Cifre da record per il Made in Italy, grazie ad USA e Brics

L’export del Made in Italy sta registrando cifre da record e, nonostante un andamento negativo nel mese di aprile, il 2017 si sta rivelando molto più che soddisfacente, con una crescita del 7,3% e un bilancio che, da gennaio a settembre, ha raggiunto la cifra record di 331 miliardi.
Nel mese di settembre le vendite sono aumentate del 5,7%, pari a 38,05 miliardi di euro, superiori di ben 2 miliardi rispetto allo stesso periodo del 2016.
Un miliardo in più arriva dall’area Ue, registrando +4%, mentre per quelli extra Ue il progresso è superiore dell’8,1%.

Le performance europee sono cresciute grazie a Paesi come Spagna, Polonia e Belgio, con Francia e Germania un po’ indietro rispetto alle abitudini solite.

Tra i macrosettori, in crescita i beni di consumo (5,8%), strumentali (4,6%), ed intermedi (4,9%).
Considerando invece i singoli settori, molto bene gli alimentari (6,5), i metalli (7,6%) e i macchinari (4,9%).
In controtendenza, invece, quello dell’auto, che registra -1,4%.

A confronto con gli altri maggiori paesi manifatturieri appartenenti all’Unione europea, l’Italia rimane in pole position, con un tasso di crescita superiore di un punto rispetto alla Germania (6,4%), e quasi raddoppiato rispetto a quello della Francia (4,1%).

Nonostante i Paesi Ue abbiano dimostrato ampio interesse nei confronti del Made in Italy, rimangono ancora gli Stati Uniti il primo mercato esterno, anche se i tassi di crescita maggiori arrivano dai Brics, dove si tratta di aumenti a doppia cifra. Nel dettaglio, 25 punti in Cina, quasi 23 in Russia e poco meno di 9 in India, e si tratta in tutti i casi di performance superiori a quelle registrate in Europa.

Traducendo queste percentuali in cifre, dall’inizio dell’anno ad oggi, ad esempio, il contributo aggiuntivo di Pechino vale 2 miliardi, quello di Mosca più di un miliardo.

Questi risultati hanno portato l’Organizzazione Mondiale del Commercio a rivedere al rialzo le stime di crescita 2017: progresso del 3,6 e non del 2,4 come stimato in precedenza.

Vera MORETTI

Made in Italy in continua crescita grazie a Brics ed Europa

Il Made in Italy gode di ottima salute, tanto che, ad agosto, l’export mostrava segno positivo dell’8,4%, di oltre quattro punti superiore al mese precedente.
Le performance positive riguardano sia i mercati extra Ue sia quelli intercontinentali, con i Bric’s che segnalano aumenti in doppia cifra in Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Austria e Paesi Bassi.
Bene anche Francia e Spagna, con crescite di poco inferiori a 10 punti, mentre la Germania rimane indietro, pur incrementando gli acquisti di merci italiane del 3,8%.
Per quanto riguarda i settori, quelli che registrano i migliori dati sono l’energia, ma anche i beni di consumo durevole e intermedi.

Male, invece, i settori delle auto, le cui vendite estere sono in contrazione del 13,8%, e pongono fine ad un lungo periodo positivo che, nel bilancio degli ultimi otto mesi, rimane comunque un guadagno di circa 16 punti.

Ma si tratta comunque di una goccia nel mare, poichè segni positivi appartengono a tutti gli altri settori, dalla farmaceutica alla chimica, fino all’elettronica e ai macchinari e i prodotti in metallo.

Non solo l’export sta marciando bene, ma anche le importazioni stanno crescendo, e precisamente dell’8,2%, grazie ad energia, beni intermedi, strumentali e prodotti di consumo durevole.

Vera MORETTI

L’export Made in Italy parte anche dal Nord Est

Il Made in Italy è così apprezzato all’estero anche grazie alle imprese del Nord Est, capaci di cogliere tutte le occasioni buone per farsi conoscere dai mercati emergenti, quelli che in questi anni hanno contribuito a tenere alte le cifre dell’export dei prodotti italiani.

Per il solo 2013, è stato fatturata la cifra record di 70 miliardi di euro, dato confermato dal
report REthink presentato da Sace, un resoconto contenente le previsioni sui trend dell’export italiano per il 2014-2017.

Tra i settori trainanti che riguardano l’esportazione del Made in Italy dal Triveneto ci sono quelli delle tecnologie industriali e dei beni di consumo, seguiti dalla filiera agroalimentare, dal ramo dei gioielli e dei mobili, oltre, ovviamente, al settore moda.

Per quanto riguarda le stime per il futuro prossimo, Sace ha stilato una classifica dei comparti per i quali si prevede una crescita maggiore: al primo posto l’agroalimentare, seguito dalla meccanica strumentale, il tessile e l’abbigliamento.

A offrire le migliori opportunità sono non solo i Brics, ma anche alcune destinazioni come l’Arabia Saudita, Angola, Cile, Filippine e Thailandia.

Vera MORETTI

Made in Italy verso nuove mete

Si è discusso della diffusione del Made in Italy nel mondo, durante il XII Forum del Comitato Leonardo, appuntamento annuale dedicato al confronto tra istituzioni, imprenditori e mondo del credito sullo stato attuale del Made in Italy.

Non si punterà solo alle grandi griffe di moda e design, ma, al contrario, ciò che si vuole esportare è l’arte del saper fare, che da sempre rappresenta la miglior qualità dei prodotti nostrani.

Luisa Todini, presidente del Comitato Leonardo, ha puntualizzato: “Mentre la nostra economia continua a subire arretramenti del Pil, perdite di lavoro e chiusure di aziende, con lo Stato che non riesce a pagare le imprese e imprese che non riescono a pagare lo Stato, la burocrazia frena anche il mecenatismo. Per ritrovare la via della crescita e riconquistare quote di mercato all’estero dobbiamo, pubblico e privato, far leva su 2 nostri grandi vantaggi competitivi: la vocazione manifatturiera, i prodotti di qualità totale; e la vocazione culturale e ambientale, i servizi per la qualità della vita”.

E anche l’export amplierà i suoi orizzonti, uscendo dalla rotta dei paesi Brics ed estendendosi a tutti i paesi emergenti. A questo proposito, una ricerca condotta dall’Ice in collaborazione con Prometeia ha individuato ben 25 paesi verso i quali le imprese italiane possono dirigersi per proporre i loro prodotti.

Dalla ricerca emerge una geografia dei mercati del futuro che cambia in funzione della specializzazione delle imprese. Per i beni di consumo, la variabile considerata più rilevante è la soglia di reddito (stimata in 11.500 dollari pro capite a parità del potere d’acquisto, poco meno di 9.000 euro) da cui si innesca un processo di consumo più dinamico di questi beni.

Per i beni di investimento, il motore principale è costituito dal livello di industrializzazione del Paese, che dà una misura potenziale di quanti macchinari saranno necessari a sostenerne la convergenza industriale verso le economie mature. Per le opere infrastrutturali, infine, sono determinanti la qualità e la quantità delle infrastrutture già presenti e i piani di investimento previsti.

Per quanto riguarda i beni di consumo Made in Italy, i Paesi a più alto potenziale di sviluppo risultano essere Emirati Arabi, Cile e Malesia, seguiti da Qatar e Arabia Saudita. Al vertice della classifica dei mercati più attrattivi per i beni di investimento si collocano Arabia Saudita, Messico, Indonesia, Thailandia e Cile, mentre i Paesi che offrono le maggiori opportunità per le imprese italiane delle costruzioni sono i mercati asiatici di Indonesia, Pakistan, Vietnam e Thailandia, seguiti dal Messico.

Riccardo Monti, presidente dell’Ice, ha commentato così i risultati: “Dalla ricerca emerge come sia nelle infrastrutture, sia nei beni di investimento, sia nei beni di consumo l’offerta italiana debba rafforzare ulteriormente la propria presenza sui mercati extraeuropei. L’Africa sub-sahariana, con un fabbisogno stimato di quasi 270 miliardi di investimenti al 2020, il Far East e l’America Latina, sono aree da cui si attende grande dinamismo e noi abbiamo ottime carte da giocare, grazie a una offerta che si incontra con la domanda locale di macchinari e tecnologia e con quella di beni di consumo del nuovo ceto medio. In questi mercati l’Agenzia ha predisposto nuovi programmi di promozione e sta per aprire nuovi Uffici. Un rafforzamento del presidio diretto dei mercati culturalmente e geograficamente più lontani sarà uno strumento fondamentale per una maggiore diffusione del Made in Italy”.

Vera MORETTI

‘L’Italia è il turismo, e il turismo lavora per l’Italia’

 

Il nostro viaggio nell’industria del turismo italiana fa tappa quest’oggi in quella che può essere considerata per antonomasia la patrie del turismo made in Italy: la riviera romagnola. Per capire qual è la temperatura del settore e l’umore degli addetti ai lavori, le piccole e medie imprese del turismo della Romagna, Infoiva ha intervistato Patrizia Rinaldis, Presidente dell’AIA Rimini, l’Associazione Italiana che raccoglie gli albergatori di Rimini.

Rimini è da sempre un punto fermo del turismo made in Italy, anche in tempi di crisi: confermate quest’affermazione?
Assolutamente si. Fortunatamente vive ancora di un brand e di una reputazione che hanno un valore enorme, sia a livello italiano che internazionale. E’ questo il valore aggiunto che ci ha permesso di superare le difficoltà del momento: Rimini non ha mai perso posizioni, ha mantenuto stabile il numero di presenze turistiche a differenza di altre regioni, è riuscita a mantenere un certo equilibrio rispetto al passato.

Qual è il vostro valore aggiunto?
Rimini mantiene quel famoso rapporto qualità/prezzo che soprattutto in un momento complesso come quello che stiamo attraversando gioca a sua favore e naturalmente a favore delle famiglie. Inoltre è stata premiata dalle presenze turistiche grazie alla sua offerta che non è legata soltanto al balneare, ma spazia grazie alla presenza dei parchi, senza dimenticare le bellezze dell’entroterra. Un ruolo importante è svolto poi dalle operazioni del settore congressuale e fieristico, che hanno contribuito ad aumentare l’appeal del territorio.

Quali sono le vostre prospettive e attese per la stagione turistica 2013 alle porte?
Io sono un’ottimista per natura. E’ vero, i tempi sono cambiati rispetto al passato, la vacanza ormai la si decide all’ultimo momento e non è più generica. Ma Rimini continua ad avere una percentuale di clientela fidelizzata molto alta: se prima era all’80%, adesso siamo attorno al 60%. Sono pochissime le località in Italia che vantano questi numeri.

Più italiani o più stranieri?
La percentuale italiana resta altissima, anche se la presenza straniera è cresciuta negli ultimi anni fino al 28-30%. I turisti stranieri sono importantissimi, perchè vanno a sopperire al calo della domanda interna: Rimini è un crocevia in un momento in cui i dati del turismo sono in continua evoluzione. La gente si muove, viaggia. Le faccio un esempio: i turisti stranieri che provengono dai Paesi del BRICS hanno numeri elevatissimi e una capacità di spesa che prima non avevano. Per noi è importante aprirci a mercati come la Cina, la Russia, un mercato che abbiamo già in parte aggredito in passato ma che è in continua espansione. La crisi porta ad allargare i propri orizzonti.

Come associazione albergatori riminesi su cosa avete deciso di puntare per favorire l’affluenza turistica? (prezzi più bassi, settimane corte, offerte ad hoc…)
Non possiamo puntare sui prezzi più bassi, perché la riviera ha già prezzi molto competitivi ed economici.Oggi occorre più che mai puntare sulla qualità del servizio, per difendere i nostri consumatori e garantire loro standard competitivi, che però hanno un loro costo. Come AIA abbiamo deciso di puntare sulla promozione e sulla professionalità. La nostra filosofia in tempi di crisi è: vendere il sogno della tua vacanza. Una vacanza su misura, che sia davvero un momento di distrazione, divertimento, che soddisfi davvero i sogni e bisogni del turista. Sono convinta poi che la crisi porterà a un miglioramento della professionalità dei nostri operatori, che forse avevano perso lo slancio al rinnovamento. Adesso è più difficile che mai, perché il tuo competitor non è più il tuo vicino ma è il mondo.  Occorre rimboccarsi le maniche, rinnovarsi, evolversi. Il turismo è un’industria sotto tutti i punti di vista e come tale deve essere trattata: anche i nostri albergatori devono pensare che non sono solo affittacamere ma veri e propri imprenditori.

La regione Emilia Romagna offre degli incentivi per chi desidera avviare un’attività turistica nella vostra zona?
No. Il grosso nodo problematico per il turismo nella nostra Regione è il fatto che non siano mai stati previsti incentivi fiscali, soprattutto per quanto riguarda la ristrutturazione. Una volta c’era la Legge 40, poi la Legge 3.  Il turismo è ormai un prodotto maturo e in questo momento ha una necessità enorme di ristrutturarsi perché gli standard qualitativi sono cambiati. Consideri che la sola città di Rimini possiede 1100 strutture ricettive: molte sono datate, noi chiediamo loro di riqualificarsi.  Il problema della regione è che non c’è continuità nell’ aiutare le imprese a riqualificarsi: l’anno scorso i finanziamenti sono stati trovati nel residuo di bilancio, la famosa Legge 3. Quest’anno invece sono stati stanziati circa 7 milioni di euro per l’intera regione Emilia Romagna destinati alla riqualificazione delle strutture congressuali. Il massimo che si può fare con questa cifra è accontentare 28-30 strutture nell’intera regione con un finanziamento di 200 mila euro.

Quali sono le maggiori difficoltà che il vostro settore si trova ad affrontare oggi?
Oltre agli incentivi fiscali, avvertiamo la necessità di una politica di acquisizione da parte degli affittuari, con delle leggi ad hoc che possano sgravare chi decide di acquistare le strutture. Inoltre credo che il turismo abbia bisogno di un’ economia di sviluppo legata alle infrastrutture, alle autostrade, alla qualità della balneazione. Il turismo è un bene primario per il Paese: è triste vedere che l’Italia, che possiede l’82% delle maggiori bellezze artistiche e culturali del mondo, sia scesa agli ultimi posti dal punto di vista turistico.

Se potesse fare un appello al Ministro Gnudi, quali sono le priorità da affrontare per il settore turistico in Italia?
Occorre considerarlo un settore industriale sotto tutti i punti di vista, conferendogli quella dignità che gli spetta di diritto.  Il settore turistico in Italia è l’unico che non ha perso forza lavoro e che continua ad avere un’incidenza positiva sul Pil. Ma deve esserci una cabina di regia sul turismo, le problematiche del settore devono essere affrontate a livello nazionale. L’Italia è il turismo, e il turismo lavora per l’Italia.

Alessia CASIRAGHI

Giulia DONDONI

Se gli stranieri preferiscono gli spaghetti

 

Battuta d’arresto come non se ne vedevano dal 2009 per l’export italiano: secondo quanto diffuso dall’indagine Istat a settembre 2012 le esportazioni sarebbero calate del 2% rispetto ad agosto 2012 e del 4,2% su base annua. Ma a far risalire la china della crisi delle esportazioni ci pensa la buona cucina rigorosamente made in Italy: il settore dell’agroalimentare infatti avrebbe registrato, secondo Coldiretti, un aumento nelle esportazioni pari all’1,2%.

Ma vediamo nel dettaglio: la crisi dell’export si è fatta sentire sia per quanto riguarda i mercati di sbocco europei (-2,1%) sia per i mercati extra Ue (-2%). In calo sono state soprattutto le vendite di beni strumentali (-4,5%) e di prodotti energetici (-2,3%), mentre i beni di consumo durevoli hanno segnato un aumento dell’1,0%.

Rispetto a settembre 2011, la flessione delle vendite risulta accentuata per Cina (-18,8%), paesi Mercosur (-13,7), Romania (-13,6%), Spagna (-12,8%) e Germania (-10,3%), mentre aumentano i flussi verso Stati Uniti (+19,4%) e paesi ASEAN (+22,9%).

Un segnale di controtendenza, che fa ben sperare, viene invece dal settore dell’agroalimentare italiano: secondo un’analisi Coldiretti su base Istat, a settembre 2012 si è registrato un aumento nelle esportazioni pari all’1,2% per un valore totale di 2,731 miliardi.

La crescita dell’agroalimentare è dovuta ad un aumento del 5,4 % delle spedizioni di prodotti agricoli e dell`1,1 % di quelle degli alimentari e delle bevande – sottolinea Coldiretti. –  Ad aumentare sono state le esportazioni in valore dei prodotti simbolo della dieta mediterranea Made in Italy come la pasta, il vino e le conserve di pomodoro”. E se l’auspicio è quello di cavalcare il trend più che positivo del cibo made in Italy, “il valore dell`export agroalimentare è destinato a far segnare a fine anno il nuovo record con un valore delle spedizioni superiore ai 30 miliardi di euro fatti registrare lo scorso anno – stima Coldiretti. – Un risultato importante poiché l’agroalimentare svolge in realtà un effetto traino per l`intero Made in Italy all’estero dove il buon cibo italiano contribuisce in misura determinante a valorizzare l`immagine dell’Italia all’estero“.

Sul fronte importazioni, i dati registrati da Istat non sono invece per nulla positivi: la battuta d’arresto ha riguardato anche il settore import, gli acquisti sono calati del 4,2% a livello congiunturale e del 10,6% su base annua.

Segnali di forte flessione si rilevano per gli acquisti da Giappone (-35,0%), India (-30,9%) e paesi EDA (-26,0%), mentre sono in forte crescita gli acquisti dai paesi OPEC (+18,0%) e Russia (+16,7%). Gli acquisti di autoveicoli (-44,9%) sono in netta flessione.

 

Alessia CASIRAGHI

Business Attractiveness, come guardare all’estero

 

Puntare sull’estero per far crescere il proprio business: dai Bric (pardon Brics) ai Next 11, quali sono i Paesi su cui le piccole e medie imprese italiane devono puntare per far crescere il proprio giro d’affari?

In aiuto degli imprenditori oggi arriva Business Attractiveness (IBA), l’indicatore creato e sviluppato da Aice in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano, che ha lo scopo di fornire alle aziende italiane, in particolare alle Pmi, uno strumento sintetico e di facile lettura per valutare nuove opportunità d’affari sui mercati internazionali, in particolare di carattere commerciale. A supportare l’iniziativa offrendo il proprio contributo è stata la Camera di Commercio di Milano.

In soldoni, si tratta di un indice che definisce le economie più aperte e più potenzialmente “ricettive” su cui le industrie del made in Italy possono decidere di puntare per allargare il proprio business.

Qualche esempio? I Paesi nell’occhio del ciclone, almeno secondo Business Attractiveness, sarebbero oggi Malaysia, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Arabia Saudita, Thailandia, Australia, Qatar, Tunisia e Paesi dell’Europa Centro-Orientale.

La logica di base è quella di fornire uno strumento con cui fare una prima scrematura sulle destinazioni del proprio business – spiega Claudio Rotti, presidente di Aice e della Commissione Internazionalizzazione Commercio estero di Confcommercio – partendo dalla considerazione che l’impresa sia dotata di scarse risorse umane e finanziarie da dedicare allo sviluppo internazionale e che, quindi, non debba disperderle cercando di approcciare molti mercati contemporaneamente”.

I Brics, ad esempio sono Paesi oggettivamente interessanti, ma non è detto che siano adatti a tutte le aziende italiane che intendono internazionalizzarsi – prosegue Rotti. – L’Indicatore, quindi, è utile per individuare nuove potenziali destinazioni, la cui appetibilità ed affidabilità andrà poi verificata con la propria realtà settoriale”.

Veniamo alla classifica stilata da Business Attractiveness: nella prima classe di paesi più appetibili troviamo Singapore, a fianco di altri partner commerciali più tradizionali per l’Italia, come Germania, Francia, Stati Uniti, Spagna, Regno Unito, Belgio Cina, Paesi Bassi, Svizzera. Il ranking non riserva poi grandi sorprese: dalla Cina, al settimo posto, seguono gli altri Paesi Brics che ricoprono però posizioni di rincalzo (20ma la Russia, 24ma l’India, 29mo il Brasile, 78mo il Sud Africa).

Le potenzialità più feconde per gli imprenditori italiani sembrano essere celate nella seconda, terza e quarta classe di Paesi:  Malaysia, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Arabia Saudita, Thailandia, Australia, Qatar, Tunisia oltre a una interessante presenza dei Paesi dell’Europa Centro-Orientale.

E i dati dell’export italiano relativi ai primi 6 mesi del 2012 confermano solo in parte i risultati dell’Indicatore: Malaysia, Arabia Saudita, Polonia, Russia, Brasile, Tunisia, restano sui livelli dei primi sei mesi del 2011, forse ad indicare  che esistono potenzialità ancora non del tutto espresse per l’export del Made in Italy, mentre a fare il salto di qualità sono stati Paesi come Emirati Arabi Uniti, che segnano un +570 milioni di euro circa rispetto allo stesso periodo del 2011, e ancora Turchia con +300 milioni di euro, Australia (+146 milioni), Thailandia (+130 milioni), Qatar (+105 milioni).

L’export italiano ha subito un rallentamento verso la Spagna, dove l’export è passato da 10,4 a 9,5 miliardi di Euro, mentre a crescere è l’export verso il Regno Unito (+900 milioni). A dare un segnale allarmante è invece il calo delle esportazioni verso la Cina, che nel 2012 sono passate da 5 miliardi del 2011 ai 4,5 miliardi nei primi sei mesi del 2012.

Da un punto di vista generale le esportazioni italiane sono cresciute nel 2012 “a ulteriore conferma – conclude Rotti – che l’export è stato e continua ad essere l’unica componente dinamica della domanda e di conseguenza il principale fattore di tenuta dell’economia italiana”.

Alessia CASIRAGHI