Evasione fiscale, quale paradiso scegliere

 

Se è vero, com’è vero, che le società italiane hanno nascondono nei più svariati angoli del pianeta una cifra di denaro evaso all’anno molto vicina al centinaio di miliardi di euro, una domanda sorge spontanea (per mera curiosità, ovviamente…): quali sono i paradisi fiscali più gettonati? E se, di primo acchito, ci verrebbe da rispondere qualche lontana isola caraibica, magari storpiandole il nome, dando un’occhiata alla lista venuta a galla nell’ambito di un’inchiesta sull’evasione della malavita organizzata in Lombardia, la sfilza di destinazioni offshore sorprende non poco.

Circa un quarto delle società di facciata emerse nelle indagini su casi di corruzione si trovano negli Stati Uniti; il doppio rispetto a quelle registrare a Panama e sette volte quelle presenti sul territorio delle Isole Cayman, la patria dei conti offshore nell’immaginario collettivo. E, sorprendentemente, le imprese lombarde preferiscono nascondere il proprio denaro nel Delaware, piccolo Stato sulla East Coast statunitense.

Solo nel 2013 la Lombardia ha registrato bonifici da e verso paradisi fiscali per una somma superiore ai 69 miliardi di euro (34 in uscita e 35 in entrata). «Molti imprenditori che in passato si erano creati un gruzzolo all’estero, ora sono in crisi di liquidità e fanno rientrare i capitali, autodenunciandosi all’Agenzia delle Entrate, che fa loro pagare imposte e sanzioni – spiega Andrea Ballancin, docente di Diritto tributario all’Università del Piemonte Orientale -. I movimenti con bonifico, tuttavia, sono quelli meno sospetti perché le banche, per legge, devono comunicare alla stessa Agenzia qualsiasi trasferimento superiore ai 15 mila euro».

JM

C’erano una volta i call center

 

Con il passare degli anni, e il perdurare della crisi economica, il call center è diventato sempre più emblema di precarietà e luogo di speranze e sogni interrotti. In tempi di magra, però, il call center è diventato anche l’ultima spiaggia per migliaia di giovani scoraggiati dal contesto economico circostante.Da qui l’urgenza del Governo di intervenire necessariamente per (cercare di) regolarizzare un settore-giungla avviato verso una corsa al ribasso senza precedenti e che sembrerebbe aver perso la propria immunità nei confronti della crisi economica.

Per questo motivo è stato avviato al MiSE un tavolo di settore  – a cui hanno partecipato il viceministro Claudio De Vincenti, il sottosegretario al Lavoro, Teresa Bellanova, le sigle sindacali di categoria, le associazioni datoriali e gli esponenti di ANCI e AGCOM – per cercare di preservare dalla crisi un settore che ad oggi conta almeno 80mila lavoratori.

«Il confronto in corso è positivo – hanno dichiarato i rappresentanti della Slc Cgil – ma bisogna passare dalle intenzioni ai fatti e dimostrare che, finalmente, il Paese ha superato le vecchie logiche del passato ed è in grado di produrre riforme che vadano incontro alle esigenze complessive. Il Governo deve decidere da che parte stare: se con chi propone la conservazione del sistema attuale che crea disoccupazione e costi sociali rilevantissimi (480 milioni la spesa prevista in ammortizzatori sociali e incentivi nel solo triennio 2012 – 2014) o con chi vuole riformare il sistema per portarlo a competere sulla qualità, sull’efficienza, sull’innovazione e sullo sviluppo».

La risposta del Governo è arrivata tramite una note del MiSE: «L’esecutivo è impegnato fino in fondo a tutela di un settore ad alta intensità di lavoro che attraversa un serio momento di crisi. Stiamo cercando di recuperare anche un solo posto di lavoro e, attraverso un utilizzo sapiente degli ammortizzatori sociali, di non perderne neanche uno».

JM

Call center ligure evade 2 milioni di euro

La Guardia di Finanza di Sarzana (La Spezia) ha scoperto un call center dal quale sembra emergere n’evasione previdenziale e contributiva per oltre due milioni di euro. Come se non bastasse l’esercizio impiegava la bellezza 389 lavoratori irregolari.

Dall’inchiesta delle fiamme gialle sarebbe emerso che i lavoratori venivano introdotti nell’azienda con il tipico “contratto di lavoro a progetto”, ma in realta’ esercitavano mansioni e compiti di lavoratori dipendenti assoggettati a vincolo di subordinazione da parte del datore di lavoro. Nei guai i quattro responsabili del call center ligure.