Azioni di capitali: cosa sono e di quali tipologie ne esistono

Le azioni di capitali sono investimenti in società di capitali. Ne esistono di vario tipo e ogni tipologia  ha delle caratteristiche specifiche.

Azioni: cosa sono?

Le azioni sono titoli  nominativi che conferiscono al legittimo proprietario la titolarità di una quota di comproprietà del patrimonio sociale. Il fatto che le quote siano partecipazioni di capitale diviso in azioni, permette la libera circolazione e ne facilità lo scambio. Le azioni sono anche un titolo di credito, cioè uno strumento che incorpora un diritto e ne facilita la trasmissione ad altri soggetti. Le azioni possono essere quotate o non quotate in Borsa valori. Investire in azioni, significa quindi, comprare alcune nella speranza che il loro valore aumenti, e nel momento della vendita, si possa realizzare una plusvalenza. In altre parole un guadagno tra il valore di acquisto e quello di vendita. Dall’altra parte le società per azioni (S.p.A) attraverso la vendita di questi titoli, finanziano la propria attività.

La figura dell’azionista: tra diritti ed oneri

L’azionista è colui che compra le azioni di una società. Tuttavia non è un creditore, ma è un socio. Quindi partecipa alla vita della società, sopportando i rischi di eventuali vendite. Oppure godendo di benefici in caso di andamento positivo del suo investimento. Pertanto ha una serie di diritti che gli sono riconosciuti:

  • la possibilità di esprimere il proprio voto in assemblea dei soci;
  • impugnare eventuali delibere assembleari invalide;
  • partecipazione ai dividendi, in caso in cui la società li distribuisca;
  • consultare i libri sociali. 

Tutte le tipologie: Le azioni ordinarie

Nel nostro ordinamento sono varie le tipologie di titolo azionario. Ognuna attribuisce diritti diversi a chi le possiede. Le azioni ordinarie rappresentano la base della struttura patrimoniale della società. Esse attribuiscono, ai loro proprietari, il diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie. Ma non solo hanno il diritto di opzione cioè il diritto di sottoscriverne di nuova emissione. L’azionista inoltre ha la possibilità di percepire una quota degli utili d’esercizio, attraverso la divisione dei dividendi. Anche in sede di liquidazione, l’azionista ha il diritto ad una quota del netto finale. La principale componente di remunerazione delle azioni ordinarie è comunque rappresentata dal capital gain, ossia dalla differenza tra il prezzo di acquisto ed il prezzo di vendita dell’azione stessa. Anche i capital gain sono tassati secondo un’aliquota del 12,50%.

Le azioni privilegiate

Le azioni privilegiate attribuiscono particolari diritti in sede di riparto degli utili. Ma anche in caso di rimborso del capitale netto allo scioglimento della società. A fronte di ciò, il diritto di voto relativo alla vita societaria può essere limitato alle assemblee straordinarie. Di solito le società riconoscono un rendimento addizionale (una prelazione) rispetto al dividendo ordinario. A fronte di tutti questi vantaggi patrimoniali, ci sono delle restrizioni dei diritti amministrativi. Infatti i privilegiati non possono mai votare nelle assemblee ordinarie. Infine secondo la Riforma delle società del 2003, solo le società di capitali possono emettere azioni a voto limitato soltanto nella forma di azioni di risparmio. 

Le azioni di risparmio

Sono previste dall’art. 145 del D.Lgs 24 febbraio 1998, n.58 e possono essere emesse esclusivamente dalle società quotate in borsa nei mercati italiani ed esteri. Le azioni di risparmio sono nate per incentivare gli investimenti, offrendo ai risparmiatori dei titoli buoni rendimenti. L’art. 145 del TUF, secondo comma stabilisce che l’atto costitutivo “determina il contenuto del privilegio, le condizioni, i limiti, le modalità e i termini per il suo esercizio”. La società emittente stabilisce, inoltre, i diritti spettanti agli azionisti di risparmio in caso di esclusione dalle negoziazioni delle azioni ordinarie o di risparmio. In genere, alle azioni di risparmio viene assegnato, in caso di distribuzione degli utili, un dividendo minimo annuo (calcolato in percentuale sul valore nominale) ed uno scarto minimo sul dividendo delle azioni ordinarie sulle azioni ordinarie in sede di rimborso del capitale. A fronte però di questo vantaggio patrimoniale però vi è il fatto che sono prive del diritto di voto. 

Altre tipologie: di lavoro e di godimento

Quelle di lavoro sono emesse a fronte delle quote di utili che l’assemblea abbia deliberato di assegnare ai dipendenti. Sono regolate da norme particolari per quanto riguarda il loro trasferimento e i diritti spettanti ai loto possessori. Mente le azioni di godimento sono attribuite ai possessori delle azioni rimborsate ai soci in occasione di una riduzione di capitale. Tuttavia la loro emissione ha lo scopo di compensare questi socie che per il fatto che il  rimborso avviene al valore nominale, mentre il valore patrimoniale, è maggiore. Infine hanno un valore nominale nullo e non danno diritto di voto. Però partecipano al riparto degli utili soltanto solo che alle azioni ordinarie sia stato assegnato un dividendo pari all’interesse legale. Ed infine concorrono alla ripartizione del netto finale, in caso di liquidazione.

Il valore nominale e non solo

Quando si parla di valore nominale ci si riferisce al valore delle azioni. Il valore nominale è l’importo sull’azione in base ad esso si determina l’entità del capitale sociale. Il valore di emissione è il prezzo richiesto agli azionisti al momento della costituzione della società o in occasione di aumenti del capitale. Mentre il valore versato corrisponde alla quota di valore nominale che risulta sottoscritta ma non versata. Il valore di rimborso è l’importo corrisposto al titolare al momento dello scioglimento delle società. Il valore corrente è il prezzo che si forma giornalmente sul mercato azionario in seguito alle operazione di compravendita che sono stipulate. Ed infine il valore contabile o patrimoniale che si ottiene dividendo il netto patrimoniale per il numero dei titoli in circolazione. Pertanto se si vuole investire in borsa, ci sono varie opportunità, basta stare attenti a cosa scegliere.

Borsa valori: come funziona e chi lavora in quella italiana?

La borsa valori è un mercato regolamentato per la negoziazione di strumenti finanziari. Vediamo insieme come funziona e gli attori che la vivono.

Borsa valori: un pizzico di storia

La Borsa valori Italiana è una società che gestisce il mercato finanziario italiano, comunemente noto come Borsa di Milano. E’ stata fondata con decreto il 16 giugno 1808.  Lo stesso decreto affidava ad “una commissione di quindici tra banchieri, negozianti e sensali”, appositamente nominata dal ministro dell’Interno, la ricerca di una sede provvisoria per l’immediata apertura e di una sede adeguata dove tenere definitivamente le riunioni di borsa. Un secondo decreto datato 6 febbraio 1808 stabilì un primo regolamento per il funzionamento della Borsa. Oggi è la nona borsa valori più antica del mondo (dietro a Francoforte, Amsterdam, Copenaghen, Parigi, Vienna, Dublino, Bruxelles e Londra) e la sedicesima in termini di capitalizzazione.

Borsa Valori: alcune caratteristiche

All’interno delle borse valori si negoziano strumenti finanziari o più semplicemente titoli. Da un lato ci sono le azioni e le obbligazioni emesse da società, le quote di organismi collettivi di investimento, i titoli del debito pubblico emessi dallo stato , dall’altro gli strumenti finanziari derivati che sono scommesse sul rialzo o ribasso delle quotazioni. Oggi i mercati sono regolamentati da circuiti telematici ai quali hanno accesso solo gli operatori autorizzati. Soggetti che immettono nel circuito le offerte o accettano le offerte emesse da altri operatori. Anche in Italia, come all’estero, l’attività di organizzazione e gestione dei mercati regolamentati di strumenti finanziari, può essere esercitata da società per azioni (Spa). Però l’esercizio sui mercati da parte di questo tipo di attività deve essere autorizzato dalla Consob.

La figura degli intermediari mobiliari

Chi intende acquistare o vendere titoli in un mercato regolamentato o fare scommesse sulle quotazioni non può farlo direttamente. Pertanto ha bisogno di qualcuno che lo faccia per lui. A svolgere questo compito sono gli intermediari mobiliari. Tra questi ci sono le società di intermediazione mobiliare (sim), le banche e gli agenti di cambio. Tuttavia sui mercati regolamentati le negoziazioni avvengono solo tra intermediari autorizzati che possono agire per contro proprio o per conto dei clienti. In questo ultimo caso essi vendono o acquistano i titoli come mandatari senza rappresentanza dai loro clienti. Questo vuol dire che essi sono direttamente obbligati, nei confronti degli altri intermediari dai quali comprano o ai quali vendono, al pagamento del prezzo pattuito o alla consegna dei titoli.

I tipi di contratti presenti in borsa valori

In generale i contratti di borsa possono variare da un mercato ad un altro. In quello italiano i contratti sono essenzialmente di tre tipi:

  • per contanti sono compravendite di titoli la cui esecuzione avviene entro pochi giorni, tramte pagamento e consegna;
  • a termine sono sempre compravendite nelle quali però la consegna dei titoli ed il pagamento sono fissati al momento della conclusione del contratto, ma vengono differiti alla fine del mese borsistico;
  • a fermo sono contratti con le quali le parti si obbligano irrevocabilmente all’esecuzione di tramite pagamento del prezzo e consegna dei titoli;
  • contratti a premio sono contratti con i quali una delle parti si riserva la facoltà di non adempiere alla scadenza del contratto, pagando all’altra un corrispettivo, detto premio.

I contratti derivati

I contratti derivati sono scommesse su un mercato, ma che riguardano le variazioni delle quotazioni che si registrano su un altro mercato. Quelli più diffusi nella borsa valori italiana sono quelli a termine su un indice di borsa e quelli di opzione. I primi sono anche chiamati futures e sono scommesse relative all’andamento di un indice di borsa che denota la quotazione media di un paniere di titoli. Infine i contratti di opzione sono contratti a temine simili ai contratti a premio con i quali una parte acquista da un’altra, dietro pagamento di un premio, il diritto di comprare oppure il diritto a vendere determinati titoli ad un prezzo ed entro un periodo stabilito. La borsa valori è senza dubbio un mercato affascinante, ma pericoloso, se non si è esperti del settore.

Le alternative agli investimenti alternativi

 

La terra ha un valore, in quanto bene scarso, ed il suo valore è tanto più rilevante quanto lo sono le potenzialità di sfruttamento che offre, in relazione alla richiesta di mercato attuale o prospettica. Maggiore è la capacità di comprendere l’evoluzione della richiesta, maggiore è la possibilità di ottenere plusvalore dal terreno acquistato.

Un terreno edificabile, oggi, può avere scarsa appetibilità per il futuro, considerando l’inflazione di offerta sul mercato immobiliare e la scarsezza di domanda. Con le dovute eccezioni, perché in zone ad elevato potenziale turistico o di sviluppo economico, le prospettive di incremento, anche a breve, del valore, sono molto incoraggianti.

I terreni, in generale, contraddicono un principio rilevante per gli investimenti alternativi, la loro facilità di trasporto; un appezzamento, quindi, subisce tutte le eventuali ripercussioni di problemi sociali e  politici che dovessero insorgere nel corso del tempo. Anche perché, altra caratteristica che contraddice i principi, il terreno ha un orizzonte temporale di lungo o lunghissimo periodo. Inoltre, gravano come  spade di Damocle, gli incrementi di tassazione o la possibilità di confisca, per ragioni pubbliche o per scelte politiche, dei possedimenti in questione.

Nonostante queste contraddizioni, ritengo utile diversificare il patrimonio anche con l’acquisto di terreni, sempre che ci si faccia aiutare, nella scelta, da consulenti che debbano vendervi nulla.

Considero un valido investimento alternativo sopratutto i terreni agricoli, per diverse ragioni.

Prima di tutto, un terreno agricolo può divenire terreno edificabile, quindi aumentandone il valore in maniera esponenziale. Non credo sia una condizione che si verificherà facilmente nei prossimi anni, considerata la crisi immobiliare attuale, la enorme quantità di offerta di immobili, la contrazione di domanda e di popolazione. Con le debite eccezioni di luoghi ad elevato potere di espansione, in grado di attirare investitori stranieri.

Ma nel lungo periodo, potrebbe accadere che torni una certa “fame di immobili nazionali” e di conseguenza di terreni su cui edificare.

In secondo luogo, i diritti di sfruttamento del sottosuolo, che normalmente rimane di proprietà dello Stato, possono far lievitare il valore nel caso di scoperte di giacimenti di materie prime utili all’industria.

In terzo luogo, è plausibile che ci sarà, nei prossimi anni, un ritorno alla coltivazione della terra; se pensate alle molte persone senza un lavoro e a quelle che potrebbe perderlo, l’unica soluzione sarà quella di coltivare, in proprio o conto terzi, prodotti necessari al mantenimento della popolazione.

Ancora, sta aumentando il consumo di legno pregiato da costruzione, sia per ragioni ecologiche che di costo, ed è plausibile che la tendenza continui nei prossimi 20 anni. Potrebbe essere un ottimo investimento possedere un terreno su cui è possibile coltivare teak, ad esempio.

Un problema può essere la reperibilità di terreni agricoli interessanti e non troppo estesi, perché esistono diritti di prelazione per i coltivatori  e per i confinanti, addirittura è difficile sapere che un determinato terreno è in vendita. Ma non è impossibile, basta riferirsi a professionisti seri ed affidabili.

 

Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

Le alternative agli investimenti alternativi

 

Come già detto in precedenti occasioni, è importante assecondare gli interessi che ognuno di noi ha. Quindi, se le auto e i veicoli d’epoca sono la vostra passione, possono rappresentare un valido investimento alternativo.
Alcuni problemi sono comuni agli oggetti di arte e antiquariato; lo stoccaggio può richiedere spazi molto ampi, sopratutto se si possiedono molti veicoli, e gli spazi devono essere adeguatamente protetti da “incursioni” di potenziali ladri o vandali.
Ci sono anche costi da sostenere, collegati alla circolazione dei mezzi in questione (assicurazione e bollo, anche se ridotti rispetto alle auto recenti), alla protezione (assicurazione, impianti di allarme, sorveglianza), alla manutenzione o al restauro. Questi costi possono incidere anche pesantemente sul bilancio famigliare, quindi sono da valutare a priori e con attenzione.
In generale, come per altri beni rifugio già visti in precedenza, più un veicolo è raro, più ne aumenta l’appetibilità presso i collezionisti, e quindi il suo prezzo è stabilito da chi lo possiede, non dal mercato; questo perché non esiste un mercato se siete il proprietario dell’unica Bugatti rimasta al Mondo, ma esistono dei collezionisti interessati e disposti a spendere cifre folli per averla. O disposti a compiere atti folli per sottrarvela.
Nel mondo del collezionismo, entrano in gioco anche altri fattori. Ad esempio, un’auto che è stata guidata da un personaggio famoso, assume un valore maggiore rispetto alle altre, valore direttamente collegato alla notorietà del personaggio. Oppure una moto prodotta in un periodo limitato e con un motore ma più utilizzato. Cose così.
Queste considerazioni valgono un pò per tutti gli oggetti da collezione, che siano francobolli o fucili ad avancarica.
C’è però la possibilità di commisurare l’acquisto di oggetti da collezionismo in base alle proprie finanze. E’ un discorso già affrontato in precedenza: se il vostro patrimonio è di 1 milione di euro, e vi piacerebbe comprarvi un’auto d’epoca che vale 250 mila euro, forse non fa per voi, perché significherebbe investire il 25% del patrimonio in un solo bene.
Ma magari è possibile acquistare una moto altrettanto rara che però vale “solo” 50 mila euro, cioè il 5% del patrimonio complessivo.
Se ampliamo il discorso ad altri oggetti da collezionismo, la scelta si allarga molto e ci sono collezioni, rare ed interessanti, adatte a tutte le tasche. E diversificabili, cioè ne potete comprare di diverse tipologie.
MI vengono in mente i francobolli, le armi d’epoca, i dischi, i bastoni da passeggio, e ci saranno mille altre cose che si possono prendere in considerazione. Attenzione, però: sto parlando di oggetti da collezione veri, cioè rari o unici, con un valore certificato e riconosciuto. Quindi è da escludere tutto il ciarpame che potete trovare nelle varie fiere e mercatini dell’antiquariato. Perché? Devono essere beni che proteggono il patrimonio, quindi vendibili e il cui valore, possibilmente, cresca nel tempo.
In ogni caso, sarà bene ponderare adeguatamente le scelte di investimento, con l’aiuto di un planner patrimoniale esperto ed indipendente, che non abbia nulla da vendervi.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Le alternative agli investimenti alternativi

Gli oggetti d’arte e di antiquariato sono una tra le tante possibili forme di investimento alternativo. Hanno il vantaggio di abbellire le case di chi li possiede, oltre a migliorare la qualità della vita e a coltivare il senso estetico del proprietario, cose che non guastano mai. Gli svantaggi spesso consistono nelle grandi dimensioni o il peso degli oggetti, che li rendono difficilmente trasportabili ed occultabili: vi ricordate cosa avevo detto a proposito dell’oro? In caso di necessità, l’oro è rapidamente e facilmente trasportabile ovunque. Ma un lingotto d’oro non trasmette nessun sentimento, a meno che non siate come Paperon de Paperoni che trascorre le giornate a nuotare tra le sue monete d’oro, rimirandole e compiacendosi. In sostanza, credo che vada assecondata anche la natura di ognuno di noi, coltivando le inclinazioni e le passioni. Quindi, se ci piacciono gli oggetti d’arte o d’antiquariato, bene, perché possono essere una buona forma di diversificazione degli investimenti. Ci sarebbero da definire alcune cose: arte e antiquariato sono termini generici, poiché ci sono molte declinazioni diverse per la stessa parola.

La sostanziale differenza sta nel tempo trascorso; più un oggetto è antico, più è facile che abbia un mercato di riferimento e un prezzo. Inoltre si può valutare l’evoluzione del suo valore nel tempo; quanto si è incrementato, se ha subito forti oscillazioni e diminuzioni di prezzo, qual è la richiesta nei diversi periodi storici…

Viceversa, un oggetto recente mette di fronte ad un’incognita: il prezzo che pago oggi, si manterrà nel tempo? Incrementerà? La produzione artistica è soggetta anche a mode e a quantitativi prodotti: ad esempio, le opere di un artista molto prolifico hanno un valore inferiore alle opere di un artista, dello stesso periodo e corrente, più “riservato” e restio a produrre in gran quantità. Però questa è una considerazione che si può fare solo ex post, dato che non è possibile sapere cosa accadrà.

E’ un po’ lo stesso discorso che può valere per l’acquisto di un titolo in borsa: nonostante i valori fondamentali ottimi, non siamo in grado di sapere come muterà il suo prezzo nel tempo. Quindi acquistare opere di un artista contemporaneo rappresenta un’incognita, che può regalare grandi soddisfazioni ma anche deludere. Per questo dicevo all’inizio che bisogna anche appagare il proprio senso estetico: se si acquista un’opera che piace, il suo valore estetico non avrà prezzo.

Basta essere consapevoli che l’arte moderna non sempre ripaga lo sforzo economico sostenuto per acquistarla: è una scommessa, sostenuta dal piacere di possedere qualcosa che appaga la vista e rasserena l’animo.

Discorso un pò diverso è quello degli oggetti di modernariato: alcuni sono diventati pezzi da collezione, e quindi assumono un valore riconosciuto e scambiabile, altri richiamano ricordi d’infanzia o di gioventù, ma non hanno nessun valore di mercato per i collezionisti. Occhio attento, quindi, a cosa si compra.

Per l’antiquariato, invece, esiste un mercato, locale o internazionale, a seconda della rarità e dell’appetibilità del pezzo. Anche nel mondo antiquario esistono le “sole” ovviamente, più che altro copie o falsi, a cui bisogna prestare la massima attenzione. I problemi legati  agli oggetti di antiquariato come beni di investimento sono principalmente due: le dimensioni e il prezzo. Pensiamo ad un comò del 1700, ad un quadro di due metri per tre, ad una statua  neoclassica in marmo di Carrara: sono grandi, pesanti, difficili da trasportare. Il prezzo, inoltre, di questi oggetti può essere molto elevato, decine o centinaia di migliaia di euro. Quindi in un ambito di pianificazione complessiva, è bene rivolgersi sempre ad un patrimonialista, che sia in grado di distribuire il patrimonio in maniera adeguata alle vostre reali esigenze di vita. Evitare di investire troppo in un unico bene è una regola base della corretta pianificazione e diversificazione.

In linea generale, sarebbe bene acquistare beni che si possano quantomeno riporre in un caveau di sicurezza: infatti un grosso problema degli oggetti d’arte e di antiquariato è il rischio di furti, da cui ci si può tutelare con assicurazioni, impianti di allarme, caveau bancari. Le precauzioni non sono mai troppe, in funzione anche del valore e della rarità dei beni posseduti. Per le assicurazioni, va considerato un aggiornamento costante dei valori assicurati e verificato se la compagnia risarcisce per intero il valore o in maniera proporzionale al danno complessivo subito. Per gli impianti di allarmi e altri sistemi di dissuasione, è necessario mantenere i sistemi funzionanti e tecnologicamente aggiornati.

Insomma, comunque vogliate proteggere i vostri oggetti preziosi, c’è un costo da sostenere, negli anni, che va valutato in detrazione rispetto al prezzo di mercato del bene, poiché il costo per la sua protezione ne riduce il valore reale nel momento in cui volessimo realizzare (vendere).

Nel mondo dell’arte e dell’antiquariato vige poi una regola: un oggetto è tanto più prezioso quanto è raro e ben conservato. La rarità può essere in funzione sia delle quantità prodotte, sia della sua reperibilità effettiva. Più un oggetto è antico e fragile, meno sopravvive al tempo, ai traslochi, agli imprevisti che ne minacciano l’integrità. Pensiamo ad antico vaso, oggetto delicato e fragile; è un miracolo se ci imbattiamo in un pezzo con 100 anni di età, se ha 200 anni pensiamo ad un miraggio e così via.

Più un oggetto è raro, non  solo più è alto il suo valore, anzi in alcuni casi il valore viene determinato a discrezione assoluta del venditore, ma aumenta in maniera esponenziale il suo interesse collezionistico. Questa è la condizione ideale per un investimento, in quanto sarà abbastanza semplice rivenderlo e il ricavo ottenuto sarà elevato.

Ma poche sono le persone che hanno disponibilità economiche tali da potersi permettere oggetti così rari da essere quasi “mitici” e oggetto del desiderio dei collezionisti di tutto il mondo. O meglio, poche persone hanno un patrimonio così elevato che permetta loro di ricomprendere in una attenta diversificazione e pianificazione oggetti di valore così elevato. Se un dipinto antico e raro vale 10 milioni di euro, quanto dovrà essere grande la ricchezza del suo proprietario perché questo oggetto sia equamente distribuito in un complesso di investimenti? Solo chi non deve vendervi il dipinto e conosce la situazione patrimoniale presente e futura del cliente, come un planner patrimoniale indipendente, sarà in grado di valutare l’adeguatezza dell’investimento rapportata al complesso del patrimonio, alle necessità della famiglia, alla realizzazione delle aspirazioni dei figli o dei nipoti.

 

 

Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

Le alternative agli investimenti alternativi

Le pietre preziose fanno parte dei gioielli, ma possono anche avere una vita autonoma, nel senso che possono essere commercializzati come oggetti a sè, senza per forza essere  incastonati in un gioiello. Sono un po’ l’equivalente del lingotto d’oro, ma solo un po’.

Per pietre preziose si intendono diamanti, rubini, smeraldi, zaffiri e altri, meno conosciuti. I diamanti hanno una storia a parte, poiché sono gli unici ad avere un listino ufficiale.

I diamanti oltre i 10 carati sono fuori listino, nel senso che il prezzo è stabilito di volta in volta, tra acquirente e venditore. Che significa anche avere completo arbitrio sul prezzo, che diventa un accordo tra le due parti. Questo discorso vale in generale quando si possiede un bene unico o molto raro e che contemporaneamente sia molto ambito: infatti si si ha un bene raro ma che non vuole nessuno…non varrà nulla. Che si tratti di un immobile, di un gioiello, di un diamante o di una macchina d’epoca, più è raro e più ha compratori, più il suo valore sarà inestimabile.

Il problema, per tornare ai diamanti, è che una singola pietra da oltre 10 carati vale oltre un milione di euro, quindi, per suddividere equamente le “uova del paniere”, sarà necessario un patrimonio molto elevato. Altrimenti si rischia di investire troppo in un solo “uovo”, che sappiamo potrebbe risultare molto rischioso. Se invece ci dobbiamo accontentare di diamanti di peso inferiore ai 10 carati, esiste un listino ufficiale, il Rapaport, che classifica i diamanti in base a peso, colore, purezza e taglio. Negli ultimi anni sono anche sorti rilevanti scrupoli circa la provenienza delle pietre preziose, poichè spesso viene sfruttata manodopera infantile per l’estrazione o per le condizioni disumane in cui versano i minatori. La maggior parte dei diamanti proviene da zone fortemente sotto sviluppate e quindi la certificazione sull’eticità delle miniere è divenuta indispensabile.

Nonostante la quotazione ufficiale, va detto che il mercato mondiale dei diamanti è in mano a sole 6 aziende, di cui il 40% alla De Beers, e che ha subito incrementi costanti di prezzo dal 1993! Quindi mi viene da pensare che sia un mercato artificiale e che la quotazione è sostenuta dai produttori, più che dall’incontro tra domanda e offerta.

Questo rende abbastanza complicato capire quale sia il vero valore dei diamanti.

Discorso simile vale per le altre pietre preziose, rubini, smeraldi zaffiri per citare i più famosi, con l’aggravante che non esiste un listino ufficiale e che il colore è fondamentale per la valutazione, il che complica parecchio le cose quando si deve stimare la pietra. Inoltre le pietre di colore subiscono gli andamenti legati alle mode, per cui in alcuni periodi valgono di più e in altri meno. Il diamante, se non altro, ha maggiore costanza.

Altra differenza consiste nella perizia certificata e “imbustata” del diamante, cioè un ente riconosciuto, come la GIA, esegue la perizia e rilascia un certificato, e una parte del certificato è incluso in una bustina trasparente insieme al diamante, in modo da evitare equivoci. Per le altre pietre preziose non esiste questa forma di certificazione.

Quindi, se avete un patrimonio di 10 milioni di euro, forse un diamante da 10 carati fa al caso vostro. In tutti gli altri casi, sarà bene ponderare adeguatamente le scelte di investimento, con l’aiuto di un planner patrimoniale esperto ed indipendente, che non abbia nulla da vendervi.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

 

 

Le alternative agli investimenti alternativi: i gioielli

Qualcuno potrebbe sostenere che gioielli e oro sono in fondo la stessa cosa e quindi che in questo spazio l’argomento è già stato trattato, ma non è così. Il valore di un gioiello infatti sta nel materiale con cui è realizzato, che sia oro o argento o altro metallo, ma anche per esempio nelle pietre preziose incastonate in esso e nella stessa attività di realizzazione che comporta. Pertanto investire in oro o in gioielli presenta rischi e opportunità diversi.

A incidere sul valore di un gioiello sono dunque diversi fattori. Per quanto riguarda la lavorazione si deve distinguere tra lavorazioni a mano, semiindustriali e industriali, alle quali corrisponde spesso un diverso valore di mercato.

L’artigianalità in particolare porta con sé spesso il valore di esclusività, specie se il pezzo è unico. Il prezzo pagato all’acquisto del gioiello incorpora anche le ore necessarie alla sua costruzione, che incidono sensibilmente sul costo finale complessivo, talvolta più del valore delle materie prime. E’ chiaro che se questo costo non viene riconosciuto nel momento della rivendita, perdiamo quella parte di denaro relativa alla manodopera. Senza contare l’IVA, che si paga all’acquisto e non viene rimborsata alla vendita. L’oro puro, quello in lingotti o monete, invece è esente IVA.

Ricordo anche che i gioielli d’oro contengono solo il 75% di questo prezioso metallo, mentre per il 25% sono fatti di altri metalli, come argento e rame. Quindi pur contando di rivendere i gioielli a peso d’oro, non si realizza mai in base al peso totale dell’oggetto acquistato.

Per quanto riguarda le pietre preziose, è consigliabile chiedere la perizia di un gemmologo, per verificarne le caratteristiche e di conseguenza il valore. E anche la perizia comporta un esborso.

Per valutare quanto e se i gioielli possono essere un bene nel quale investire per salvare i nostri patrimoni si devono dunque considerare tutte queste variabili al fine di fissare il vero valore di rivendita, in caso di bisogno.

Diverso è il caso di gioielli pezzi unici, magari firmati da artigiani famosi o realizzati per personaggi o ricorrenze importanti, o gioielli antichi, che assumono un valore anche storico e collezionistico. In questo scenario, il gioiello può avere un costo perfino superiore a quanto pagato in origine, in relazione alla sua rarità e al valore estetico che il mercato gli riconosce.

Si presenta però un po’ lo stesso problema degli immobili: un gioiello unico, raro, di pregio costerà molto e quindi poche persone potranno utilizzarlo come efficace protezione e diversificazione (fattori che, ricordo, devono andare a braccetto). Se l’oggetto vale la metà del patrimonio complessivo, ad esempio, sbilancia troppo  e rischia di causare più danni che benefici.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Le alternative agli investimenti alternativi

Diversificare ‘cum grano salis’, questo era l’argomento dell’ultimo contributo in tema di investimenti a tutela del patrimonio, ovvero quanto è corretto diversificare i propri risparmi e come.

Qui vorrei parlarvi di un investimento alternativo molto caro agli italiani, l’immobile da reddito, altra cosa dall’immobile in cui si abita.
Per la verità, noi siamo un popolo che crede indispensabile possedere la casa di residenza e vi investiamo spesso una parte consistente del nostro patrimonio. Al contrario, in molti altri Paesi, l’immobile è visto solo come un investimento, pertanto la dimora dove si vive spesso non è di proprietà.

Escludendo dunque la casa di residenza dal calcolo del patrimonio complessivo, quanti immobili sarà saggio possedere per diversificare proficuamente I nostri investimenti?
Facciamo due conti.
Un immobile del valore di 150.000 euro rappresenta il 15% di un patrimonio complessivo di 1 milione di euro, quello che gli anglosassoni chiamano High Net Worth Individuals, somma già rispettabile e corrispondente ad una famiglia benestante. Stabilire se il 15% investito in un solo immobile sia corretto è complesso e solo un bravo life planner, che conosca molto bene la situazione del suo cliente, puo’ valutarlo. Nel caso di patrimoni molto elevati, cioè sopra ai 5 milioni di euro, i Very High Net Worth Individuals, o addirittura sopra ai 30 milioni di euro, i cosiddetti Ultra High Net Worth Individuals, potrebbe essere adeguato investire in più immobili; ad esempio, in tre immobili di 300.000 euro ciascuno, per un totale di 900.000 euro; se il patrimonio complessivo è di 10 milioni, corrisponde al 9%. E’ impossibile però fornire a priori o in generale ricette e dosi precise e metto in guardia i lettori da chi propone soluzioni “pret a porter”, che vanno bene per tutti.

Inoltre, l’immobile, per molti anni investimento per eccellenza degli italiani, sta dando sempre piu’ preoccupazioni, quali:

  • l’inquilino non paga l’affitto
  • l’immobile è sfitto da parecchio tempo
  • i costi di ristrutturazione interna: ogni inquilino lascia traccia del proprio passaggio…
  • i costi di manutenzione straordinaria sono aumentati
  • le tasse sono aumentate
  • il prezzo di vendita è diminuito
  • i tempi per la vendita si sono allungati
  • il numero di acquirenti è diminuito e il numero di immobili in vendita è aumentato

L’immobile è dunque ancora un investimento sicuro o lo è mai stato?
E’ una questione di proporzioni: certamente, se avete capitali elevati, qualche milione di euro, allora potete pensare di investirne una parte (quanta parte sarebbe da vedere in base ad altre considerazioni) in immobili da reddito. Al di sotto di certe cifre, l’immobile può essere una trappola peggiore delle sabbie mobili: il vostro capitale è immobilizzato tutto nello stesso investimento, quindi o lo realizzate per intero o niente, non potete venderne solo una parte. A meno che non possediate dei monolocali. C’è mercato pero’ per i monolocali?

Gli acquirenti sono diminuiti e gli immobili in offerta sono aumentati, ribaltando le proporzioni del passato: ora ci sono in media 5 immobili per ogni acquirente, qualche anno fa c’erano 5 acquirenti per ogni immobile in vendita. Quindi per chi vuole acquistare aumenta la possibilità di guardarsi intorno e di scegliere, chi vende deve forse cedere sul prezzo ed essere più accondiscendente sulle richieste.
E poi se l’inquilino non paga o vi causa dei danni, cosa potete fare? Chiedere lo sfratto o fargli causa? Con i tempi della nostra giustizia, è dura.

Altro settore può essere quello degli immobili per le vacanze.
Comportano comunque costi e se li volete vendere, lo scenario di prima ritorna. Ci sono, è vero, alcune località più fortunate di altre, che non conoscono ribassi ne’ di prezzi ne di richieste. Pertanto, prima di acquistare mattoni ad uso vacanza, valutate realisticamente i seguenti fattori.

  • la località: considerate le prospettive future di espansione o contrazione del mercato. Se siete in un posto esclusivo e alla moda, sarebbe bene capire da quanto tempo è di moda e per quanto tempo lo sarà. Se invece è una località che deve ancora essere scoperta, beh, rischiate che rimanga sconosciuta per sempre!
  • Quanto potrete sfruttare il bene: per meno di 30 giorni in tutto l’anno, forse non ne vale la pena;
  • i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Questi dipendono dalle condizioni generali dello stabile e dal tipo di condomini che lo abitano. Se la maggioranza decide di fare un intervento di manutenzione, non vi potete opporre, anche se non lo ritenete necessario o non potete permettervelo.

In sostanza, un investimento alternativo sicuro in immobili è solo un bene di grande pregio, in zone molto appetibili. Parliamo di soluzioni esclusive, con caratteristiche uniche o rare: un castello, una villa sul mare, un palazzo nobiliare in centro città… Questo comporta anche un prezzo molto elevato di acquisto e costi ingenti in quanto a tasse, manutenzione, gestione. E quindi ritorna nuovamente la domanda: quanto pesa sul patrimonio complessivo il valore dell’immobile, se ha queste caratteristiche esclusive e quindi un prezzo molto elevato?
Insomma, diversificare in immobili, oggi piu’ che mai, e’ difficile e per non sentirsi in un dedalo, meglio consultare un life planner di fiducia.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Le alternative agli investimenti alternativi: gli immobili da reddito

Diversificare ‘cum grano salis’, questo era l’argomento dell’ultimo contributo in tema di investimenti a tutela del patrimonio, ovvero quanto è corretto diversificare i propri risparmi e come.

Qui vorrei parlarvi di un investimento alternativo molto caro agli italiani, l’immobile da reddito, altra cosa dall’immobile in cui si abita.

Per la verità, noi siamo un popolo che crede indispensabile possedere la casa di residenza e vi investiamo spesso una parte consistente del nostro patrimonio. Al contrario, in molti altri Paesi, l’immobile è visto solo come un investimento, pertanto la dimora dove si vive spesso non è di proprietà.

Escludendo dunque la casa di residenza dal calcolo del patrimonio complessivo, quanti immobili sarà saggio possedere per diversificare proficuamente I nostri investimenti? Facciamo due conti.

Un immobile del valore di 150mila euro rappresenta il 15% di un patrimonio complessivo di 1 milione di euro, quello che gli anglosassoni chiamano High Net Worth Individuals, somma già rispettabile e corrispondente ad una famiglia benestante. Stabilire se il 15% investito in un solo immobile sia corretto è complesso e solo un bravo life planner, che conosca molto bene la situazione del suo cliente, può valutarlo.

Nel caso di patrimoni molto elevati, cioè sopra ai 5 milioni di euro, i Very High Net Worth Individuals, o addirittura sopra ai 30 milioni di euro, i cosiddetti Ultra High Net Worth Individuals, potrebbe essere adeguato investire in più immobili; ad esempio, in tre immobili di 300mila euro ciascuno, per un totale di 900mila euro; se il patrimonio complessivo è di 10 milioni, corrisponde al 9%.

E’ impossibile però fornire a priori o in generale ricette e dosi precise e metto in guardia i lettori da chi propone soluzioni “pret a porter”, che vanno bene per tutti.

Inoltre, l’immobile, per molti anni investimento per eccellenza degli italiani, sta dando sempre più preoccupazioni, quali:

1)  l’inquilino non paga l’affitto
2)  l’immobile è sfitto da parecchio tempo
3)  i costi di ristrutturazione interna: ogni inquilino lascia traccia del proprio passaggio…
4)  i costi di manutenzione straordinaria sono aumentati
5)  le tasse sono aumentate
6)  il prezzo di vendita è diminuito
7)  i tempi per la vendita si sono allungati
8)  il numero di acquirenti è diminuito e il numero di immobili in vendita è aumentato

Vedremo la prossima settimana se l’immobile è ancora un investimento sicuro o se lo è mai stato.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Tecniche di hedging per le aziende

Le aziende che utilizzano materie prime, di qualunque genere, possono tutelarsi dai rischi di variazione dei prezzi delle medesime attraverso l’utilizzo di strumenti finanziari derivati. I derivati sono nati proprio per questo preciso scopo, fissare un prezzo, una quantità e una data di consegna del bene,  tutelando venditore e acquirente.

Il bene oggetto del contratto si definisce “sottostante”. Per evitare di impegnare troppi capitali, il derivato serve anche ad impegnare le controparti con un esborso ridotto di denaro, rispetto al valore della quantità complessiva del bene in oggetto.

Coprirsi dal rischio aiuta le imprese a raccogliere più facilmente capitale sul mercato. Attraverso le tecniche di hedging le imprese sono in grado di ridurre i costi di raccolta di capitale esterno, con la conseguenza di essere avvantaggiate rispetto ad altri competitor.

Le più recenti ricerche condotte negli Stati Uniti, in particolare rispetto alla copertura del rischio sui tassi di cambio e sul prezzo delle commodities, avvalorano questa ipotesi: le imprese che decidono di adottare tecniche di hedging su ricavi e costi operativi sono significativamente più favorite nel raccogliere capitale sul mercato, sia sotto forma di debito, che di equity.

L’abbattimento del rischio, ottenuto riducendo la volatilità dei flussi di cassa, consente innanzitutto di ridurre il costo del capitale. Inoltre la decisione di ricorrere a tecniche di hedging rappresenta un “buon segnale” rispetto agli

investitori, che apprezzano la maturità manageriale dell’impresa ritenendola più capace di affrontare eventuali crisi di liquidità e di gestire in modo più professionale i propri investimenti.

In questo momento di crisi industriale e di incertezza creditizia, coprirsi dal rischio – attraverso contratti derivati – può quindi costituire un vantaggio competitivo non indifferente.

Gli studi professionali che sono in grado di aiutare l’azienda ad acquisire questo vantaggio, sono senz’altro pochi e quindi ricercati da quei potenziali clienti che abbiano la lungimiranza di comprenderne i benefici.

Inoltre, lo studio professionale che propone un servizio di copertura dal rischio è valutato positivamente anche dai clienti meno attenti a queste problematiche, in quanto si evidenzia loro un problema e si fornisce la soluzione contemporaneamente. Può essere anche un’occasione per ottenere contatti da nuovi clienti.

Da ricordare che la maggior parte delle materie prime è quotata in Borsa e quindi le aziende che le utilizzano possono coprirsi dal rischio. A titolo di esempio posso citare oro, argento, palladio, nichel, rame, grano, caffè, cotone, carne di maiale, succo d’arancia, petrolio…

Inoltre possono essere coperte le variazioni dei tassi di cambio tra euro ed altre valute. Ricordo che le materie prime sono quotate in dollari Usa ed è quindi necessario coprirsi anche dal rischio cambio euro/dollaro.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis