L’economia del mare resiste alla crisi

Durante la prima edizione degli Stati Generali delle Camere di commercio sull’economia del mare appena svoltasi a Gaeta nell’ambito della 6^ edizione dello Yacht Med Festival, sono stati evidenziati, dai partecipanti, alcuni obiettivi comuni su cui focalizzarsi.

Tra questi, quelli più urgenti sono risultati:

  • evidenziare il valore reale dell’Economia del mare; promuoverne il riconoscimento a livello istituzionale e il ruolo delle Camere di Commercio per il suo sviluppo;
  • mettere a sistema i progetti e le risorse della rete camerale italiana e implementare una policy di sistema;
  • orientare l’Economia del mare verso uno sviluppo economico, sociale e ambientale che sia sostenibile e integrato.

A tal proposito, Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, ha dichiarato: “L’economia del mare è come un ‘cuore blu’ che pulsa al fondo del sistema produttivo del Paese. Una risorsa strategica straordinaria che in questi anni di crisi ha continuato a battere anche a ritmi più veloci rispetto al resto dell’economia. Abbiamo il dovere di assecondare e alimentare questo battito per sostenere i territori e aiutare l’Italia a ritrovare il percorso della crescita. Il sistema camerale, con gli stati generali dedicati all’economia del mare, ha raccolto una sfida importante sui cui si impegna ad affiancare il mondo delle imprese e delle associazioni e a lavorare con le altre istituzioni per rafforzare un pezzo del tessuto economico nazionale che è fondamentale per l’innovazione e la sostenibilità del nostro modello di sviluppo”.

Durante il meeting è stato presentato il 2° Rapporto sull’Economia del Mare, realizzato da Unioncamere con il contributo tecnico di CamCom-Universitas Mercatorum, che fotografa come il comparto “blu” dell’economia italiana contribuisca in una percentuale massiccia alla produzione di ricchezza e occupazione: per ogni euro di valore aggiunto prodotto direttamente, il mare ne attiva quasi altri due nel resto dell’economia.

Inoltre, nonostante la crisi, nel periodo 2009-2011 l’economia del mare ha dimostrato di saper resistere sia per quanto riguarda l’occupazione, sia per quanto riguarda l’imprenditoria.
Infatti, a fronte della perdita totale nel periodo di 97.000 posti di lavoro (-0,4%), l’economia del mare si è mossa in controtendenza, segnando un incremento stimato di 11.000 unità (+1,4%).
Un fondamentale impulso è stato dato dalle attività di ricerca ma anche da turismo.
Per quanto riguarda le imprese, nel triennio 2010-2012 il tessuto imprenditoriale (costituito da circa 210mila imprese) è aumentato di quasi 7.000 unità, ad un ritmo quindi del 3,4%, decisamente superiore allo 0,1% osservato per il totale dell’economia

Parlando di numeri, il contributo al valore aggiunto prodotto nel nostro paese dalle filiere riconducibili all’economia del mare, ammontava nel 2011 a 41,2 miliardi di euro con una incidenza sul totale della capacità di produrre ricchezza del 2,9%, ovvero quasi il doppio di quanto prodotto dal comparto del tessile, abbigliamento e pelli (21 miliardi) o delle telecomunicazioni (22 miliardi), e quasi il triplo di quello del legno, carta ed editoria (poco meno di 15 miliardi).

Il 45% del totale, che corrisponde a circa 19 miliardi, deriva dai settori più tradizionali, come la cantieristica e i trasporti di merci e persone seguiti da quelli della filiera ittica e dell’industria estrattiva marina.
Poco meno di un terzo si riferisce alle attività legate al turismo cui si deve il 37% del valore aggiunto creato dal comparto, mentre, segue, ma a una certa distanza, il “terziario avanzato” rappresentato dalla ricerca, regolamentazione e tutela ambientale e che contribuisce a quasi un quinto della ricchezza prodotta complessivamente dal sistema economico legato al mare.

Per quanto riguarda l’occupazione, sono quasi 800mila i lavoratori dell’economia del mare, ovvero il 3,2% dell’occupazione totale a livello nazionale e superiore, di 200mia unità, del settore formato dalla chimica, farmaceutica, gomma, materie plastiche e minerali non metalliferi (600mila occupati; 2,4% del totale economia), e 160mila in più rispetto a quella dei servizi finanziari e assicurativi (circa 640mila unità, pari al 2,6% degli occupati totali).

All’interno di questo settore, forte è la presenza di coloro che lavorano nelle attività ricettive e della ristorazione, che è pari al 36% del totale, equivalente a 287mila lavoratori, molti dei quali stagionali. Seguono coloro che lavorano nei cantieri (17%, poco più di 135 mila occupati), nella filiera ittica (12%, poco più di 95mila occupati), e le attività sportive e ricreative (8% pari a più di 61mila occupati).

La maggiore concentrazione di lavoratori nel settore si trova nelle regioni del Centro-Sud, 60% del valore aggiunto e 64% in termini di occupati, grazie soprattutto alla centralità che assume in alcune regioni come il Lazio, la Sicilia, la Campania e la Puglia.
Al Nord la Liguria è la regione trainante, seguita da Lombardia e Veneto, che insieme assorbono all’incirca un quarto di ricchezza e di occupazione ascrivibile alle attività connesse al mare (rispettivamente 26 e 23% del totale nazionale).

In termini di sviluppo territoriale, i dati mostrano come tra le regioni solo in Liguria il valore aggiunto prodotto dell’economia del mare incida per oltre il dieci percento sull’economia regionale (l’11,9%). Tra le province, l’incidenza maggiore si riscontra a Livorno, dove il 15,7% del valore aggiunto del territorio è dovuto all’economia del mare.

Vera MORETTI

Spazio alla Green e alla Blue Economy

Se questo è un periodo difficile per molti settori, certo non lo è per la Green Economy.

I risultati sono positivi per quanto riguarda produttività e opportunità lavorative, ma anche i dati relativi all’export sono in aumento, tanto da confermare le stime Ocse, che prevede 20 milioni di posti di lavoro entro il 2030, considerando il solo ambito dell’energia low carbon.
Se prendiamo in considerazione l’Italia, il 23,6% delle aziende ha attivato iniziative green con questo obiettivo.

Il secondo osservatorio congiunturale sulle pmi green curato da Fondazione Impresa ha individuato una criticità in circa 400 piccole imprese con meno di 20 addetti ma a metà 2012 le piccole imprese green sono risultate meno in difficoltà delle altre.

In questo caso, si tratta di piccole e medie imprese che operano nei settori delle energie rinnovabili, protezione dell’ambiente, certificazione di prodotti e processi, consulenza ambientale e riciclaggio dei rifiuti.
Gli indicatori chiave che sono serviti per verificare il vero stato di salute delle aziende sono stati: produzione, fatturato, ordini, esportazioni, prezzi dei fornitori, occupazione e investimenti.

Le imprese green hanno registrato una diminuzione della produzione dello 0,1%, senza alcuna variazione di fatturato. Sono calati di poco gli ordini (-0,4%) a fronte di un leggero aumento dell’export (0,6%), anche se è stata registrata una flessione dell’occupazione (0,8%).
Gli addetti ai lavori, considerando il futuro più prossimo, usano prudenza e ipotizzano andamenti contrastanti fra produzione (-0,1%) e fatturato (+0,1%). La ripresa degli ordinativi viene valutata in un +0,5% con un dato in crescita anche per esportazioni (+0,8%), occupazione (+0,3%) e incidenza degli investitori (16%).

E proprio in termini di investimenti, ad aver dimostrato una buona propensione sono proprio gli operatori “verdi”, visto che, ad investire somme superiori a 50mila euro, sono state il 26,5% delle imprese green, contro il 9,5% delle comuni aziende.

Ma il futuro può essere davvero roseo, se si pensa che il settore della green economy si appresta a lanciare nuovi profili lavorativi, come il sommelier della frutta, maestri falconieri a protezione della semina, esperti di erbe per trovare nuovi aromi a servizio dell’industria profumiera, e tanti altri che ne verranno.

E accanto alla gren economy, potrebbe presto apparire la Blue Economy, che permette di riprogettare i sistemi economici, le realtà imprenditoriali creando catene in cascata fra loro, in modo che l’emissione di inquinamento sia pari a zero: ogni nodo della catena riceve gli scarti dal precedente e vi costruisce sopra il proprio business, replicando la capacità in natura di creare senza produrre scarti.

Vera MORETTI