Canone alle aziende, la Rai fa dietro front

È della scorsa settimana la notizia che anche le aziende avrebbero dovuto pagare il canone Rai 2012 perché proprietari di pc, smartphone, tablet e apparecchi che potrebbero permettere la visione e diffusione di programmi televisivi, anche se effettivamente le aziende non erano in possesso di televisiori sul luogo di lavoro.

Nemmeno a dirlo la notizia ha subito fatto scalpore suscitando proteste e reazioni da parte delle associazioni dei consumatori di categoria e del popolo della rete. Bene, la buona notizia è che, di fronte al polverone sollevato, la Rai ha deciso di far dietro front. Alleluja.

Oltre alle formali interrogazioni parlamentari per fare chiarezza sulla situazione e per chiarire la portata e i limiti della norma del canone vigente dal 1938, ieri i vertici Rai si sono incontrati presso il ministero dello Sviluppo, a seguito del quale è stata diramata una nota ufficiale, nella quale è possibile leggere che “La Rai non ha mai richiesto il pagamento del canone per il mero possesso di un personal computer“.

Ancora, si fa presente che questa decisione “limita il campo di applicazione del tributo ad una utilizzazione molto specifica del computer rispetto a quanto previsto in altri Paesi europei per i loro broadcaster (Bbc) che nella richiesta del canone hanno inserito tra gli apparecchi atti o adattabili alla ricezione radiotelevisiva, oltre alla televisione, il possesso dei computer collegati alla Rete, i tablet e gli smartphone”.

A conti fatti e stando a questo aggiornamento, la norma che regola l’applicazione della tassa sul possesso di apparecchi radiotelevisi – banalmente detta “Canone Rai” – verrà quindi interpretata in senso restrittivo. Non si pagherà per il mero possesso di un pc o di uno smartphone ma solo nel caso nell’ufficio sia presente almeno un monitor – ad esempio – atto a ricevere il segnale tv e utilizzato con funzione di tv.

Non è ancora chiaro se verranno inviate nuove lettere per spiegare la situazione e mettere in chiaro la questione o se semplicemente le missive già inviate decadranno automaticamente.

Laura LESEVRE

Canone Rai alle aziende. Ma vogliamo dire basta?

di Davide PASSONI

Ah! Lo aspettavamo, lo aspettavamo! Ci mancava solo questo! Uno dei tributi più odiosi di questo Paese, il canone Rai (secondo, forse, solo al bollo auto), oltre a essere inviso a milioni di privati cittadini ora diventa uno spauracchio anche per i professionisti e i lavoratori autonomi, che in questi giorni si sono visti recapitare da mamma Rai la richiesta di pagamento del canone per il possesso di apparecchi come pc e simili, persino smartphone, normalmente non finalizzati alla ricezione di programmi tv. Perché? Perché in base a un Regio Decreto del 1938 sono sottoposti a canone tutti gli “apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo”. Del 1938! Quando la tv era la fantascienza e internet l’inimmaginabile.

Eppure, professionisti e autonomi, già tartassati e additati dai più come sporchi evasori, si sono trovati nella cassetta delle lettere questo avviso: “La informiamo che le vigenti disposizioni normative impongono l’obbligo del pagamento di un abbonamento speciale a chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive al di fuori dell’ambito familiare, compresi computer collegati in rete indipendentemente dall’uso al quale gli stessi vengono adibiti”. Importo minimo: 200,91 euro. Per uno scherzetto che, secondo Rete Imprese Italia, costerà alle imprese stesse 980 milioni. E allora sul web (twittate? Seguite l’hashtag #raimerda) monta la protesta – giusta, giustissima -, il mondo delle imprese protesta, le associazioni dei consumatori s’incazzano e persino i parlamentari dei vari schieramenti (di cui la Rai è espressione ed estrusione malata – paradosso nel paradosso…) si dicono allibiti.

Una follia. Totale. Visto che, estendendo l’interpretazione del decreto, anche tablet e smartphone finirebbero nel gorgo. Visto che i computer in rete utilizzati da aziende e professionisti a tutto servono fuorché a guardare la tv (chi ha tempo di guardare le porcherie della Rai mentre lavora a un bilancio o a un armadio a 8 ante?). Visto che, di norma, un tributo si paga per avere in cambio dallo Stato servizi all’altezza e che, diciamolo senza essere qualunquisti, il servizio che Rai eroga è in media piuttosto mediocre.

E naturalmente, come al solito, se non si paga entro i termini sono more su more, minacce, sigilli, ganasce, pignoramenti. Come al solito. Come al solito in uno Stato che pretende da noi rigore e puntualità nei pagamenti ma che, quando è lui a doverci dei soldi (perché si è sbagliato e, di fatto, ce li ha rubati), si fa tempi, leggi e procedure da se stesso, per prendersela comoda, prendere tempo e persino di evitare di pagare. Chiedete a quelle imprese, poveracce, che vantano crediti inesatti nei confronti della PA.

Uno stato presunto etico che applica due pesi e due misure nel dare e nell’avere, che sanziona (giustamente) chi sbaglia ma non ammette di sbagliare, che si nasconde dietro al potere delle leggi per spremere i cittadini-sudditi nei modi più assurdi. Anche chiedendo loro i soldi con questa porcheria del canone e dei pc, con un decreto dell’anno di grazia 1938, XV E.F. Ma vogliamo dire basta una buona volta?

Il canone Rai a rate

Il pagamento del canone Rai può essere, per chi ha un reddito molto basso, un onere difficile da sostenere.
Per questo, gli abbonati Rai con reddito annuo da pensione, previdenziale o assistenziale, non superiore ai 18mila euro, hanno la possibilità di dilazionare il pagamento del canone con più rate mensili.

Per usufruire di questa opportunità, gli interessati devono ricordarsi di chiedere, entro il prossimo 15 novembre, al proprio ente pensionistico, in qualità di sostituto d’imposta, di scalare, mese per mese, da gennaio a novembre, la quota che consentirà di ripartire, nell’arco degli undici mesi, la somma complessivamente dovuta.

Questa possibilità è stata introdotta con il Dl 78/2010 a partire dall’anno 2011. La scadenza della prossima settimana, quindi, rappresenta, in assoluto, il secondo appuntamento utile per questo tipo di agevolazione, riservata a determinate categorie di utenti.
Le modalità applicative della misura sono state definite con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 29 settembre 2010, che deve essere rinnovata anno per anno.

Chi percepisce più pensioni, e complessivamente non raggiunge i 18mila euro annui, può decidere a quale ente fare richiesta per ottenere la rateazione, a patto che l’importo erogato da quell’istituto consenta di recuperare l’intero canone.
Per chi ha già usufruito della rateazione, il limite deve essere verificato con riferimento all’anno precedente a quello della richiesta, mentre per i neopensionati il conto si fa rapportando ad anno la mensilità percepita al momento della presentazione dell’istanza.
In caso di cessazione dell’erogazione della pensione, sarà l’ente previdenziale a comunicare all’utente, o agli eredi, il numero di rate già versate e l’ammontare del residuo ancora dovuto. L’Agenzia delle Entrate, da parte sua, comunicherà le modalità di pagamento.
La stessa modalità va seguita nel caso in cui le ritenute mensili non risultano sufficienti a coprire l’intero canone.

L’istituto previdenziale, verificata la posizione del suo assistito, dovrà fargli sapere, entro il 15 gennaio, se è in regola con i requisiti e se la sua domanda di rateazione è stata accolta: la prima quota sarà detratta a partire da gennaio. L’ente certificherà poi, con il Cud, che il canone è stato pagato.
Sarà poi l’istituto stesso a comunicare all’Agenzia delle Entrate i nominativi di coloro i quali beneficeranno della rateazione, entro il 20 gennaio. Inoltre, ogni due mesi dovranno essere trasmessi telematicamente i dati degli abbonati per i quali è cessata la ritenuta, l’importo pagato, quello residuo e i motivi della cessazione. La prima scadenza è entro febbraio. Entro dicembre, infine, dovranno essere resi noti i dati di coloro per i quali sono state effettuate trattenute pari all’intero canone.

Il pensionato che vuole chiedere all’Inpdap di pagare il canone a rate, deve collegarsi sul sito internet dell’Istituto e scaricare il modello, compilarlo e presentarlo direttamente a un ufficio dell’ente oppure trasmetterlo, a scelta, on line, via fax o per posta, insieme alla copia di un documento di riconoscimento. Con la presentazione allo sportello, l’operatore che accetta la domanda può consegnare in tempo reale all’assistito la notifica di accoglimento o rifiuto della richiesta.

Medesimo procedimento per i pensionati Inps, con punto di partenza il sito dell’Istituto previdenziale. Per accedere alla sezione riservata ai servizi telematici occorre il Pin, che, quindi va richiesto. Una volta ottenuto, si procede nella stessa maniera.

Vera Moretti

E’ il canone Rai la tassa più odiata dagli italiani

Gli italiani e le tasse. A poche ore dall’approvazione della manovra finanziaria da parte della Camera, incentrata su nuove entrate fiscali, prima fra tutte l’aumento dell’Iva al 21%, un sondaggio dell’Ifel, il centro studi dell’Anci, ha stilato la classifica delle tasse più odiate dagli italiani.

Al primo posto troviamo il canone Rai, tassa osteggiata dal 45,5% degli intervistati, seguita dal Bollo Auto che si aggiudicata il 14,2% di insofferenze da parte degli italiani. Al terzo posto si classifica la tanto discussa imposta sul valore aggiunto, l’Iva, con un 9,1%.

Le tasse non sono uguali per tutti, è il caso di dire. Un dato però accomuna tutti i contribuenti italiani: il 70% considera l’evasione fiscale un cancro che divora il nostro Paese, anche se l’80,3% lo ritiene frutto del nostro sistema fiscale squilibrato. Da Nord a Sud l’evasione fiscale è considerata la vera mela marcia del nostro sistema, anche se è nel nord est produttivo e insofferente alla burocrazia, si registrano le percentuali più elevate: il 68,8% contro il 29,3% di Siciliani e Sardi, che vedono le tasse come un’imposizione vessatoria.

Assolta invece l’Ici, l’imposta comunale sugli immobili. Nel 2006, alla vigilia delle elezioni politiche, fu proprio Berlusconi a lanciare la sfida a Prodi con la proposta di abolizione dell‘Ici sulla prima casa. Col senno di poi, i dati raccolti dall’Ifel evidenziano invece che l’insofferenza degli italiani verso l’imposta comunale sugli immobili è solo del 6,5%.

Un altro dato sorprendente riguarda la fiducia che il 26,8% degli intervistati ripone nel Comune, considerato l’ente con la miglior efficienza di spesa dei soldi pubblici, quasi il doppio rispetto alla Regione, che raccogli solo il 14,6% dell’approvazione da parte degli italiani, e al terzo posto l’ Unione Europea , con il 6,7%.

Largo al Federalismo Municipale quindi? I dati non lo confermano così nettamente: il federalismo fiscale si colloca infatti solo al quinto posto con il 14,5% nella classifica delle riforme strutturali necessarie secondo il cittadino italiano. Più urgenti appaiono infatti per gli intervistati la riforma del mercato del lavoro, con il 43,9%, quella del sistema fiscale, con il 42,7% e la ridistribuzione dei costi della politica 35,7%. Peccato però, che la finanziaria appena approvata dal parlamento non abbia nemmeno sfiorato le tre questioni.

A.C.