Al via Mipel, fiera della pelletteria Made in Italy

La pelletteria Made in Italy sta conoscendo un periodo di forte ripresa, a cominciare dalle borse, ma anche grazie a tutti gli altri accessori, che hanno fatto registrare dati più che positivi soprattutto nelle esportazioni.

Ciò significa che il bello e ben fatto italiani sono ancora in grado di attirare i mercati e di conquistarne anche di nuovi.

In questo clima confortante si sta per aprire, dall’11 al 14 febbraio, Mipel – The bag show, presso gli spazi di FieraMilano-Rho.
Per l’occasione, parteciperanno all’esposizione più di trecento brand, non solo appartenenti alle griffe di lusso ma anche di stilisti emergenti, tutti in grado di esprimere creatività, innovazione e sperimentazione, senza però mai dimenticare la tradizione, che per il Made in Italy rappresenta un vero e proprio must.

A chi si deve il successo dell’export? In pole position ci sono i giapponesi, ma anche i coreani, gli americani e i russi.
A confermare questi risultati c’è anche Riccardo Braccialini, presidente di Mipel e Aimpes, il quale è perfettamente consapevole del fatto che la pelletteria sia un vero e proprio tesoro della nostra tradizione, una vera e propria eccellenza artigianale che ne determina il successo.

In questa edizione del Mipel, che è la numero 113, i sensi sono i veri protagonisti, con zone dedicate al tatto, ma anche alla vista, all’olfatto e all’udito, con proposte di musica, fragranze, esperienze tattili ed effetti caleidoscopici.

In collaborazione con la Camera italiana buyer moda e la Camera nazionale della moda, verranno proposte le iniziative The Glamourous, con gli stilisti italiani emergenti come protagonisti, e Scenario Internazionale, focus sui nuovi brand e sulle proposte di ricerca scelti da buyer internazionali.

Vera MORETTI

Borse Made in Italy, irresistibili anche per i brand stranieri

Ormai è un fatto assodato: le borse Made in Italy significano eccellenza in ogni parte del mondo, e di qualunque modello si tratti. E le donne lo sanno bene, perché ne fanno un accessorio fondamentale da utilizzare ogni giorno e da abbinare al proprio outfit quotidiano.

Il motivo di questo successo planetario sono sicuramente la manifattura e la qualità dei materiali, che garantiscono una durata lunga, in grado di adattarsi a qualunque situazione. Trattandosi di pellami pregiati e resistenti, infatti, lavorati artigianalmente, è scontato che il risultato sia ottimo. Quando poi all’artigianalità si aggiungono cura dei particolari ed eleganza nelle finiture, ciò che ne esce è qualcosa di unico che non passa mai di moda.

Ovviamente, ci sono alcune borse che, per la loro particolarità, sono diventate vere e proprie icone, come la strafamosa Birkin di Hermès, tanto da rappresentare un investimento. Per averla, c’è chi è disposto a spendere 10 mila euro, ma il suo valore aumenta costantemente, tanto da essere stata battuta all’asta per ben 200 mila euro.

Per quanto riguarda il nostro Made in Italy, ha raggiunto un valore talmente elevato che anche le aziende straniere scelgono il Belpaese per i loro prodotti di punta. Ad oggi, infatti, anche i brand francesi, inglesi e statunitensi producono in Italia.

Accanto a Gucci, Prada o Valentino, per citarne solo alcuni, gli esempi più celebri sono Burberry, quintessenza dell’inglesità più profonda, ma anchela francese Céline e il tedesco Philipp Plein, che produce in Italia l’80% delle sue collezioni. Ultima, ma non per importanza, Stella McCartney, Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico ma da sempre convinta sostenitrice dell’Italia e dei suoi artigiani, in particolare per le sue collezioni di scarpe e borse con lavorazione ecologica.

Come darle torto…

Vera MORETTI

Pitre, il franchising delle borse

L’accessorio più amato dalle donne è senza dubbio la borsa.
Per questo, il franchising Pitre sicuramente trova il consenso maggiore tra le clienti del gentil sesso, ma anche dalle sue potenziali franchisee.

Si tratta di un brand di negozi multimarca che propone, oltre alle borse, accessori di pelletteria e valigeria, sia per uomo sia per donna.

Entrare a far parte del brand Pitre è piuttosto impegnativo, anche perché si tratta di vendere prodotti di pregio, che vanno presentati in un ambiente raffinato e curato nei minimi particolari.

Il fee d’ingresso da pagare, per entrare nel proprio punto vendita, è di 50.000 euro, da versare alla firma del contratto franchising. A questo si aggiunge un deposito cauzionale di 20.000 euro, da ottenere tramite fideiussione bancaria.
Con questa procedura, si beneficia di un contratto di 5 anni e di un negozio che vanta l’esclusività territoriale della zona.

Un vantaggio che dà la possibilità ai franchisee di gestire la propria attività in maniera personalizzata è il sistema informatico, che permette di seguire il negozio anche da lontano.

Per ricevere ulteriori informazioni, è possibile consultare il sito Pitre.

Rischio di declino per le imprese

E’ un dato di fatto, meno del 10 per cento delle aziende italiane riesce a superare la seconda generazione. Il tessuto imprenditoriale del nostro Paese è composto, soprattutto, da imprese familiari, dove il capo famiglia è anche a capo dell’impresa. Per ragioni anagrafiche, ad un certo punto il capo dell’impresa dovrà cedere la propria impresa o a terze persone o a qualche membro della sua famiglia. Se la cede a terzi, incassa il valore stabilito e la storia finisce lì, se la cede a un familiare… la storia spesso finisce lo stesso. Nel senso che, spesso, i familiari dell’imprenditore non sono capaci di dare continuità a quanto costruito dal fondatore dell’impresa e l’azienda chiude. Perché? Il fondatore non riesce a trasferire le sue capacità.

Come si fa? Prima di tutto, bisognerebbe capire se i suoi eredi le hanno, queste capacità. O se sono più portati per altre attività. È inutile e dannoso portare a tutti i costi in azienda una persona che invece vuole insegnare a scuola (ad esempio).

Poi sarebbe utile capire come trasferire al meglio queste capacità, possibilmente potenziandole. E nello stesso tempo come non far sentire del tutto inutile il “vecchio” fondatore.

È un’attività di coaching, se vogliamo usare un termine anglosassone di moda. In un momento così difficile per l’economia, non possiamo permetterci di perdere anche le aziende che funzionano, di perdere posti di lavoro.

Poi bisogna curare anche gli aspetti successori dal punto di vista legale e finanziario, in modo che nessun erede sia trascurato o che siano lesi i suoi diritti. Per fare tutto ciò, è necessario che un professionista abbia il quadro complessivo della situazione sotto controllo. Un notaio? No, perché si occupa di formalizzare gli aspetti legali di una successione, ma è il cliente a dovergli dire come vuol redigere un testamento, ad esempio, e di sicuro il notaio non si occupa del futuro dell’azienda.

Un avvocato si occupa della questione legale, ma non di quella aziendale. Il commercialista si occupa di aspetti fiscali e tributari dell’azienda, non certo di passaggi generazionali e successioni. Tra tutte le figure, il commercialista è colui che conosce meglio l’azienda e ha una grande responsabilità nel fornire risposte adeguate quando l’imprenditore deve mollare il timone a qualcun’altro.

Ma se il commercialista non è il professionista più adatto, sarebbe bene che indirizzasse il proprio cliente verso chi può effettivamente dare un aiuto. E’ ora insomma che i commercialisti utilizzino i consulenti patrimoniali per fornire quei servizi che loro non possono dare, nell’interesse esclusivo del cliente. E che la smettano di dire al cliente “non si può fare”, solo perché loro non sono in grado di farlo. Bisogna che ogni professionista abbia il coraggio di ammettere i propri limiti e utilizzi degli specialisti quando è il caso. Auspico un futuro di collaborazioni proficue.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Il legno pregiato come investimento alternativo

Salvaguardare il patrimonio in tempi di crisi non è un’impresa facile. In particolare vorrei attirare l’attenzione su quello che potrebbe accadere se le valute dovessero perdere di valore, un po’ quello che è accaduto in Germania durante la Repubblica di Weimar, quando la carta moneta valeva così poco che si pesava anziché contare le banconote. 

Nel 1923 un litro di latte è arrivato a costare 26 miliardi di marchi!

La ricetta che gli Stati Uniti stanno proponendo nel 2013 sembra simile: per rimanere competitivi, aumentiamo la quantità di moneta in circolazione, causando svalutazione e inflazione, così riduciamo anche gli indebitamenti.

Se beni e servizi non crescono in egual misura, ecco che la moneta perde il suo potere d’acquisto, cioè il valore.

L’indebitamento degli Usa verso l’estero è così forte che la manovra inflattiva indurrà anche gli altri Paesi ad usare la stessa medicina. Se questo accadrà, come si può proteggere il valore reale del patrimonio? Acquisendo beni reali, che incrementino il loro valore e lo mantengano, indipendentemente da quanto accade all’economia mondiale.

Un ben reale di cui ho già parlato, e di cui parlano in molti, è l’oro. Un altro bene reale, di cui non parla mai nessuno, è il legno pregiato, cioè il legno usato per arredamento o costruzioni. Tutto il legno usato nel mondo ormai deve provenire da foreste coltivate, non è più possibile tagliare le foreste naturali. Quindi si andrà verso una risorsa scarsa. Per alcuni tipi di legnami, ad esempio il teak, c’è una forte richiesta da parte dei mercati asiatici, che lo utilizzano per la costruzione di case e ponti. Siccome i mercati asiatici sono in forte espansione, questo porta alla considerazione che “domanda in aumento + risorsa scarsa = aumento dei prezzi”.

Certo, bisogna coltivare il legno in zone del mondo non ancora sviluppate e con condizioni geo climatiche ideali, il legno hai tempi di crescita abbastanza lunghi e bisogna aspettare parecchio se si vogliono ottenere le dimensioni più redditizie del tronco. Ma ha anche il vantaggio che più si aspetta, più cresce e più valore si ottiene. E se al momento del taglio ci sono problemi sociali o politici, si può aspettare, intanto continua a crescere e non va a male. E’ un investimento sostenibile, ecologico, reale.

Questo tipo di investimento alternativo è da tempo utilizzato da moltissimi investitori istituzionali all’estero (fondi comuni, fondazioni, istituti religiosi, banche, family office, in Germania, Belgio, Svizzera, USA). In Italia è pressoché sconosciuto.

Sarà cura del vostro consulente patrimoniale stabilire quanta parte del vostro patrimonio è corretto investire in questo modo e soprattutto se rispecchia i vostri obiettivi di vita e il piano finanziario che avete concordato. Ma vale la pena rifletterci.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

L’Ue di Draghi: come difendere i capitali privati

Nonostante la Bce non possa finanziare gli stati membri dell’Eurozona, pare che Draghi intenda stampare nuova moneta per salvare l’insalvabile, per andare incontro alle banche spagnole e forse anche italiane. Sostiene che è suo compito far funzionare la politica monetaria, anche in questo modo. In pratica, però, si creerebbe ricchezza dal nulla, semplicemente stampando carta/denaro.

Il sistema bancario compra quindi titoli di Stato, che, per ricapitalizzarsi, rivende alla Bce in cambio di denaro fresco; la Bce così si troverebbe in portafoglio titoli di Stato a rischio default, fallimento che a quel punto sarebbe a carico dei contribuenti dell’intera Unione Europea e non più dei singoli Paesi che hanno generato il debito. Chi ha più crediti, ha più da perderci, chi ha debiti ha solo da guadagnarci. Tra noi, gli spagnoli e i tedeschi, questi ultimi sono certamente i maggiori creditori.

E’ una strategia semplicistica, ma contorta: pare, però, sia questa la strada indicata da Draghi.

La Bundesbank è ovviamente contraria a questa politica, ritenendola non coerente con le prerogative della Banca centrale europea, mentre la Merkel è incredibilmente d’accordo sia con Draghi  sia con la Bundesbank!

Sarà il preludio degli Stati Uniti d’Europa, a cui Angela si sta candidando alla Presidenza? Quanti e quali Stati accetteranno di rinunciare alla loro sovranità fiscale in favore di quella europea? Quali Paesi vorranno vedersi sottratte le decisioni di spesa del gettito fiscale? Ci immaginiamo un’Italia così? Forse sarebbe auspicabile per risanare una volta tanto la situazione, ma dubito che i nostri politici rinunceranno al loro strapotere.

Sarà più probabile che si abbandoni l’Europa, reclamando a gran voce il diritto di spendere (o sprecare) come si ritiene più opportuno le entrate fiscali.

Ecco quindi sorgere un nuovo motivo di frattura nella Ue. Il problema è che chi ha debiti probabilmente non avrà molta voglia di accettare la severità dei provvedimenti Merkel, chi ha crediti invece è molto bendisposto verso questa rigidità.

Tutto ciò ha ovviamente ha a che fare con le decisioni di investimento dei risparmi e del capitale familiare, poiché un’uscita dall’Area Euro potrebbe causare riduzioni del potere di acquisto della nostra nuova moneta (un ritorno alla lira?) e dei beni reali connessi (in primis gli immobili). Se gli italiani, poco avvezzi ad un approccio comportamentale alla gestione del denaro, vorranno almeno mantenere intatto il valore del proprio patrimonio, sarà sempre più necessario il supporto di un financial planner indipendente.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Seguire la rotta per non perdersi

Perché concentriamo sempre la nostra attenzione sul rendimento dei nostri investimenti finanziari e non sul perché stiamo investendo denaro, invece, magari, di spenderlo tutto? Perché, di fondo, certe scelte avvengono senza una piena consapevolezza degli scopi, e perfino di se stessi. Questo aspetto, non l’andamento delle Borse, è il vero rischio degli investimenti finanziari.

Una breve storiella forse aiuterà a comprendere meglio la questione: Nestore, il risparmiatore, non si fida dei mercati azionari e si ripromette che mai e poi mai investirà in azioni. Il suo amico Ulrico, invece, che vuole comprarsi una barca a vela, ha iniziato ad investire in azioni, con notevole profitto. Dopo alcuni mesi, le azioni continuano a salire, Ulrico cerca di convincere il suo amico Nestore che sono un buon affare, ma Nestore non cede. Dopo altri mesi, e dopo che Ulrico ha realizzato il suo sogno con quanto guadagnato con le azioni, Nestore decide di investire. Lo dice ad Ulrico, che gli risponde: “Ah, io stavo proprio pensando di vendere parte delle mie azioni, perché ho già avuto tanto”. Nestore compra azioni e il mercato sale ancora un po’, ma poi inizia a scendere, fino a perdere il 30% del prezzo che ha pagato e Nestore, spaventatissimo, decide di vendere. Parlando con Ulrico, scopre che lui ora invece sta pensando di ricomprare un po’di azioni.

Quanto ci sentiamo Nestore e quanto Ulrico? Ovvero, quali sono i nostri obiettivi nelle scelte finanziarie?

Ogni investimento ha connesso uno o più rischi specifici, ed è quindi necessario misurare il rischio che siamo disposti a sopportare rispetto alle nostre finalità.

Se l’obiettivo di Nestore è, per esempio, raddoppiare il suo capitale di 200mila euro in 5 anni, perché  vuol comprare una casa al figlio, dovrà cercare un rendimento del 20% annuo medio, con conseguente rischio elevato. Se l’obiettivo di Ulrico è di comprarsi una barca a vela del costo di 100mila euro tra 5 anni, e ha un capitale di 500mila euro, sarà sufficiente un rendimento del 4%. Inoltre, i due obiettivi potrebbero avere priorità diverse.

La casa per il figlio potrebbe essere un obiettivo primario, la barca a vela un obiettivo secondario. Un obiettivo secondario non raggiunto non mette in crisi la vita, un obiettivo primario non conseguito, può creare seri problemi esistenziali. Ma poi perché investire in azioni e non in obbligazioni, titoli di stato, etf, fondi, derivati e così via? I mercati ci ricordano insomma che l’uso del denaro non è ‘inodore e incolore’, ma è sempre connesso ai valori e al senso della nostra vita. Il denaro può essere considerato un mezzo o un fine. Con tutte le conseguenze relative da mettere in conto. E alla fine comunque ne va della nostra esistenza.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

VUOI INVESTIRE NELLA PICCOLA PELLETTERIA? PUOI APRIRE UN FRANCHISING CARPISA!

Cari lettori oggi Infoiva vi presenta un’opportunità di impiego che offre il mondo del franchising in Italia, nel campo della valigeria, piccola pelletteria ed accessori.

Carpisa, marchio di proprietà della Kuvera s.p.a, noto per il logo della piccola tartaruga ricerca franchisee in tutto il territorio nazionale. Tre le caratteristiche fondamentali per diventare un affiliato:  uno store di almeno 100 mq per la vendita + 20/30 mq adibiti a magazzino, personale che va dalle 2 alle 6 persone, bacino d’utenza di 40.000 abitanti.

Temete di non essere in grado, non avete esperienza?  Tranquilli il  franchisor non richiede alcuna esperienza. Il franchisee sarà seguito in tutto e per tutti con: training iniziale, supporto in fase di apertura e gestione del punto vendita, pubblicità a livello locale, comunicazione a livello nazionale, fornitura attrezzature/arredamento, formazione e aggiornamento per il personale di vendita.

Quanto capitale occorre? L’investimento iniziale ammonta a 100.000 euro, nessun diritto d’ingresso o canone periodico. Il ritorno economico è commisurato all’ubicazione del negozio e all’afflusso di clientela previsto.

Per maggiori informazioni  Carpisa.it

ACCESSORI E BIJOUX SONO LA TUA PASSIONE? CHE ASPETTI APRI UN FRANCHISING UNYCA!

 

Cari lettori,  oggi Infoiva vi presenta un’opportunità di impiego che offre il mondo del franchising in Italia, nel campo degli accessori moda.

UNYCA store, azienda di bijoux, accessori per capelli, occhiali da sole, orologi, borse, foulard, cinture, cappelli e tutto quello più le donne amano comprare, sta ricercando franchisee per aperture in aree metropolitane e provincie.

Siete inesperti nel  settore? Tranquilli,  ai Partner Affiliati viene garantito un periodo di  formazione e assistenza al visual merchandising.

Cosa viene richiesto in termini di investimento? E’ fondamentale  un locale di almeno 40mq. ubicato in un centro storico, in un centro commerciale o in vie ad alto traffico pedonale e con un bacino di utenza di almeno 30.000 abitanti. Le prospettive di guadagno sono commisurate all’ ubicazione dell’attività e all’afflusso di clientela stimato.

Per maggiori informazioni UNYCA.it

Il sogno in un bauletto: Kappa Moto, le immagini

Kappa Moto, marchio italiano di accessori per scooteristi e mototuristi, è una eccellenza del made in Italy dietro la quale c’è l’esperienza della famiglia Visenzi. L’azienda di Flero, Brescia, da quasi 30 anni non ha smesso di innovare, come conferma Hendrika Visenzi, direttore commerciale di Kappa Moto