% dei ricavi totali (47,1%). Ma il contributo che il turismo incoming dà all’economia italiana è molto superiore a quanto deriva dalla vendita dei pacchetti. In particolare, un turista internazionale che sceglie di acquistare un pacchetto per un soggiorno o un tour in Italia spende, in media, 1.054 euro per il pacchetto, ma lascia sul territorio altri 388 euro a testa di spesa extra. Un capitale letteralmente dissipato.

Il turismo è il petrolio dell’Italia? Ancora per poco…

di Davide PASSONI

Provate a digitare nella stringa di ricerca di Google, sezione News, la parola Bit, ovvero la Borsa Internazionale del Turismo che si è appena chiusa a Milano. Ebbene, nella prima pagina di risultati troverete quasi solo notizie relative a stand che hanno presentato a Milano l’offerta turistica delle singole regioni italiane.

Un risultato che è lo specchio più fedele di uno dei principali motivi per i quali la nostra industria turistica non riesce a esprimere tutte le potenzialità delle quali sarebbe capace: l’incapacità, anche qui, di fare sistema. Una incapacità che si traduce in occasioni perdute, prima fra tutte quella di avere una regia unica per il sistema turistico italiano che consenta di far restare sul territorio la maggior parte della ricchezza che il turista straniero porta con sé.

Per non parlare di un sistema infrastrutturale e dei trasporti e di un sistema aeroportuale che ci collocano agli ultimi posti in Europa per efficacia del servizio. Come poter immaginare uno scenario diverso in un Paese dove ogni città fa a gara per avere un suo aeroporto, moltiplicando costi e spese e frammentando in modo sterile l’offerta logistica per i passeggeri?

O ancora, tralasciando la qualità media dell’offerta ricettiva in Italia, non all’altezza degli standard europei, proviamo a guardare al mondo di INFOIVA, internet. L’acquisto di viaggi, vacanze e soggiorni è, sul web, una delle attività più diffuse al mondo e l’universo del turismo è uno di quelli che maggiormente sono stati cambiati dalla rivoluzione digitale. Ecco, confrontiamo il portale-vetrina dell’Italia e del suo turismo, Italia.it, con quello del nostro maggior competitor europeo, la Spagna e il suo spain.info. Bastano due aspetti per decretare un verdetto impietoso: il numero di lingue in cui il sito è disponibile e la presenza o l’assenza sulla home page del box che consente di organizzare e acquistare il proprio viaggio e la propria vacanza nel Paese. Siamo sconfitti nettamente, come nella finale dell’ultimo Europeo di calcio.

Insomma, pizza, spaghetti, mandolino, Colosseo, Ponte Vecchio, le gondole, il barocco, la Costa Smeralda, la piadina, lo speck o il Museo Egizio da soli non bastano più. E nemmeno se lasciati alle cure della regione che li ospita o ha dato loro i natali potranno brillare in un panorama turistico globale che cambia rapidamente quanto la tecnologia e gli scenari geo-economici. In questo caso, la conservazione dell’identità locale potrebbe trasformarsi, anziché in una opportunità di promozione, in una chiusura che rischia di spegnere ogni possibilità di sviluppo.

Chi ha a cuore le sorti del turismo e, soprattutto, chi deve legiferare per rilanciare il settore, tenga conto di tutto questo.