Scaldabagno elettrico: come scegliere quello che consuma meno

In questa rapida guida andiamo ad esplorare alcuni utili consigli per scegliere uno scaldabagno elettrico con minor consumo. Vediamo, dunque di seguito come scegliere il vostro scaldabagno e risparmiare in bolletta.

Scaldabagno elettrico, quale scegliere

Partiamo col dire di cosa si tratta, quando si parla di uno scaldabagno elettrico.

Lo scaldabagno elettrico non è altro che un serbatoio in cui va a confluire l’acqua da riscaldare, destinata ad uso sanitario, la cui temperatura può oscillare tra i 35°C e i 60°C in base al nostro fabbisogno domestico. 

Sostanzialmente, abbiamo due tipi di scaldabagno elettrico, ovvero quello istantaneo e quello per accumulo.

Vediamo nello specifico di cosa si tratta.

Scaldabagno elettrico istantaneo e per accumulo: le differenze

Possiamo ben dire che uno scaldabagno elettrico istantaneo è un apparecchio senza serbatoio e che quindi necessita di un minore spazio in quanto ha una dimensione molto più compatta e piccola, rispetto a quelli che funzionano per accumulo.

Quindi, per lo scaldabagno istantaneo il boiler permette di riscaldare immediatamente l’acqua senza accumularla, mentre per quello ad accumulo, il funzionamento dello scaldabagno avviene raccogliendo l’acqua all’interno del serbatoio per riscaldarla e mantenerla calda per un periodo di maggiore durata, al suo interno. 

Scaldabagno elettrico a basso consumo, come orientarsi

Dunque, addentriamoci nella modalità di orientarsi all’acquisto di uno scaldabagno elettrico.

Un acquisto simile implica costi abbastanza bassi non solo per la messa in opera ma anche per la manutenzione, dagli interventi piuttosto limitati. 

Il boiler elettrico, infatti, funziona in modo sostanzialmente autonomo per quanto riguarda un punto di vista energetico, non richiedendo l’uso di alcun combustibile per essere funzionante. 

Unica nota dolente è l’eccessivo consumo di energia elettrica ad esso collegato, strettamente necessario al riscaldamento dell’acqua, che, raggiunge solo così la temperatura desiderata. 

Spesso andare a comprare uno scaldabagno elettrico dalle dimensioni eccessive rispetto al fabbisogno domestico reale, unitamente ad un uso eccessivo di acqua a fronte di una riserva limitatapuò far risultare meno conveniente l’acquisto di questa tipologia di apparecchi e far aumentare i costi in bolletta. 

per questo è necessario capire come scegliere uno scaldabagno elettrico a basso consumo e orientarsi verso i modelli più adatti alle esigenze domestiche. 

Capacità e caratteristiche per scegliere uno scaldabagno elettrico

La capacità di uno scaldabagno è qualcosa di molto importante da prendere in considerazione in rapporto al proprio fabbisogno quotidiano. 

In rapporto al numero di componenti della famiglia o alle abitudini di consumo variano ovviamente anche i consumi, che ovviamente richiedono differenti capacità. 

Uno scaldabagno elettrico di dimensioni piccole ha una capienza che oscilla tra i 10 e i 30 litri, quindi risulta perfetto per un numero di circa tre persone, mentre per una famiglia numerosa sarà più consono optare per modelli più grandi, la cui capienza oscilla generalmente dai 50 agli 80 litri.

Per quanto sia evidente che uno scaldabagno più grande assicuri una maggiore capienza non sempre però lo stesso regala vantaggi in termini di spazio, rappresentando in alcuni contesti una soluzione scomoda e poco pratica da adottare. 

A tal proposito, è fondamentale analizzare attentamente l’orientamento di questi dispositivi al fine di adattarli al meglio al contesto abitativo ove verranno installati. 

Tra i modelli consigliati, quindi, per evitare problemi di spazio è possibile scegliere lo scaldabagno elettrico verticale o il modello orizzontale. 

Anche la presenza di un termostato in uno scaldabagno elettrico è di particolare importanza, per poter scegliere e modulare la temperatura preferita e limitare anche gli sprechi.

Personalizzare il funzionamento dell’apparecchio e riuscire a regolarlo per gestire il calore in base alle proprie esigenze è di fondamentale importanza per risparmiare in bolletta.

In ultimo, ma non ultimo, un timer è un altro strumento utile al consumo degli sprechi, così come la valutazione della classe di appartenenza.

La scelta più consigliata è acquistare modelli in classe A+++, i quali assicurano prestazioni ottimali permettendo di ridurre notevolmente i consumi energetici, ovviamente sempre con i dovuti accorgimenti di cui sopra, inerenti a sprechi e consumi.

Quanto consuma uno scaldabagno elettrico

Veniamo ad una delle più interessanti questioni dell’argomento, ovvero il consumo potenziale di uno scaldabagno elettrico.

Lo scaldabagno elettrico sostanzialmente è uno dei dispositivi domestici più dispendiosi di energia, quindi ottimizzarne l’uso è necessario per ridurre almeno un po’ il costo della bolletta. 

Per fare un esempio, un boiler elettrico in funzione per circa sei ore al giorno può arrivare a consumare fino a 2.000 kWh, portando un sostanzioso consumo di corrente.

Questo, dunque è quanto di più utile ed essenziale da sapere in merito alla riduzione di consumo di uno scaldabagno elettrico e come orientarsi nella scelta per acquistarne uno.

 

Famiglie ed imprese sfiduciate nei confronti del futuro

Il rapporto stilato da Censis-Confcommercio sulla fiducia di famiglie ed imprese nei confronti di una ripresa dell’economia interna ha riportato dati a dir poco sconcertanti.
Ciò che prevale, nella maggioranza degli intervistati è un sentimento di incertezza, che spesso sfocia in paura, per il futuro.

A conferma di ciò vi è un calo dei consumi che non si registrava dalla metà degli anni Novanta, e in continua flessione da ben quattro anni.
Mariano Bella, direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, ha dichiarato: “Con il livello attuale di fiducia di famiglie e imprese è impossibile una ripresa nel giro di qualche mese. Negli ultimi mesi il 23% delle famiglie ha avuto problemi con il mondo del lavoro, fatto che non può che influenzare poi il reddito e quindi la fiducia delle famiglie stesse“.

E le cose non migliorano per le imprese, in particolare per quelle che operano nel settore dei servizi e del commercio, mentre il manifatturiero sembra reggere, pur manifestando un certo affanno.
A peggiorare le condizioni delle imprese, si sa, è la questione, ormai insostenibile, dei finanziamenti: nel primo trimestre 2013 solo l’11,5% delle imprese ha chiesto un prestito e appena il 29,6% lo ha ottenuto. La percentuale di imprese finanziate è quindi in totale del 3,4%, un numero pressoché irrisorio che non permette al Paese di crescere.

Giuseppe Roma, direttore del Censis, vede come fenomeno più rappresentativo della crisi la diminuzione della capacità di risparmio delle famiglie: solo il 12% riesce a mettere qualcosa da parte contro il 17% costretto ad erodere i propri risparmi e il 71% che riesce ad essere in pari.
Per tirare avanti il 43,6% delle famiglie usa i risparmi accumulati in passato, ma soprattutto si posticipano i pagamenti (la relativa percentuale è passata dal 13 al 32%). Si chiede poi un prestito in banca (il 6,4%) o ad amici (il 26,5%).

Continua Roma: “il vero crollo dei consumi c’è stato nel 2012 e oggi viviamo la crisi più lunga della storia italiana che ha fatto bruciare 114 miliardi di Pil“.
I consumi non crescono “perché si deteriora il mercato del lavoro: il 12% delle famiglie ha un componente che teme di perdere il lavoro e il 30% dei lavoratori dipendenti ha visto diminuire il proprio reddito. Il sentimento delle famiglie è di grande difficoltà e deriva soprattutto dalla preoccupazione per la condizione lavorativa. Per la ripresa dei consumi bisogna saper contare sulla capacità di reagire delle famiglie italiane. Quindi più politica per le imprese, ma anche più politica per le famiglie“.

Vera MORETTI

Confcommercio boccia l’aumento dell’Iva

Dopo avere ripetutamente dichiarato che il primo obiettivo della spending review e della legge di stabilità sarebbe stato quello di evitare, a partire dal prossimo mese di luglio, l’aumento di due punti percentuali delle aliquote IVA, il Governo ha deciso, nella seduta del Consiglio dei Ministri di ieri conclusasi a notte avanzata, di procedere alla riduzione di un solo punto dei programmati aumenti IVA e, contestualmente, di ridurre di un punto l’aliquota Irpef sui primi due scaglioni di reddito. E’ il caso di dire che la notte non ha portato consiglio“.

Bocciata su tutta la linea da parte di Confcommercio-Imprese per l’Italia la manovra elaborata dal Governo con la Legge di Stabilità che prevede un incremento per le aliquote Iva dal primo luglio 2013 dal 21 al 22%, per l’aliquota ordinaria e dal 10 all’11% per l’aliquota agevolata, cui fanno da contraltare le riduzioni delle aliquote Irpef dal 23 al 22% per il primo scaglione (fino a 15.000 euro) e dal 27 al 26% per il secondo scaglione (da 15.001 euro a 28.000 euro).

Per Confcommercio si tratta, infatti, di un duplice errore di metodo e di merito: di metodo, perché gli obiettivi fondamentali dell’azione di politica economica del Governo non possono essere repentinamente rimessi in discussione; di merito, perché l’aumento dell’aliquota IVA del 10 per cento all’11 % e dell’aliquota Iva del 21% al 22 %, in un contesto ancora pienamente recessivo e segnato dall’estrema debolezza della domanda interna, genererà effetti pesantissimi a carico dei consumi e degli investimenti, delle imprese e dell’occupazione. Effetti che non saranno neppure compensati dalle riduzioni IRPEF, posto che gli aumenti IVA incideranno maggiormente proprio sugli scaglioni di reddito più bassi, a partire dai soggetti fiscalmente incapienti”.

Secondo le stime elaborate da Confcommercio l’aumento dell’Iva comporterà nel 2014 una perdita dei consumi correnti tra 5 e 7 miliardi di euro. In particolare i 5 miliardi ‘guadagnati’ dalla riduzione delle imposte dovute all’Irpef verranno largamente mangiati dall’incremento dell’Iva, che su base annua si aggirerà attorno ai 7 miliardi di euro. In questo scenario, destinata a crescere infatti è l’inflazione:la modificazione di tutti i prezzi dovuta all’incremento dell’Iva, che comporterà un gradino di 8 decimi di punto nel luglio 2013, per un’inflazione che passerà nella media del 2013 dal previsto +1,8% a +2,2%, ridurrà il valore, in termini di potere d’acquisto, di tutti i risparmi attualmente detenuti dalle famiglie – continua Confcommercio. – E’ verosimile una riduzione dei consumi nel 2013 rispetto allo scenario di base (-0,8%) di un ulteriore decimo di punto (quindi a -0,9%). Ovviamente gli effetti sul 2014 sono ben peggiori e quantificabili complessivamente in 3-4 decimi di punto (da +0,5 a +0,1-0,2%). L’inflazione nel 2014 passa dal 2,0% dello scenario di base a 2,4% dello scenario con incremento Iva”.

L’inasprimento dell’aliquota IVA ridotta penalizzerà poi prodotti alimentari, e ricadrà a domino sull’impresa turistica e sul settore delle ristrutturazioni edilizie: “evidentemente il Governo non ha considerato che i turisti stranieri non godono della riduzione delle nostre aliquote Irpef mentre dovranno pagare di più per i prezzi interni che cresceranno perché l’Iva aumenta dal 10% all’11%” sottolinea Confcommercio.

Il presidente di Confcommercio-Imprese per l’Italia Carlo Sangalli ci tiene poi a sottolineare che la decisione dell’aumento dell’Iva non è stata discussa tra Governo e parti sociali: per ridurre la pressione fiscale, che in Italia pesa per il 55%, la via maestra da perseguire è quella della lotta all’evasione e all’elusione fiscale,così pure devono andare avanti i processi di dismissione del patrimonio pubblico e le semplificazioni per abbattere la tassa della burocrazia”. La strada per la crescita è ancora lontana.

Alessia CASIRAGHI

Unioncamere: piccole imprese a rischio

Unioncamere suona la sveglia. O lancia l’allarme, decidete voi. Nell’appuntamento con il suo Rapporto, Unioncamere rileva infatti – non che non lo sapessimo… – che questo 2012 sarà molto difficile per le piccole imprese. Nel Rapporto si prevede infatti che saranno soprattutto le piccole imprese, quelle con meno di 10 dipendenti, a essere penalizzate dal difficile contesto economico, in quanto più strettamente legate ai consumi interni. Tanto che per fine anno Unioncamere prevede quasi 62mila posti in meno per la classe di aziende 1-9 dipendenti, oltre 33mila unità in meno per le aziende da 10 a 49 dipendenti e alle -35mila per le imprese di 50 dipendenti e oltre. Insomma, la spina dorsale della nostra economia sarà colpita duro.

E non andrà meglio alle famiglie. I loro consumi sono infatti previsti in calo del 2,1% e la spesa per gli investimenti del 3,8%; a fronte di un calo medio del Pil dell’1,5%, saranno le regioni del Sud a pagare il prezzo più alto della crisi, con un decremento medio dell’1,8%. Sempre secondo il Rapporto, il segno più tornerà solo nel 2013 con un incremento del Pil dello 0,8%, sempre con una crescita più contenuta al Sud dove si prevede un +0,2%.

Come fare per assorbire meglio i colpi da parte delle imprese? Il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, ha avanzato alcune proposte presentando i dati del Rapporto 2012. Possibilità di ammortizzare gli investimenti aggiuntivi in tre anni; un patto tra governo e Camere di commercio per portare sui mercati internazionali altre 10mila imprese nei prossimi 3 anni; una disciplina speciale che impedisca il fallimento delle imprese causato dai ritardi nei pagamenti della PA e un rinvio dei pagamenti Iva e Irap per i primi due anni di attività delle nuove imprese. Basteranno? Di sicuro, se applicati saranno più utili della spending review del governo…

Piccoli negozi in difficoltà, Confesercenti preoccupata

La GDO e i discount soffocano i piccoli negozi. Quella che oramai da anni è in realtà una “non notizia”, traspare oggi ancora di più dai dati pubblicati dall’Istat relativi alle vendite al dettaglio nel mese di agosto, che su base annua hanno registrato un calo dello 0,9% per le imprese operanti su piccole superfici, mentre sono cresciute dello 0,5% nella grande distribuzione, dove hanno fatto da traino i discount di alimentari (+3,5%).

Confesercenti mette in guardia: “Le vendite ad agosto confermano che i consumi vanno peggio delle previsioni: a fine anno, se continua così, avremo almeno 65mila chiusure di esercizi commerciali, un salasso di 150mila posti di lavoro in meno e l’aumento della desertificazione dei centri urbani“, scrive l’associazione in una nota.

Vero è che tra i dati Istat non mancano note positive. Ad agosto 2011 l’indice destagionalizzato delle vendite al dettaglio ha segnato una variazione pari a 0 su base mensile, mentre nella media del trimestre giugno-agosto, rispetto ai tre mesi precedenti, il risultato resta negativo (-0,4%). Per quanto riguarda le vendite di alimentari, l’Istat ha registrato un aumento dello 0,3%, invece quelle di non alimentari sono diminuite dello 0,1%. In termini tendenziali, quindi, il calo dello 0,3% è dovuto a un rialzo dell’1,6% per il settore ‘food’ e di una flessione dell’1,2% per il ‘non food’.
 
Le vendite di prodotti per la tavola hanno segnato una buona performance, soprattutto nella grande distribuzione (+2,6%). Relativamente ai non alimentari, ad agosto 2011 le variazioni negative maggiori entità riguardano supporti magnetici, strumenti musicali (-7,3%) e calzature, articoli in cuoio e da viaggio (-4,8%). Il comparto che registra l’aumento più forte è quello dei giochi, giocattoli, sport e campeggio (+0,4%).

Giù anche l’indice di fiducia dei consumatori, che a ottobre si attesta a 92,9 contro i 94,2 di settembre. Il clima di fiducia migliora nel Nord, in particolare nel Nord-est, e cala nel Centro-sud. A livello nazionale, però, la flessione è diffusa a tutte le componenti e risulta particolarmente forte per l’indice che misura il complesso delle attese a breve termine (giù da 85,5 a 81,8). L’indice del clima economico cala da 78,3 a 75,6, mentre quello relativo alla situazione personale scende da 100,6 a 98,6. Peggiorano le valutazioni presenti e prospettiche sulla situazione del Paese, i giudizi sulla situazione economica della famiglia e le previsioni di risparmio. I saldi dei giudizi sull’evoluzione recente dei prezzi al consumo e quelli delle previsioni sulla loro dinamica futura registrano però, nel complesso, un aumento rispetto al mese precedente.

Commercio al dettaglio: in un anno calo del 2%

Mobili, articoli tessili ed arredamento. Secondo l‘Istat sono questi i settori ad aver registrato nell’ultimo anno una contrazione nelle vendite al dettaglio maggiore. I dati raccolti nell’ultimo rapporto sulle vendite al dettaglio per i beni di consumo non alimentari attinenti al mese di luglio 2011 mostrano un calo congiunturale dei consumi del 2,06% rispetto allo stesso mese del 2010.

Il rapporto ha riscontrato un calo significativo delle vendite delle principali componenti merceologiche del vestire, arredare e benessere. Se al primo posto fra i settori che hanno registrato una più marcata riduzione dei consumi figurano mobili, articoli tessili ed arredamento, scesi in un anno del 3,2 %, la medaglia d’argento spetta ai prodotti di gioiellerie e orologerie, con un -2% nel 2011. Negativi anche i valori per i settori del vestire: abbigliamento e pellicceria in un anno hanno perso un -1,9%, come anche le calzature, articoli in cuoio e da viaggio scesi del -1,8%. Fanalino di coda i prodotti di profumeria e cura della persona che, dopo un trend positivo negli scorsi anni, hanno visto ridurre nel 2011 le vendite del -1,4%.

La riduzione del clima di fiducia dei consumatori ha contribuito alla contrazione delle vendite, che a settembre 2011 sono scese a 98,5 rispetto al 100,3 del mese di agosto. A peggiorare la situazione sono poi le valutazioni, presenti e prospettiche, sulla situazione economica del paese e della famiglia, nonché i giudizi sul bilancio familiare e sull’opportunità del risparmio.

L’aumento dell’Iva al 21% introdotto dalla nuova Finanziaria rischia inoltre, secondo l’Ufficio Studi di Confcommerciodi bloccare qualsiasi tentativo delle famiglie di reagire alla crisi. E’ dunque prevedibile per i consumi un peggioramento nel terzo e quarto trimestre che comporterà un ulteriore indebolimento delle prospettive di sviluppo dell’economia.”

Alessia Casiraghi