Sviluppare nuove competenze per sviluppare il business

Prima di sviluppare nuove competenze, il futuro imprenditore deve essere consapevole del fatto che soluzioni che hanno funzionato nel passato oggi non sono più efficaci. Deve smontare alcune convinzioni assai diffuse fra gli artigiani.

Con i collaboratori siamo come una grande famiglia“. È un mito. Un rapporto sano, etico, professionale e volto all’eccellenza non può essere basato su simil-rapporti famigliari. Mamma e papà è meglio lasciarli a casa. Molto più trasparente una relazione fra datore di lavoro e collaboratore. L’imprenditore rischia i suoi soldi, il collaboratore la sua professionalità. Ruoli diversi. Ciò non vuol dire che l’azienda si debba trasformare in un campo di lavori forzati, ma sottolineare le differenze per evitare compiacenze e garantire un trattamento equo ed etico è salutare. Anche la comunicazione interna se ne avvantaggia. Ci si parla in modo più professionale e diretto, evitando chiacchiericci, pettegolezzi e perdite di tempo.

Inoltre, un approccio più professionale permette di gestire meglio eventuali promozioni, aumenti di salario, deleghe. Dà anche al collaboratore l’opportunità di essere valutato per i risultati ottenuti e per il contributo che dà al lavoro di squadra, evitando personalismi (favoritismi).

Noi siamo pratici, orientati al fare, al lavoro“. Anche l’uomo di Neanderthal costruiva manufatti (asce, punte di lancia, seghe, raschiatoi, flauti, etc.) e inventò nuove tecniche di scheggiatura. Quindi questo mito, così diffuso, non è originale, è “igienico”. L’uomo lavora da sempre. Oggi non basta fare. Occorre fare in modo eccellente e presto e inventare e innovare in continuazione, con un occhio al margine e l’altro alla soddisfazione dei clienti, che bisogna individuare. Ma il tutto molto velocemente, cosa che non era richiesta al nostro antenato.

Piccolo è bello“. Se guadagni molto sì. L’artigiano-artista è forse in questa categoria. L’artigiano hi-tech per guadagnare deve crescere in fatturato, deve esportare all’estero, deve ricercare alleanze per svilupparsi e garantirsi i margini che gli consentano, non solo in percentuale, ma anche in valore assoluto, di continuare a innovare il proprio know-how.

La comunicazione la fa il prodotto“. Errato. La comunicazione è un investimento e non un costo per creare valore e attrazione verso il proprio marchio, la propria azienda, la propria unicità. Si comunicano i valori dell’azienda, le proprie specificità tecnologiche, le soluzioni trovate, il modo di lavorare, le competenze del team, il servizio ai clienti. Una brochure di presentazione è il biglietto da visita dell’azienda, così come un sito ben gestito e ricco di informazioni e aggiornamenti, così come l’uso di tecniche web 2.0, piuttosto che la partecipazione a fiere ed esposizioni. Tutto gestito con intelligenza e competenze specifiche. Comunicare è un investimento (quindi occorre valutare il ritorno sull’investimento) non un costo. Ma si evitino l’approssimazione e il fare tutto in casa, pena un’immagine raffazzonata e controproducente (soldi gettati al vento).

Dalla mia esperienza operativa, ho rilevato anche la scarsa attenzione alla preparazione dei preventivi. Fatti in pochi minuti (perché bisogna correre a settare le macchine in officina) e trattati più come un aspetto burocratico che come prima sorgente del margine. Sovente l’artigiano non sa che margine ha sulle lavorazioni. Un errore imperdonabile per un imprenditore da PMI.

In sintesi, il neo-imprenditore deve ragionare e agire come se gestisse una multinazionale tascabile.

Dott. Giulio ARDENGHI | g.ardenghi[at]infoiva.it | www.businesscoachingefficace.com | Bergamo

Business Coach professionista, affianca imprenditori di grandi aziende e di PMI, manager e professionisti affinché sviluppino risorse utili a raggiungere i loro obiettivi professionali e personali con soddisfazione, velocemente, in modo misurabile e duraturo. È specializzato nei processi di cambiamento (professionali e aziendali) e nel lancio di start-up. Dopo la tesi (IULM- Milano) sulle Relazioni Esterne del Centro Georges Pompidou (Beaubourg) di Parigi ha iniziato il percorso professionale nel settore comunicazione, per proseguire nel marketing e commerciale. É stato per 25 anni manager di multinazionali italiane e straniere. Ha lavorato e vissuto a Londra, Singapore e Seoul. Ha raggiunto la posizione di direttore generale e poi ho deciso d’intraprendere l’attività di Business Coach che gli sta dando molte soddisfazioni. Ha conseguito un advanced master in PNL, un attestato di counselling in PNL, ha seguito corsi di Gestalt, l’Hoffman Process, ed ha partecipato ai seminari di Jodorowsky. È stato docente alla Scuola di Direzione Aziendale di Torino. Ha tenuto seminari in università italiane e straniere su temi della comunicazione, dell’innovazione, gestione e motivazione della forza vendita. Giornalista pubblicista, i suoi articoli specifici e dal taglio pratico su temi applicativi legati all’area del coaching (start-up, come diventare imprenditori di se stessi, il vero cambiamento, migliorare la propria carriera, trovare la propria vocazione, autostima e leadership) sono pubblicati anche in Internet. Unisce una solida e comprovata esperienza di campo con una meticolosa preparazione di psicologia applicata. Gli piace definirsi un enzima: acceleratore di processi di trasformazione. Il suo motto è pragmatismo col cuore.

“Datemi un punto di appoggio e solleverò il mondo”. Qual è la tua leva?

La frase pronunciata da Archimede parlando della leva rende bene come oltre alla consapevolezza di voler cambiare, la volontà duratura di attuare il cambiamento, occorra un’azione concreta che faccia da punto di appoggio per la metamorfosi di un’azienda artigianale in una PMI.

Qual è l’unicità della tua produzione o del tuo servizio? In che cosa ti distingui concretamente dai tuoi concorrenti? Qual è l’elemento che fa la vera differenza verso la tecnologia tradizionale del settore in cui operi?

Non parlo solo di output produttivo, parlo anche di processo industriale, di software sviluppati in casa, di competenze specifiche costruite sperimentando.
Non sempre le aziende artigianali brevettano quanto inventato. In altre parole, non creano una barriera all’ingresso da parte di altri concorrenti perché pensano che nessuno sia in grado di replicare quanto esse hanno sviluppato, se non a costo di ripetere tutti gli errori che l’azienda in questione ha incontrato e risolto con sforzi di ricerca e sviluppo e investendo tempo.

La leva non può essere il prezzo basso. Questo vale forse a tutt’oggi nella minuteria metallica, un settore dove il valore aggiunto è basso e dove importare dalla Cina, per ora, non è così conveniente soprattutto per i tempi di consegna e i costi di trasporto.

Ma questa azienda è esposta all’andamento delle aziende committenti che, a loro volta, subiscono l’andamento del cliente finale e del mercato. Quindi la loro posizione è debole.

Queste aziende artigiane sono alla fine della filiera, sono terzisti che subiscono le decisioni di altri. Non parleranno mai al cliente finale. Il loro interlocutore è un committente di primo o secondo livello ed è quest’ultimo che detta il prezzo di acquisto e i tempi di consegna.

L’azienda artigianale di qualità o hi-tech deve essere in grado di individuare l’elemento o una composizione di elementi che possono trasformarla in una “boutique” super specializzata.

Faccio un esempio concreto. Un’azienda artigiana afferma di aver sviluppato un know-how unico al mondo nell’incisione laser di stampi in 3D. Questo know-how è veramente unico? Sostituisce o si affianca a tecnologie più tradizionali? C’è richiesta di mercato per l’applicazione di questo know-how? A quanto posso fatturare questa unicità? Come posso raggiungere i clienti finali interessati alla mia invenzione o innovazione?

Il primo passo è comunicare questa specificità al mondo interessato. Ma per comunicare qualcosa ho bisogno di nominarla. Non possono dire: “Noi siamo gli unici a possedere queste macchine“, “Solo noi abbiamo sviluppato un tecnologia di incisione unica“. Questa non è comunicazione. Si può comunicare solo qualcosa che si riesce a definire in modo specifico.

Nel caso citato, l’azienda hi-tech ha coniato il termine Design Rendering Engineering (DRE), sotto il quale ha raccolto tutto il suo know-how di progettazione e di produzione basato sia sullo sviluppo di software che di hardware. Oggi la sua comunicazione, via media di settore, web e web 2.0, punta sull’affermazione del DRE. Nome che è stato registrato. “Senza il DRE sono solo macchine“, è un concetto che oramai distingue questa azienda da tutta una miriade di artigiani che pullulano nel settore dell’incisione (chimica) di stampi.

Hanno trovato la differenza, le hanno dato un nome e la comunicano. Questa è una leva vera per fare sviluppo.

Dott. Giulio ARDENGHI | g.ardenghi[at]infoiva.it | www.businesscoachingefficace.com | Bergamo

Business Coach professionista, affianca imprenditori di grandi aziende e di PMI, manager e professionisti affinché sviluppino risorse utili a raggiungere i loro obiettivi professionali e personali con soddisfazione, velocemente, in modo misurabile e duraturo. È specializzato nei processi di cambiamento (professionali e aziendali) e nel lancio di start-up.Dopo la tesi (IULM- Milano) sulle Relazioni Esterne del Centro Georges Pompidou (Beaubourg) di Parigi ha iniziato il percorso professionale nel settore comunicazione, per proseguire nel marketing e commerciale. É stato per 25 anni manager di multinazionali italiane e straniere. Ha lavorato e vissuto a Londra, Singapore e Seoul. Ha raggiunto la posizione di direttore generale e poi ho deciso d’intraprendere l’attività di Business Coach che gli sta dando molte soddisfazioni. Ha conseguito un advanced master in PNL, un attestato di counselling in PNL, ha seguito corsi di Gestalt, l’Hoffman Process, ed ha partecipato ai seminari di Jodorowsky. È stato docente alla Scuola di Direzione Aziendale di Torino. Ha tenuto seminari in università italiane e straniere su temi della comunicazione, dell’innovazione, gestione e motivazione della forza vendita. Giornalista pubblicista, i suoi articoli specifici e dal taglio pratico su temi applicativi legati all’area del coaching ( start-up, come diventare imprenditori di se stessi, il vero cambiamento, migliorare la propria carriera, trovare la propria vocazione, autostima e leadership) sono pubblicati anche in Internet. Unisce una solida e comprovata esperienza di campo con una meticolosa preparazione di psicologia applicata. Gli piace definirsi un enzima: acceleratore di processi di trasformazione. Il suo motto è pragmatismo col cuore.

Artigiano, imprenditore. Quale differenza?

Torna da oggi a scrivere sulle pagine di Infoiva il dott. Giulio Ardenghi, business coach qualificato. Dopo averci accompagnato, nei mesi scorsi, nel mondo del business coaching, ora ci spiegherà, in 8 puntate, come un artigiano di qualità può trasformarsi in un imprenditore di successo.

Il dizionario ci aiuta, ma fino a un certo punto, a fare chiarezza sul significato di artigiano e di imprenditore.

Artigiano è “chi esercita un’arte manuale, per proprio conto e in locali propri, lavorando da solo o con la collaborazione dei familiari o di pochi aiutanti*”.
Imprenditore è colui “che intraprende un’attività produttiva e commerciale**”.

Mi sembrano definizioni molto larghe e poco specifiche.
Per la mia esperienza, l’artigiano viene cercato dai clienti. L’imprenditore cerca i clienti.
L’artigiano una volta ripianati i leasing dei macchinari e dei locali si dedica ad assicurarsi nel tempo giusti profitti.
L’imprenditore sviluppa il proprio mercato al di fuori del proprio originale perimetro operativo, afferma il proprio prodotto/servizio migliorando continuamente le differenze verso i concorrenti, dedica risorse alla ricerca e sviluppo, crea posti di lavoro, si dà una struttura manageriale. Diventa grande tramite alleanze, acquisizioni, fusioni.

Molti artigiani moderni oggi sono all’avanguardia nell’Hi-Tech o nell’eco-business. Si sono posizionati in una nicchia di mercato, ma sovente si trovano impreparati a fare il salto culturale e operativo per diventare imprenditori. Queste entità posseggono know-how unici, che a volte non hanno nemmeno brevettato. Sovente inventano o innovano profondamente processi di lavorazione rendendoli più veloci, più accurati, più efficaci e competitivi in termini di ore/macchina e ore/uomo verso tecnologie tradizionali.

Benché il passaggio da artigiano a imprenditore non sia obbligato, sono molti i giovani artigiani che hanno la convinzione di avere un prodotto, un processo o un servizio unico e all’avanguardia. Vorrebbero svilupparsi, ma non sanno cosa fare. Non conoscono quali sono i primi passi da compiere senza inciampare nei “soliti” errori da mancanza di competenze e di fiducia in se stessi che sabotano qualsiasi tentativo di sviluppo.

Forse la vera differenza fra artigiano e imprenditore è proprio il desiderio di quest’ultimo di osare, di rischiare a ragion veduta, di crescere.
Non basta l’intuizione geniale, la competenza tecnica. Occorre la predisposizione mentale a imparare competenze manageriali per svilupparsi in modo intelligente. Serve la capacità di interpretare la complessità e trovare la propria via virtuosa: visione d’insieme, posizionamento specifico, aggressività commerciale, ossessivo e regolare controllo dei costi, capacità di gestire più persone. E comunicare. Senza dare per scontato che al di fuori delle mura del capannone il mondo sappia che si è eccellenti. Occorre farlo sapere. Conoscere anche le strategie e i mezzi del web 2.0 è essenziale.

Se siete pronti a imparare materie nuove, ad applicarvi con costanza, ad analizzare onestamente i vostri punti di forza e di debolezza e porvi riparo siete quasi pronti al “via!”. La formula è, riportando l’esperienza di molti artigiani divenuti imprenditori di successo, lavorare prima di tutto su se stessi, riconoscere i propri limiti (e le proprie qualità). Si richiede un atto di lucidità coraggiosa perché è il cambiamento, con le sue conseguenze e nuove responsabilità che spaventa. Ma l’imprenditore ama la sfida proficua e riesce a superare ansia e stress.

*http://dizionari.hoepli.it/Dizionario_Italiano/parola/artigiano.aspx?idD=1&Query=artigiano&lettera=A
**http://dizionari.hoepli.it/Dizionario_Italiano/parola/imprenditore.aspx?idD=1&Query=imprenditore&lettera=I

Dott. Giulio ARDENGHI | g.ardenghi[at]infoiva.it | www.businesscoachingefficace.com | Bergamo

Business Coach professionista, affianca imprenditori di grandi aziende e di PMI, manager e professionisti affinché sviluppino risorse utili a raggiungere i loro obiettivi professionali e personali con soddisfazione, velocemente, in modo misurabile e duraturo. È specializzato nei processi di cambiamento (professionali e aziendali) e nel lancio di start-up.Dopo la tesi (IULM- Milano) sulle Relazioni Esterne del Centro Georges Pompidou (Beaubourg) di Parigi ha iniziato il percorso professionale nel settore comunicazione, per proseguire nel marketing e commerciale. É stato per 25 anni manager di multinazionali italiane e straniere. Ha lavorato e vissuto a Londra, Singapore e Seoul. Ha raggiunto la posizione di direttore generale e poi ho deciso d’intraprendere l’attività di Business Coach che gli sta dando molte soddisfazioni. Ha conseguito un advanced master in PNL, un attestato di counselling in PNL, ha seguito corsi di Gestalt, l’Hoffman Process, ed ha partecipato ai seminari di Jodorowsky. È stato docente alla Scuola di Direzione Aziendale di Torino. Ha tenuto seminari in università italiane e straniere su temi della comunicazione, dell’innovazione, gestione e motivazione della forza vendita. Giornalista pubblicista, i suoi articoli specifici e dal taglio pratico su temi applicativi legati all’area del coaching ( start-up, come diventare imprenditori di se stessi, il vero cambiamento, migliorare la propria carriera, trovare la propria vocazione, autostima e leadership) sono pubblicati anche in Internet. Unisce una solida e comprovata esperienza di campo con una meticolosa preparazione di psicologia applicata. Gli piace definirsi un enzima: acceleratore di processi di trasformazione. Il suo motto è pragmatismo col cuore.

Business Coach oggi: professione a tutto tondo

Nona e ultima puntata del viaggio di Infoiva, il Quotidiano online delle Partite Iva, nel mondo del Business Coaching, professione che da qualche tempo si sta diffondendo con successo anche in Italia. In collaborazione con il Dott. Giulio Ardenghi, uno dei pochi e qualificati Business Coach italiani.

Esistono oramai da anni anche in Italia associazioni di categoria che certificano gli iscritti e hanno un codice deontologico. Purtroppo non fanno massa. Dipendono molto dalle scuole di formazione di coaching (poche eccellenti, molte evanescenti) e non sempre si rivolgono a tutti i potenziali clienti, ma solo a quelli che in teoria fanno “nome”. Ma questi il coaching se lo fanno in casa, molte volte, o accedono al mercato internazionale. Credo che dovrebbero agire più sulle associazioni di categoria, camere di commercio, sindacati, unioni industriali provinciali, incubatori di start-up. Utile l’aggiornamento che propongono, ma ancora più utile sarebbe una chiara distinzione fra chi esercita operativamente con i clienti e chi insegna coaching.

In Italia il mercato, lo dicono i numeri è ancora in fase di sviluppo. I professionisti eccellenti ci sono (cercateli con cura) e si confrontano anche a livello internazionale. Ma vige ancora un po’ la vecchia formula italiana “chi fa da sé fa per tre”. Le associazioni dovrebbero unirsi e fare focus. A volte mi sembra che abbiano bisogno di un buon business coach per sviluppare un piano con obiettivi veloci, misurabili e duraturi.

Il mercato incalza, i clienti sono più esigenti e quindi sono del tutto ottimista che nei prossimi 2 anni vedremo il “business coaching d.C.”- per parafrasare Marchionne – espandersi tramite professionisti preparati.

Dott. Giulio ARDENGHI

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Una missione utile del Business Coach: aiutare le imprese a superare la crisi

Ottava puntata del viaggio di Infoiva, il Quotidiano online delle Partite Iva, nel mondo del Business Coaching, professione che da qualche tempo si sta diffondendo con successo anche in Italia. In collaborazione con il Dott. Giulio Ardenghi, uno dei pochi e qualificati Business Coach italiani.

Le imprese che hanno difficoltà sono le aziende che innovano poco e che hanno perso l’abitudine di inventare cose nuove e di proporle in fiere e mercati internazionali. Sono le aziende che puntano sul prezzo e non sulla qualità e sull’inventiva, sullo sconto e non sull’innovazione. Sui settori stanchi e non sulle nuove aree di mercato sia geografiche che di settore come il green business o eco-business che dir si voglia. Che non conoscono il web 2.0 e non si sforzano nemmeno di tentare di capire cosa sia.

Queste mutazioni obbligano anche il business coach a un continuo aggiornamento in modo da essere sempre aggiornatissimo sulle nuove frontiere del business. Chi non si aggiorna è perduto. Chi non conosce a memoria “L’onda anomala”, breve Bibbia del web 2.0, è tagliato fuori. Così come chi non ha idea dei mercati esteri, perché non ci ha mai lavorato, o è poco sensibile agli aspetti di servizio al cliente e di produzione e logistica o del sistema fornitori.

Un mio maestro di management diceva: “Il bisognino fa correre la vecchietta”; oppure un professore di Harvard: “Quando il ghiaccio si fa sottile, bisogna pattinare più velocemente”.

C’è maggiore richiesta di servizi di qualità. C’è maggiore richiesta di vere esperienze comprovate. C’è maggiore richiesta di professionisti che vogliono essere misurati (R.O.I. del business coaching), c’è maggiore richiesta di chi sa ascoltare, porre domande intelligenti e dare risposte pertinenti.

La selezione che si osserva nelle aziende avviene, e ben venga, anche nel settore del coaching.

Dott. Giulio ARDENGHI

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Business Coach: qual e’ l’identikit del suo assistito?

Settima puntata del viaggio di Infoiva, il Quotidiano online delle Partite Iva, nel mondo del Business Coaching, professione che da qualche tempo si sta diffondendo con successo anche in Italia. In collaborazione con il Dott. Giulio Ardenghi, uno dei pochi e qualificati Business Coach italiani.

Se fino a un paio di anni fa erano soprattutto le multinazionali che si rivolgevano al business coaching, oggi si nota un impulso nelle PMI alle prese con l’innovazione tecnologica, o meglio, a come venderla, a come proporsi sui mercati internazionali, a come dare forte impulso alla rete di vendita e al marketing. Anche le PMI si sono rese conto che non è sufficiente avere un’ottima tecnologia applicata se non la si sa vendere. La competizione è accanita, le novità durano meno che nel passato e vanno sfruttate presto e bene, l’inventiva e l’innovazione continua sono dei doveri come un tempo la manutenzione. Inoltre occorre distribuire il rischio su più mercati. Non sempre le PMI hanno tutte queste competenze, per cui accedono ai servizi del business coaching efficace per muoversi in fretta e bene, evitando gli errori da inesperienza.

Purtroppo c’è poca sensibilità presso le associazioni di categoria e le camere di commercio a proporre alle PMI di adottare un coach che le segua da vicino: prevale il superato e poco efficace modello della formazione d’aula.

Molte sono le start up che sia avvalgono dei sevizi di un business coach che le segua dalla A alla Z. Un settore, questo, che mi stimola molto e su cui sto ottenendo ottimi risultati.

Anche imprese artigiane si stanno interessando al business coaching per diventare PMI. La prima cosa di cui si rendono conto è che il cliente cerca l’artigiano, ma l’imprenditore cerca i clienti. E il know-how commerciale delle imprese artigiane è basso. Il business coach può, affiancando la struttura, accelerare la crescita delle competenze in azienda.

Un’esplosione recente di richieste è da parte di persone che, volenti o nolenti, uscite dal mondo del lavoro o spinte da necessità, sono alla ricerca di formule che permettano loro di ricercare redditi sussidiari o paralleli. Come sfruttare capitali dormienti o competenze formatesi nel tempo. Qui il business coaching svolge un ruolo sociale importante, ridando speranza e stima a queste validissime persone che cercano di vincere l’indolenza paralizzante che può prendere e bloccare qualsiasi iniziativa e voglia di fare.

Dott. Giulio ARDENGHI

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Quali sono i servizi del business coaching efficace?

Sesta puntata del viaggio di Infoiva, il Quotidiano online delle Partite Iva, nel mondo del Business Coaching, professione che da qualche tempo si sta diffondendo con successo anche in Italia. In collaborazione con il Dott. Giulio Ardenghi, uno dei pochi e qualificati Business Coach italiani.

I servizi offerti da un business coaching efficace si possono dividere in tre categorie:
1) alle persone
2) alle aziende/imprese/istituzioni
3) ai team

1) Alle persone
A imprenditori e imprenditrici che desiderano far partire una start up. Qui i servizi vanno dalla verifica dell’idea e del modello di business sino alla sua implementazione operativa. Il business coaching aiuta l’imprenditore a capire quali competenze gli sono necessarie, a colmare le lacune, a scegliere e valutare eventuali esperti di settore, a superare momenti di stress e di sfiducia, a valutare i partner, a capire quali conseguenze e quali responsabilità possono esserci nella sua vita privata. Oltre a suggerire, ma non sostituendosi all’imprenditore, quali verifiche economiche, di mercato, logistiche, organizzative, di sistema sono necessarie per una verifica empirica dell’idea di business.
Al manager. I servizi coprono tutti i temi legati alla pianificazione della carriera, al cambio d’azienda o di mansione, a prepararsi all’espatrio, ad adattarsi alla nuova conformazione societaria, all’assunzione di nuove responsabilità, al coordinare team multiculturali, ad assicurare gli obiettivi di funzione.
Inoltre, il business coaching può essere utile a quelle persone che vogliono riprendere in mano le redini della propria vita e uscire da quella sorta di pigrizia mentale che le blocca nella ricerca di nuove opportunità di reddito, incidendo negativamente anche sulla stima di sé.

2) Alle aziende/imprese/istituzioni
Dovendo rendere più efficaci gli investimenti ridotti in formazione, le aziende e le istituzioni tendono a concentrare i budget sui veri talenti, ovvero su quelle figure aziendali che per posizione, competenze o risultati ottenuti possono davvero fare la differenza. Le aziende a questo punto preferiscono una formazione tagliata su misura, più specifica e personale. Il tema di base, in un modo o nell’altro, è sempre legato a facilitare il cambiamento, che si rivela essere il vero ostacolo in azienda nella sua implementazione. Le resistenze sono ampie e nascoste, al di là dei dichiarato, ognuno si tiene ben strette le aree di comfort, pensando che vecchie soluzioni vadano bene anche in un mondo che cambia alla velocità della luce. Il business coaching efficace affianca i senior manager a definire e seguire una road map del cambiamento nell’epoca dopo crisi, dove le regole del gioco sono completamente cambiate e la complessità o viene capita e utilizzata a proprio vantaggio o travolgerà le aziende statiche.

3) Ai team
L’applicazione del diversity management è una necessità per tutte quelle aziende che cercano di ottenere dai propri diversi collaboratori la capacità di captare i segnali sottili dei mercati internazionali. I team sono preposti a creare intrecci multifunzionali, a proporre piani nuovi e a mettere in atto cambiamenti di tipo 2 (non solo innovazione, ma invenzione). Il business coach affianca chi deve costituire un team, nel selezionarlo, nel nominare il team leader, nel fissare le “regole d’ingaggio”, i budget di competenza, i tempi, etc.

Dott. Giulio ARDENGHI

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Business Coach, che fai nella mia azienda?

Quinta puntata del viaggio di Infoiva, il Quotidiano online delle Partite Iva, nel mondo del Business Coaching, professione che da qualche tempo si sta diffondendo con successo anche in Italia. In collaborazione con il Dott. Giulio Ardenghi, uno dei pochi e qualificati Business Coach italiani.

Il professionista del business coaching è un professionista indipendente o collegato con Società di Consulenza, che si occupa di sviluppare le competenze professionali dei singoli clienti o di piccoli gruppi.

Il business coach efficace è orientato al risultato che avrà concordato col cliente nel primo incontro. Il risultato può essere di tipo personale come lo sviluppo di carriera, l’aumento dello stipendio, una migliore capacità di parlare in pubblico, di apparire in tv, di gestire colleghi, collaboratori, capi, di essere più creativo e innovativo, di usare in modo migliore le leve motivazionali.

Oppure l’obiettivo è strettamente connesso alla performance aziendale: selezionare, guidare team di lavoro, riorganizzare la forza di vendita, ridefinire i perimetri operativi del marketing, dare impulso alle vendite all’estero, sviluppare nuovi brevetti, apportare cambiamenti di organizzazione, affiancare le new entry, attirare e trattenere talenti, affrontare controversie relazionali, migliorare le fasi di negoziazione e trattativa, focalizzare le migliori risorse su uno o pochi progetti essenziali. Occuparsi con l’imprenditore del passaggio consegne generazionale. Affiancare il cliente quando è determinato sulla necessità di cambiare abitudini e consuetudini aziendali e di comportamento.

Dott. Giulio ARDENGHI

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Ma chi è questo Business Coach?

Quarta puntata del viaggio di Infoiva, il Quotidiano online delle Partite Iva, nel mondo del Business Coaching, professione che da qualche tempo si sta diffondendo con successo anche in Italia. In collaborazione con il Dott. Giulio Ardenghi, uno dei pochi e qualificati Business Coach italiani.

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Il business coach solitamente è un manager con esperienze di linea, di gestione del personale, con esperienze in Italia e all’estero, per grandi gruppi, ma non solo, che ha ricoperto vari incarichi competenziali, che è stato almeno direttore di divisione e che conosce bene le dinamiche interne alle aziende.

Sa leggere gli organigrammi espliciti e impliciti, comprende i valori e i riti delle imprese, piccole o grandi. Unisce un’ampia e dimostrabile esperienza operativa sul campo e manageriale con un’approfondita conoscenza della psicologia applicata (di solito ha almeno un advanced master in PNL). A un certo punto della sua carriera ha deciso, in modo programmato, di cimentarsi con la libera professione, basandosi sulle sue competenze, sull’orientamento al risultato, reputazione, network, etica e rispetto della privacy.

Oggi i clienti iniziano a capire le differenze fra un business coach efficace e un millantatore. Il mercato sta agendo da selezionatore di molti improvvisati e incompetenti. Di quelli che sostengono come sia importante fare domande potenti e basta. Io affermo che oggi occorre anche dare risposte competenti e assicurare risultati duraturi, veloci e misurabili.

Non tutti possono fare i business coach. È di vitale importanza considerare anche l’aspetto personale del cliente che si ha di fronte e quindi una solida base di psicologia applicata, magari fatta di persona con un percorso di analisi, aiuta a rispettare il cliente, a coglierne le sfumature, le ritrosie, le paure, gli autoinganni e a elicitare in ogni caso quali sono le conseguenze e le responsabilità legate ai miglioramenti cui il cliente sta andando incontro.

Dott. Giulio ARDENGHI

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Business coaching: scopriamo assieme le sue origini

Terza puntata del viaggio di Infoiva, il Quotidiano online delle Partite Iva, nel mondo del Business Coaching, professione che da qualche tempo si sta diffondendo con successo anche in Italia. In collaborazione con il Dott. Giulio Ardenghi, uno dei pochi e qualificati Business Coach italiani.

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Il verbo “to coach” in inglese significa, addestrare, istruire, appare nel 1830-1 a Oxford ed entra poi nel mondo dello sport. Solo verso il 1950, grazie all’apporto di altre discipline (management, marketing, scienze sociali, etc.) assume una configurazione precisa con degli standard operativi.

I primi esempi di business coaching si hanno fra gli Anni ’30 e ’60, quando in grandi imprese americane si forma l’abitudine che i senior manager addestrino e seguano le giovani promesse e, in modo più allargato, quando impiegati con esperienza si dedicano al training dei neoassunti.

Difficile dire quando il business coaching sia arrivato in Italia. Sicuramente al seguito di qualche emerita multinazionale americana. Il primo problema che ha dovuto affrontare è stata l’ostilità verso il cambiamento di molte imprese italiane, che vedono come costo e non come investimento l’affiancamento di un business coach a un proprio manager per creare e sviluppare insieme un business model, per sviluppare nuove competenze atte a comprendere e sfruttare la complessità dei mercati, per accelerare quei processi di cambiamento necessari per restare sul mercato e competere senza inibizioni col resto del mondo.

Inoltre, le varie associazioni di coaching e, soprattutto, le scuole, oltre che contendersi il mercato dei corsi di coaching si sono poco impegnate a dare una definizione unica, precisa e condivisa del coaching.

Così, pur essendo in Italia una disciplina nuova, si è già segmentata in almeno 12 sottocategorie, mentre è riconosciuto in tutto il mondo che usa davvero il coaching che le aree d’interesse sono sostanzialmente 3: life coaching, motivational coaching e business coaching.

Il life coaching agisce col cliente privato affinchè raggiunga i propri personali obiettivi. Il life coach interviene sull’analisi dell’ambiente, delle risorse, delle convinzioni e sui comportamenti del cliente. Insieme tracciano un percorso di sviluppo atto ad arrivare in meta, non si occupa di psicopatologie.
Il motivational coaching in Italia è in mano ai magnifici 3, ovvero a tre grandi professionisti della motivazione di rottura, dell’exploit. Hanno modellato maestri e guru americani e svolgono un importante ruolo, oltre che di diffusione del coaching, di rottura di schemi cementati, sclerotizzati, infondendo fiducia in sé e autostima a professionisti, ma anche a un pubblico generico. Lavorano con gruppi anche numerosi.
Il business coaching, come già chiarito, agisce in ambito professionale, è orientato al raggiungimento di obiettivi misurabili e interviene, per sintesi, in situazioni che necessitano trasformazioni veloci e durature.

Dott. Giulio ARDENGHI

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