Skechers, il franchising delle calzature

Per chi vuole lavorare nel settore dell’abbigliamento, e in particolare delle calzature, c’è un brand che se ne occupa dal 1992 ed è attivo in 100 Paesi nel mondo.
Si chiama Skechers, presente a livello internazionale in circa 1000 punti vendita, e propone i marchi di scarpe più conosciuti.

Per questo, entrare a far parte di questo team potrebbe rivelarsi una scelta vincente, specialmente per chi vuole mettersi in proprio gestendo un negozio.
In questi casi, soprattutto se non si ha esperienza pregressa nel settore, affidarsi ad un marchio conosciuto garantisce maggiori margini di successo, anche grazie ad un team di esperti che segue i nuovi affiliati in tutte le fasi dell’avvio dell’attività.

Per ricevere ulteriori informazioni, è possibile collegarsi al sito Skechers.

Primigi, il franchising delle calzature

Anche i marchi più conosciuti sono presenti su territorio nazionale con negozi in franchising.
Un esempio? Primigi, i cui store appaiono nei principali centri commerciali ma anche nelle vie del centro città.

Diventare franchisee di questo brand non è troppo complicato.
Ecco cosa viene richiesto:

  • Superficie media: 140 mq.
  • Bacino d’utenza Superiore a 20.000 abitanti
  • Ubicazione ottimale: Centri Commerciali, storici, vie e gallerie commerciali principali e di buon transito pedonale.
  • Personale richiesto: Centri Commerciali almeno 4 commesse, Centri Storici almeno 2 commesse
  • Investimento iniziale: Min 400/Max 800 euro al mq
  • Fidejussione bancaria: 50.000 euro
  • Pagamento arredo/allestimento: Leasing
  • Fee d’ingresso: non richiesto
  • Royalties: non richiesta
  • Durata contratto 6 anni

Per ricevere ulteriori informazioni, è possibile collegarsi al sito Primigi.

Vuoi lavorare all’estero? Ecco l’occasione per te!

Un’azienda di Udine affermata nel settore calzaturiero è alla ricerca di tre international agents high fashion shoes, ai quali saranno assegnate, come aree di competenza, USA, Sud America ed Asia.

Ai candidati sarà richiesto di occuparsi dell’acquisizione, dello sviluppo e della gestione dei clienti nelle aree assegnate, gestendo trattative, preventivi e offerte, partecipando attivamente alle fiere del settore.

Le risorse verranno coinvolte nell’attività di marketing e nella promozione dei prodotti aziendali e dovranno possedere le giuste competenze per risolvere eventuali problematiche relative al territorio di competenza.

Tra i requisiti indispensabili:

  • Consolidata esperienza nel settore dell’alta moda uomo.
  • Ottima conoscenza della lingua inglese e possibilmente anche di una seconda lingua.
  • Possesso della Partita Iva e iscrizione Enasarco.

Per saperne di più, BiancoLavoro.it.

Il Made in Italy sfila a Pechino

E’ in corso da ieri, e terminerà domani, la 21esima edizione della CHICChina International Clothing & Accessories Fair di Pechino, la fiera che, come ogni anni, si rivolge ai produttori di abbigliamento uomo/donna/bambino, calzature ed accessori moda.
Tra i partecipanti, ben 73 aziende sono italiane e sono approdate alla CHIC nell’ambito della collettiva organizzata da ICE.
In tutto, i marchi italiani esposti sono 89 e presenteranno le collezioni autunno/inverno 2013-2014 e provengono dalla gran parte delle Regioni d’Italia.

Per essere presente con le creazioni Made in Italy per l’edizione 2013, l’Agenzia ICE aveva posto le fondamenta già nel 2002, attraverso azioni di immagine per favorire la penetrazione del mercato da parte dei produttori di fascia medio-alta, che fnalmente si sono trovati un posto in un mercato finora occupato quasi esclusivamente dai grandi marchi.

La CHIC è suddivisa in otto padiglioni di cui sei dedicati a abbigliamento uomo; casual e sportivo; pelle e pellicceria; bambino accessori e stampa di settore; donna; due padiglioni internazionali.
Le due Hall internazionali (W1-W2) accoglieranno la presenza dei padiglioni riservati a Italia, Francia, Korea, Germania, Stati Uniti d’America e Giappone.

La collettiva organizzata dall’Agenzia ICE è collocata nel padiglione Internazionale W2 su un’area di oltre 2.200 mq. L’area italiana comprende, oltre alla zona dove sono collocate le aziende, anche un’area animazione moda in cui cinque volte al giorno sfileranno a turno i capi delle aziende italiane espositrici.

Contemporaneamente alla CHIC, si sta svolgendo, sempre a Pechino, e sempre presso il China International Exhibition Centre, Milano Unica in Cina, il grande evento fieristico dedicato al settore dei tessuti INTERTEXTILE-PECHINO 2013.
La Fiera che si svolge con cadenza semestrale nelle due edizioni di Pechino (marzo) e Shanghai (ottobre) è organizzata dal 1995 dal “Sub-Council of Textile Industry CCPIT -China Council of Promotion of International Trade”, Messe Frankfurt HK e China Textile Information Centre e ha acquisito un’importanza sempre maggiore negli anni fino a diventare la più importante fiera del tessile a livello mondiale.

A questo appuntamento partecipano i produttori di materiali naturali e sintetici (cotone, seta, lino, tessuti a maglia, artificiali e spalmati), ma anche le aziende produttrici di accessori e forniture e imprese di servizi del settore.
Nel 2012 l’importazione di tessuti in Cina ha raggiunto 8.8 miliardi di USD e il nostro paese si è aggiudicato circa il 5.1% del mercato con vendite per 448 milioni di USD, in calo del 1.4% rispetto al 2011.

Vera MORETTI

Calzature, l’Italia scommette sugli Usa

Il calzaturiero italiano si è presentato negli Stati Uniti in splendida forma a fine febbraio, quando Anci ha accompagnato per la prima volta 22 aziende del settore alla fiera FN PLATFORM, nel Las Vegas Convention Center. In mostra le collezioni autunno/inverno 2013-2014 di calzature e pelletteria fine e medio-fine.

L’iniziativa, che si inserisce nella strategia di Anci volta a favorire momenti di business concreti con gli operatori del settore e porre le basi di rapporti commerciali duraturi e proficui, ha costituito un’occasione per incrementare la diffusione del made-in-Italy e guadagnare spazio all’interno del mercato statunitense che, nonostante i venti di crisi, rappresenta tuttora uno dei bacini economici di maggiore interesse per il prodotto italiano. La fiera FN PLATFORM è stata organizzata in partnership con Footwear News e ha attratto più di 600 espositori con oltre 1.600 marchi, rappresentando un vero punto di incontro dell’intera area nord americana.

La partecipazione della collettiva italiana è stata valorizzata non solo dalle attività promozionali previste in avvicinamento, durante e dopo la fiera, dirette sia alla stampa sia agli operatori del settore, ma anche dal layout espositivo degli stand dedicati ai brand, ideato e declinato secondo un design innovativo e identificativo dell’identità italiana, da sempre apprezzata oltreoceano.

Inoltre, durante la fiera, Anci ha offerto momenti di incontro e approfondimento, con la presentazione delle tendenze made-in-Italy da parte di un consulente moda esperto.

Nei mesi da gennaio a settembre 2012, il totale delle esportazioni di calzature made-in-Italy negli Stati Uniti ha raggiunto la soglia di 9 milioni e227mila paia, per un valore complessivo di quasi di 555 milioni di euro, il 7,5% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Gli Stati Uniti si confermano, così, il terzo mercato in valore e salgono al quarto in volume nella graduatoria dei Paesi di destinazione 2012.

I primi nove mesi del 2012 rappresentano la conferma che negli Stati Uniti le scarpe italiane hanno raggiunto e superato in valore i livelli pre-crisi del 2008, come peraltro era già successo nello stesso periodo del 2011. Si rimane tuttavia molto distanti per quanto riguarda i valori pre-crisi in volume, 11.4 milioni di paia, mancando all’appello ancora circa 2 milioni di paia.

Negli ultimi quattro anni, quindi, vi è stata una chiara svolta, da parte dei produttori italiani, verso un prodotto a più alto valore aggiunto, essendo salito il prezzo medio di esportazione a oltre 60 euro, con un incremento complessivo del 34%.

Le regioni italiane che nei primi nove mesi del 2012 hanno esportato di più nel mercato statunitense sono la Toscana, con quasi il 40% del totale calzature esportato e Lombardia, Veneto e Marche che rappresentano ciascuna circa il 15%. Di queste prime quattro regioni, solo Toscana, Veneto e Marche hanno avuto variazioni positive, con incrementi in valore di oltre il 22%. Viceversa, la Lombardia, seconda regione per export negli Usa, ha subìto un calo dell’1,4%.

Scarpe italiane? Da!

Non c’è niente da fare. Luogo comune o no, il mercati del Paesi Bric sono quelli che, per la calzatura italiana, rappresentano un salvagente irrinunciabile in questo momento di congiuntura economica negativa.

Nei giorni scorsi abbiamo già parlato di theMICAMshanghai, che si terrà nella metropoli cinese dal 9 all’11 aprile 2013. Prima però, toccherà alla Russia con la fiera Obuv’ Mir Koži, in programma dal 18 al 21 marzo su una superficie totale di 5.400 metri quadrati all’interno dei padiglioni espositivi dell’Expocentr, il centro fieristico più importante di Mosca. Nell’occasione, saranno 222 le imprese dei settori calzatura e pelletteria italiani che esporranno nella capitale russa.

La rassegna è un evento di riferimento per gli operatori del settore, l’appuntamento dedicato alla calzatura del prodotto medio-alto e alto in Russia, che in questa prima edizione del 2013 mette in mostra le collezioni autunno/inverno 2013-2014. La caratteristica di queste collezioni è che si tratta di prodotti progettati e realizzati ad hoc per soddisfare le esigenze del mercato russo, soddisfacendo così le richieste di buyer e professionisti del settore provenienti anche dall’intera area delle ex repubbliche sovietiche.

Organizzata da Anci e Fairsystem, società del gruppo BolognaFiere, durante la scorsa edizione la rassegna ha accolto 8mila operatori provenienti non solo dall’intera Russia, ma anche dalle vicine Bielorussia, Ucraina e Paesi dell’Asia Centrale. La prossima edizione si preannuncia, come le precedenti, all’insegna dell’ampia partecipazione, sia da parte delle aziende italiane sia degli operatori. Obuv’ Mir Koži è riconosciuta come grande occasione di business, anche in considerazione dei positivi dati economici relativi alla regione.

Russia e Paesi dell’area Csi, infatti, riescono danno ancora performance incoraggianti. Nel periodo gennaio – settembre 2012, le esportazioni italiane di calzature in Russia hanno raggiunto gli oltre 6,1 milioni di paia (+9,7% rispetto allo stesso periodo del 2011), generando un valore pari a 487 milioni di euro (+14,9% rispetto ai primi nove mesi del 2011). Stesso andamento positivo anche per il prezzo medio dei prodotti esportati, pari a 79,8 euro al paio (+4,7% rispetto allo stesso periodo del 2011).

Se si considerano i Paesi dell’Est Europa e dell’area Csi, salgono a oltre 11,5 milioni le paia esportate e a oltre 666 milioni di euro i valori fatturati nei primi 9 mesi del 2012. Gli incrementi percentuali, 6,9% e 12,2% rispettivamente, sono in linea con quelli del solo mercato russo. La differenza più significativa è, invece, in termini di prezzo medio, che raggiunge i 58,2 euro al paio a causa dei prezzi di vendita nei Paesi della ex-Jugoslavia nettamente più bassi rispetto ai mercati dell’area Csi.

Diverse le attività collaterali alla manifestazione organizzate da Anci, tra cui una campagna pubblicitaria focalizzata sul made in Italy e che andrà in onda sui principali canali satellitari, incoming di operatori dalle regioni russe e la continua attività di ufficio stampa volta a dare sempre maggiore visibilità all’evento e alle aziende che vi partecipano.

Insomma, le imprese calzaturiere, passateci il termine, si “sbattono” e non poco per dare un senso e un futuro al proprio business. Quando vedremo un pari supporto a questo tassello importante dell’economia italiana da parte di fisco e istituzioni?

Calzature, quattro passi nella crisi

L’Italia è il centro di gravità mondiale della calzatura e il Micam è il grande evento nel quale si celebra l’eccellenza di questo prodotto tricolore. Un’eccellenza fatta da una filiera che, come tante altre, soffre questo momento di crisi; ecco allora che il Micam è un barometro attendibile per verificare “il tempo che fa” sul mondo della scarpa italiana.

L’edizione 2013 ha visto 1.538 aziende espositrici su una superficie di 68mila metri quadrati, visitati da 35.389 persone, a fronte delle 36.049 di marzo 2012. Gli operatori internazionali provenienti da oltre 100 Paesi sono stati 19.181. Ma l’appuntamento milanese non si è svolto sotto i migliori auspici.

L’economia reale non ha il suo spread quotidiano che sta lì a ricordarci quello che avviene nelle imprese e ai lavoratori – ha affermato il presidente di Anci Cleto Sagripanti -. Però i numeri che emergono dal preconsuntivo elaborato da Anci non lasciano dubbi sul momento di difficoltà per il settore. Nonostante i buoni risultati degli anni post crisi, 2010-2011, oggi dobbiamo commentare dati non soddisfacenti in relazione agli sforzi che hanno fatto e stanno facendo le aziende sui prodotti e sugli strumenti commerciali“.

Il quadro che emerge è quindi preoccupante laddove il barometro della congiuntura nel 2012 è tornato a registrare turbolenza: la fase recessiva nazionale ha avuto un impatto sul reddito disponibile, sul clima di fiducia delle famiglie e sugli acquisti, finendo per interrompere il rimbalzo positivo dell’ultimo biennio. Alla contrazione dei consumi nazionali si è aggiunta la frenata, a volte molto brusca, dei mercati Ue, che assorbono ancora il 54% del fatturato estero delle imprese calzaturiere.

Il mercato non aspetta – ha detto ancora Sagripanti, eppure questa convinzione sembrano averla solo le imprese e i lavoratori, se guardiamo ai temi dibattuti in campagna elettorale. L’economia reale, quella che da anni attende risposte sul cuneo fiscale e sull’Irap, sembra essere utile solo quando è fonte di reddito fiscale oppure quando serve a coprire i buchi di bilancio. L’ingovernabilità pesa non soltanto sui mercati finanziari ma anche sulle imprese, e in particolare quelle calzaturiere che da anni attendono risposte efficaci. Il nostro spread lo misuriamo, infatti, nelle cifre negative dell’occupazione, con un calo di addetti di 1.671 unità, pari al -2,1%, rispetto al 2011. Il nostro spread lo misuriamo guardando il trend sfavorevole nel numero di imprese attive, scese a 5.356, ovvero 250 calzaturifici in meno rispetto allo scorso anno. E altre potrebbero non raggiungere la chiusura del bilancio di quest’anno“.

Nonostante il quadro negativo, il settore calzaturiero nel suo complesso dà un contributo importante al Paese: il saldo commerciale nei dati preconsuntivi raggiungerebbe i 3,8 miliardi di euro, con un aumento del 12,6% rispetto al 2011. Ciò è dovuto non solo alla tenuta delle esportazioni, soprattutto trainate dalle vendite nei Paesi extra-UE, ma anche da una forte frenata delle importazioni. A preconsuntivo l’import scenderebbe a 302 milioni di paia per circa 3,8 miliardi di euro con un calo rispettivamente del 15,6% e del 5,3%.

Se l’import rallenta, le stime di preconsuntivo ci offrono uno scenario a luci ed ombre per le esportazioni. È vero che l’export in valore crescerebbe del 2,8% portando il fatturato estero complessivo a oltre 7,6 miliardi di euro, ma in volume le vendite calerebbero di un significativo 6,2%, collocando i flussi complessivi a 214,8 milioni di paia. Un risultato del genere è peraltro il frutto di andamenti più positivi, in valore, del primo semestre rispetto a quelli del secondo semestre, nonostante il dinamismo degli ultimi tre mesi dell’anno. Gli ultimi dati Istat disponibili, che riguardano i primi undici mesi del 2012, dicono che l’incremento si attesta al 3,1% in valore, raggiungendo la cifra record di 7,1 miliardi di euro, pur con una flessione del -6,3% in quantità.

Le imprese – ha detto ancora Sagripantihanno investito di più in creatività e proposte innovative, ma hanno anche saputo integrare all’antico sapere industriale e creativo quello commerciale e di servizio al cliente. Per questo, il settore ha bisogno di supporti maggiori sia sul fronte della defiscalizzazione delle spese di campionario sia sul fronte della promozione. Non dimentichiamoci che per ogni modello pensato è necessario fare un numero di campionari che è almeno pari al numero di mercati in cui esportiamo. Quanto più cresciamo all’estero e tanto più questa voce pesa sul bilancio delle imprese, quanto più siamo creativi e tanto più facciamo i conti con questo costo”. Chi ha orecchie per intendere, intenda

Calzature, un 2012 tra luci e ombre

di Davide PASSONI

Si è da poco concluso, in Fiera a Milano, il Micam, la più importante fiera calzaturiera d’Italia e, probabilmente, d’Europa. Un appuntamento che serve, oltre che a fare business e a mettere in vetrina l’eccellenza delle scarpe made in Italy, a misurare lo stato di salute di un settore chiave per l’economia italiana. Un settore che è l’espressione esatta di ciò che significa impresa in Italia: migliaia di piccole realtà artigianali, poche realtà più strutturate, un indotto che, spesso coincide con quello del territorio nel quale l’azienda opera, un’altissima qualità del prodotto e della manodopera impiegata per realizzarlo.

Se dall’appuntamento milanese è emerso un aumento di visitatori e, quello che più conta, di buyer stranieri – da Russia, Estremo Oriente, Francia e repubbliche ex sovietiche il maggior numero di compratori esteri -, restano comunque i dati sotto i quali il Micam si è aperto e con i quali ha dovuto fare i conti durante i giorni di fiera. Parliamo di un analisi elaborata da Diomedea per conto di Anci sull’andamento del comparto calzaturiero italiano nel 2012. Un bilancio tra luci e ombre, nel quale le ombre devono far riflettere.

Lo scorso anno il fatturato del comparto è stato di 7,1 miliardi di euro, con una flessione dell’1,4% in valore rispetto all’anno precedente; la produzione, invece, si attestata al di sotto dei 200 milioni di paia, con un calo del 4,1% rispetto al 2011. Import ed export hanno registrato andamenti contrastanti. Se le importazioni sono scese in valore del 5,3% e in volumi del 15,6% (dato preoccupante…), l’export, vera locomotiva della nostra economia, ha avuto delle curve schizofreniche: cresciuto
del 2,8% in valore, ha invece fatto registrare un calo del 6,2% in termini di volumi, specialmente a causa del calo della domanda interna (-3,8%) e di quella di alcuni Paesi europei tra i quali, insospettabilmente, la Germania, calata dell’8,5%. Fortunatamente la forte domanda dall’area Bric ha fatto “tenere” l’export verso alcuni mercati chiave (Cina-Hong Kong +27,6%, Russia +14,7%), ma il trend non è bastato per mantenere, in Italia, i livelli di occupazione: secondo l’Anci, lo scorso anno hanno chiuso circa 250 aziende del settore, che ora conta su poco più di 5300 imprese attive (5356).

Un dato preoccupante, che però il “sistema scarpa” italiano sta cercando di rendere meno amaro con operazioni di promozione forte della calzatura italiana all’estero. Va in questa direzione l’imminente theMicamShanghai, appuntamento nato dall’accordo con Fiera Milano che potrebbe estendersi agli Stati Uniti; intanto, però, dal prossimo 9 aprile sarà nella metropoli cinese in concomitanza con la Shanghai Fashion Week e vedrà nei padiglioni 240 espositori, metà dei quali stranieri. Se l’export è il salvagente cui aggrapparsi aspettando tempi migliori, iniziative come queste sono solo da appoggiare. Perché a fine 2013 non vorremo trovarci di nuovo a fare la triste conta delle imprese calzaturiere fallite.

Siamo ancora i più bravi a fare le scarpe al mondo? Luci e ombre della filiera della calzatura

di Davide PASSONI

Sarà anche un’espressione abusata, ma come facciamo noi italiani le scarpe al mondo, non le fa nessuno. L’industria calzaturiera italiana è infatti, a nostro parere, la più importante e la migliore del globo. Migliore in termini di materiali utilizzati, capacità produttiva, capacità di innovazione e maestria artigianale.

Come tutte le filiere industriali e artigianali, però, anche quella della calzatura è in sofferenza a causa di una crisi che non smette di mordere, della dimensione spesso troppo familiare delle imprese produttive, di una concorrenza, specie dai Paesi dell’Estremo Oriente, fatta di prezzi bassi, materiali scadenti, qualità sotto standard accettabili.

Anche per quanto riguarda la filiera della calzatura, purtroppo, il film è uno di quelli già visti: scarsa attenzione da parte di chi dovrebbe tutelarne il valore e la capacità competitiva, difficoltà a venire a capo di una fiscalità e di una burocrazia che, non bastassero il crollo dei consumi e l’aggressività della concorrenza estera, impedisce qualsiasi sviluppo industriale sano, incapacità cronica di fare sistema che fa sì che quasi mai si remi nella stessa direzione. C’è comunque da sottolineare che, su quest’ultimo punto, l’Anci – l’Associazione Nazionale Calzaturifici Italiani – da anni svolge un’opera meritoria per cercare di compattare le fila della nostra industria per meglio spenderne il valore all’estero.

Resta però ancora molto da fare anche perché, stando a quanto emerso dal recente Micam di Milano – la più importante fiera calzaturiera d’Italia e, probabilmente, d’Europa -, i segnali che vengono dalla nostra industria delle scarpe sono contrastanti e la contrazione dell’export nel 2012 non lascia per nulla tranquilli. Ecco, proprio sulla scorta di quanto uscito dal Micam, Infoiva ha deciso di puntare i propri fari, questa settimana, su questo settore chiave per la nostra economia. Per capire, dalla voce di alcuni protagonisti del settore, se ancora noi italiani siamo maestri nel fare le scarpe agli altri o se questi altri ce le stanno facendo senza che ce ne accorgiamo.