Roma caput mundi

 

Più temerari, ma anche più flessibili e capaci di adattarsi in base alle esigenze del mercato. E’ questo il segreto del successo degli imprenditori stranieri in Italia, che secondo gli ultimi dati diffusi da UnionCamere, stanno sfiorando la cifra di quasi mezzo milione di unità.

Infoiva quest’oggi ha deciso di puntare l’attenzione sulla capitale, per comprendere meglio quale sia la geografia umana e la forza intrinseca dell’impresa straniera. Ecco che cosa ci ha suggerito Lorenzo Tagliavanti, direttore Cna di Roma e vicepresidente della Camera di Commercio di Roma.

Quante sono le imprese guidate da stranieri a Roma e provincia? Con quale trend di crescita?
Alla fine dell’anno scorso, a Roma e provincia, si contavano oltre 30mila imprese a titolare straniero. Per comprendere la crescita esponenziale degli ultimi anni basti pensare che nel 2009 sfioravano le 21mila. Sono per lo più microimprese e ditte individuali. In media un’impresa straniera in Italia risulta infatti più piccola di un’impresa con titolare italiano: 1,9 rispetto a 4,5 addetti. Le imprese straniere a Roma e provincia occupano 70mila addetti. Il loro apporto sull’economia del territorio è notevole, per questo servono politiche e servizi che tengano conto di questa forza, la tutelino e la promuovano favorendone l’accesso al credito, alleggerendo la burocrazia e semplificando la comunicazione con le istituzioni. Per dare voce e rappresentanza a questo importante settore dell’economia Cna di Roma ha dato vita a Cna World, che raccoglie oltre mille imprese a titolare straniero.

Esistono dei settori d’impresa in cui gli stranieri superano in numero di presenze gli imprenditori italiani? Quali?
L’impatto dell’immigrazione straniera sull’economia è molto alta in alcuni settori come quello del commercio, della ristorazione e dell’edilizia.

Qual è la geografia di provenienza degli imprenditori stranieri a Roma e nel Lazio?
Nove imprenditori su 10 provenienti da Bangladesh, Cina, Egitto, Nigeria, Polonia, Senegal, Serbia, Pakistan, Perù, Filippine, Slovacchia, Iran e Colombia tendono a concentrarsi nell’area di Roma. Altre collettività, come ad esempio Romania, Marocco, Albania e Brasile, nelle province del Lazio.

A suo avviso qual è la forza delle imprese guidate da stranieri in Italia?
Gli imprenditori immigrati continuano a crescere perché sono più propensi a rischiare, provengono da situazioni di disagio e quindi si adattano meglio alle difficoltà, hanno una consolidata professionalità e sono per lo più orientati verso una forma di impresa agile, come la ditta individuale.

La Camera di Commercio di Roma prevede bandi di finanziamento/contributi destinati all’imprenditoria straniera?
La Camera di Commercio sostiene da sempre l’imprenditoria straniera, prova ne è la promozione dell’unico studio della Caritas che monitora l’apporto dell’imprenditoria straniera sull’economia della regione. Tra le recenti iniziative per favorire le imprese immigrate ricordo il progetto “Start it up – Nuove imprese di cittadini stranieri” con il quale abbiamo accompagnato, attraverso seminari formativi, molti imprenditori stranieri verso l’avvio aziendale. Abbiamo, poi, costituito un fondo di garanzia di 10 milioni di euro per sostenere le nuove imprese. Sono risorse destinate alla prima fase di creazione d’impresa, quella più difficile per i neotitolari, italiani e non.

Alessia CASIRAGHI

La crisi uccide, non restiamo sordi

Chiudiamo oggi il cerchio sul difficile tema degli imprenditori suicidi. Dopo una settimana passata ad ascoltare le storie di chi ha reagito, a scoprire come fare per non imboccare una strada senza ritorno, a parlare di altri, angosciosi casi, l’ultima testimonianza di chi, sul territorio, fa cultura e prevenzione per salvare la parte buona dell’Italia che produce.

Torniamo in Veneto, terra d’impresa e di suicidi, con il progetto “Life Auxilium“, messo in opera dalla Confartigianato di Asolo-Montebelluna, la Caritas e la Uls 8 di Asolo per avvicinare gli imprenditori in difficoltà e aiutarli a gestire la crisi. La parola al presidente della Confartigianato di Asolo-Montebelluna Stefano Zanatta, uno degli ideatori di “Life Auxilium” che, a un certo punto, no ha potuto far altro che dire “Basta” alla strage.

Si chiude il nostro focus settimanale, ma non dubitate: noi di Infoiva continueremo a tenere alta l’attenzione verso questo fenomeno, facendo in modo, nel nostro piccolo, che questa strage silenziosa non sia dimenticata. Mai.

Leggi l’intervista a Stefano Zanatta

Morire d’impresa, noi non ci stiamo


di Davide PASSONI

Morire d’impresa. Quando la crisi morde, gli imprenditori che restano senza impresa, i lavoratori che restano senza lavoro possono non essere in grado di sopportare il colpo. E possono compiere gesti estremi. Succede ed è successo spesso negli ultimi mesi e così qualcuno ha deciso di muoversi per affrontare il problema. La Confartigianato di Asolo-Montebelluna, la Caritas e la Uls 8 di Asolo hanno dato vita al progetto “Life Auxilium“, con un numero verde (800130131) e punti di ascolto sul territorio per avvicinare gli imprenditori in difficoltà e aiutarli a gestire la crisi. Prima che sia troppo tardi. Ci ha raccontato del progetto uno dei suoi ideatori, il presidente della Confartigianato di Asolo-Montebelluna Stefano Zanatta.

Come è nata la vostra iniziativa?
La nostra è una realtà ad alta densità imprenditoriale che ha arricchito il territorio con aziende nate soprattutto tra gli Anni ’70 e ’80. In questi ultimi anni di crisi, uno “stato di calamità innaturale” che dura da troppo tempo, abbiamo cercato di capire come questa crisi fosse percepita da parte degli imprenditori della zona. Volevamo sondare i loro stati d’animo, niente di più. Abbiamo preso a campione diversi titolari di impresa, senza andare a vedere il settore merceologico nel quale operavano. Il lavoro è stato fatto da due psicoterapeuti e i risultati ottenuti sono stati insoliti, per noi.

Ovvero?
C’era chi percepiva la crisi come un momento per ripensare l’intero sistema e ripartire con maggior slancio e coglieva l’aspetto positivo nella negatività del momento. Dall’altra parte c’era chi, non avendo mai avuto problemi nella propria azienda, si vedeva tutto a un tratto mancare il lavoro, le banche che non erogavano prestiti, i tempi dei pagamenti che si allungavano… In poche parole, queste persone si vedevano crollare il momdo addosso, senza essere preparate dal punto di vista psicologico a gestire il momento drammatico. E intanto che raccoglievamo tutti questi dati, aumentava il numero di imprenditori che si toglievano la vita. Per cui abbiamo pensato che fosse il momento di fare qualcosa.

Ed è nato…
Ecco dunque l’idea di “Life Auxilium”, un centro di ascolto che non chiamerei banalmente sportello anti-suicidi come è stato definito da più parti. In questo progetto abbiamo coinvolto la Caritas di Treviso, che aveva già intrapreso un progetto simile al nostro, ci siamo incontrati e confrontati e assieme a loro abbiamo presentato un progetto di supporto al territorio. Abbiamo coinvolto anche la Uls 8, la nostra Uls territoriale, perché vedevamo nel fenomeno la possibilità di aspetti patologici. Così è nato lo sportello che è attivo dal 2 marzo, che riceve circa un paio di chiamate al giorno da parte di imprenditori che lamentano la stretta creditizia delle banche, le pressioni di Equitalia, i mancati pagamenti da parte di clienti e fornitori. Ma riceviamo anche tante mail davvero strazianti.

Che servizi offre “Life Auxilium”?
Lo sportello offre un servizio di tipo psicologico e uno di tipo tecnico. Vogliamo dare alle persone le indicazioni per muoversi quando ci fanno domande pratiche, ma anche gli strumenti per affrontare il disagio da un punto di vista psicologico.

Oltre a voi, chi sostiene gli imprenditori in difficoltà?
Abbiamo notato che è importantissimo il sostegno della famiglia la quale, a volte, finge invece di non vedere. In alcuni casi estremi che ho conosciuto c’erano problemi familiari alle spalle che, una volta sopraggiunti anche quelli economici, hanno fatto esplodere le situazioni.

Perché si arriva a tanto, secondo lei?
Nel nostro contesto culturale, il fallimento imprenditoriale è visto come un fallimento personale. Un retaggio duro a morire, perché bisogna cambiare e capire che l’impresa è soprattutto un’infrastruttura sociale, non è una cosa personale, esclusiva: quando gestisco 3-400 persone, la mia azienda non si ferma a me, va oltre, investe il territorio e la società che mi circonda. Bisogna cambiare la testa della gente, un lavoro molto lungo e difficile da fare.

E poi c’è il fatto che, nella vostra zona, le piccole aziende sono davvero tante…
Viviamo sì in un territorio ad alta imprenditorialità, ma che è fatto di piccole aziende; oggi il mercato è globalizzato, per cui gli orizzonti sono cambiati e bisogna essere preparati ad affrontarlo in modo adeguato. In questo senso, è necessario fare squadra, sistema, aggregare imprese per sostenere il nostro tessuto sociale e produttivo.

Quanti imprenditori hanno deciso di farla finita in questi anni di crisi, nel vostro territorio?
Negli ultimi tre anni, sono oltre 50 i casi di imprenditori del Nord-est che si sono tolti la vita e alcuni di questi mi hanno toccato personalmente da vicino.

I familiari di alcuni imprenditori suicidi hanno accusato le istituzioni di essere stati lasciati soli. Che consa ne pensa?
Penso che vadano assolutamente aiutati, che lo Stato debba essere più vicino, non solo quando si tratta di spremere le aziende ma anche quando vanno sostenute. Il problema è che la burocrazia è sempre più forte e vince su una politica sempre più debole. E poi alla fine l’anello ancora più debole è quello che dovrebbe essere il più forte, ovvero l’impresa, l’imprenditore che dovrebbe lavorare tutti i giorni per portare ricchezza a sé e al territorio. E questo è un grave paradosso.