La tredicesima sale sulla bilancia

10 euro per un operaio, 12 euro per un impiegato e 25 euro per un dirigente. Sono questi i valori, secondo le stime dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, sottratti alle prossime tredicesime in arrivo rispetto al 2010.

La Cgia ha fatto i conti in tasca a tre importanti categorie di lavoratori dipendenti del settore privato presenti nel nostro Paese: quella degli operai, quella degli impiegati e quella dei quadri. “L’importo reale della tredicesima, sarà più leggero rispetto a quello percepito nel 2010 – ha precisato Giuseppe Bortolussi, Presidente Cgia Mestre. -Queste leggere riduzioni sono dovute al fatto che nel 2011 gli aumenti contrattuali sono cresciuti meno dell’inflazione”.

Vediamo in soldoni come vengono calcolate queste riduzioni. Un operaio specializzato, con una retribuzione lorda annua pari a poco più di 20.000 euro, riceverà a fine 2011 una tredicesima pari a 1.197 euro netti: vale a dire 21 euro nominali in più rispetto al 2010. Se, però, teniamo conto dell’andamento dell’inflazione, pari al +2,6%, e degli aumenti contrattuali (+1,8%), la tredicesima del 2011 si ridurrà a soli di 10 euro.

Secondo caso. Un impiegato con una retribuzione lorda annua di 24.700 euro, riceverà quest’anno una tredicesima di 1.361 euro netti: 23 euro nominali in più rispetto al 2010. Valore che si riduce a 11 euro netti se si tiene conto dell’inflazione annua e degli aumenti contrattuali.

Salendo di qualche gradino sulla scala sociale, un quadro dirigente con un reddito di poco superiore ai 48.500 euro, che si attende di ricevere una tredicesima pari a 2.496 euro netti, 38 euro nominali in più rispetto al 2010, riceverà in busta solo 13 euro, a causa della perdita di potere d’acquisto registrato nel 2011.

Si auspica Bortolussi “un provvedimento da parte del Governo di detassazione completa, o anche parziale, delle tredicesime dei lavoratori dipendenti con redditi inferiori ai 30/35.000 euro. Credo che l’introduzione di questa misura riscuoterebbe il consenso di tutte le forze politiche – sociali, nonché dei cittadini direttamente interessati”.

A.C.

Spesa pubblica, l’accusa della CGIA

Un’altra, impietosa fotografia della spesa pubblica italiana scattata dalla CGIA, che in uno studio ha ecidenziato come tra il 2000 e il 2010 questa sia aumentata, al netto degli interessi sul debito, di 141,7 miliardi di euro (l’importo riferito al 2000 è stato rivalutato al 2010), pari al +24,4%. L’anno scorso, la spesa ha raggiunto quota 723,3 miliardi di euro: in rapporto al Pil, sempre nel 2010, le uscite pubbliche dello Stato hanno raggiunto il 46,7%, +6,8 punti rispetto a 10 anni prima. Sempre nel 2010, infine, lo Stato ha speso 11.931 euro per ogni cittadino italiano: 1.875 euro in più rispetto al 2000.

La parte del leone (se così si può dire…) la fanno le spese correnti, riconducibili per la maggior parte agli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego e alle prestazioni sociali: 93,2% del totale della spesa pubblica. Secondo la CGIA, i redditi dei dipendenti del pubblico impiego sono aumentati del +12,9%, i consumi intermedi (manutenzioni, affitti, energia elettrica, acqua, gas, materiale di consumo, etc.), sono cresciuti del 24,9%, gli acquisti di beni e servizi da destinare ai privati (medicinali, apparecchiature sanitarie, etc.) sono lievitati del +34,6%, le prestazioni sociali hanno fatto segnare un +24,6%.

Tagliente l’analisi di Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre: “Il trend di crescita registrato dalle uscite pubbliche nell’ultimo decennio dimostra che è necessario invertire le politiche di bilancio sin qui realizzate. Non è più possibile agire prevalentemente sul fronte delle nuove entrate per riportare in ordine i nostri conti pubblici. Bisogna, invece, intervenire sulla spesa pubblica improduttiva. In questi giorni sentiamo echeggiare, dopo che i cittadini hanno subito in questi ultimi mesi una raffica di nuove tasse ed imposte, la possibile introduzione di una patrimoniale o, come ha suggerito la Banca d’Italia, il ripristino dell’Ici sulla prima casa. Se ciò si verificasse, darebbe luogo ad un ulteriore aumento del carico fiscale che deprimerebbe ancor più la capacità di spesa delle famiglie italiane che già oggi si trovano in una situazione di estrema difficoltà”.

Clicca qui per scaricare il documento della CGIA.

Lavoro in nero nuovo ammortizzatore sociale?

I lavoratori in nero, ovvero coloro che, pur producendo e guadagnando, rimangono invisibili agli occhi del Fisco, sono quasi 3 milioni.

Si tratta di una cifra enorme, se si considera che questo piccolo esercito produce circa 100 miliardi di Pil irregolare, pari al 6,5 del Pil nazionale.

Per quanto riguarda le risorse pro capite, si tratta di evasioni fiscali annue di 709 Euro di media.

Sono dati resi noti dalla Cgia di Mestre, commentati così dal segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi: “L’economia sommersa ha ormai assunto connotati molto preoccupanti. Tuttavia, le differenze territoriali sono evidentissime. Oltre il 40% dei lavoratori in nero, del valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa e del gettito di imposta evasa, sono riconducibili alle Regioni del Mezzogiorno, mentre il Nordest, sempre additato come un’area ad alta vocazione al sommerso, è la macro area meno interessata da questo fenomeno.”

La regione più ad richio risulta essere la Calabria, con 184.000 lavoratori in nero e un’incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil pari al 18,3% e 1.333 euro di imposte evase.

Questa situazione, ovviamente, non giova al Paese e certo non contribuisce a farlo risollevare. Anzi, a questo proposito, le stime che riguardano la condizione economica e finanziaria italiana sono da correggere per difetto.

Anche se, Bortolussi vuole aggiungere una provocazione, che dovrebbe far riflettere sullo stato in cui versa l’Italia: “Il sommerso costituisce un vero e proprio ammortizzatore sociale. Sia chiaro, nessuno di noi vuole esaltare il lavoro nero, spesso legato a doppio filo con forme inaccettabili di sfruttamento, precarietà e mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro. Tuttavia, quando queste forme di irregolarità non sono legate ad attività riconducibili alle organizzazioni criminali o alle fattispecie appena elencate, costituiscono, in questi momenti così difficili, un paracadute per molti disoccupati o pensionati che non riescono ad arrivare alla fine del mese“.

Vera Moretti

IVA al 21%: da oggi è realtà

L’aumento dell’Iva dal 20 al 21% è ormai cosa nota, ma, nel dettaglio, in quanti sanno che cosa rincarerà, e da quando?
Occorre, a questo proposito, fare un po’ di chiarezza, ed analizzare la situazione in modo preciso.

Ciò che è importante da sapere, per i professionisiti, gli esercenti, gli imprenditori, è che da oggi scatteranno i rialzi per alcuni prodotti e servizi. Per i consumatori questo infatti sarà il primo week-end di shopping al 21%.

In generale, possiamo dire che l’aumento non si avvertirà sul singolo acquisto perché, per fare un esempio, un paio di scarpe subirà un rincaro di 1 euro ma, se si pensa che si prevede l’arrivo nelle casse dello Stato di 700 milioni di euro già quest’anno, allora ci rendiamo conto che sì, qualcosa cambierà anche nelle nostre tasche. E non sarà un gioco al rialzo.

Secondo una stima fatta dalla Cgia di Mestre, l’esborso per le famiglie sarebbe di 123 euro in più all’anno, mentre Federconsumatori e Adusbef ritengono che la cifra si avvicinerà più a 173 euro, fino ai preoccupanti 500 euro di rincaro previste dalle grandi catene di distribuzione.

Sembra dunque difficile dare dati certi e del tutto attendibili. Vero è che tutti saremo “colpiti” da questa spada di Damocle, perchè tanti sono i prodotti, anche di consumo quotidiano, che ci costeranno di più.

|F.A.Q.| Se il software di fatturazione o del registratore di cassa non è aggiornato con l’Iva al 21%, cosa succede? leggi la risposta

La buona notizia è che nessun rincaro ci sarà per pane, latte, pomodori e giornali, per fare degli esempi di prodotti con Iva al 4%.

I golosi di cioccolato, invece, faranno fatica ad orientarsi: aumenti in vista per le confezioni di pregio, prezzi fermi invece per le comuni ‘tavolette’.

Discorso analogo per gli habitueè del caffè: sé è da aspettarsi un rincaro per la confezione al supermercato, invariato dovrebbe restare il prezzo della tazzina al bar, perche nel primo caso l’Iva è al 20 e aumenterà al 21% nel secondo caso è al 10% e resta com’è.

Una delle tante note dolenti sarà la benzina che, con l’aumento dell’Iva, ha calcolato l’Unione Petrolifera, “aumenterà di 1,2-1,3 centesimi al litro”.

Ecco un elenco dei principali beni per i quali aumenta l’imposta di consumo dal 20 al 21% (Fonte: Ufficio studi Confcommercio Imprese per l’Italia):

– Televisori e prodotti per l’home entertainment – Macchine fotografiche e videocamere
– Computer desktop, portatile, palmare e tablet – Autocaravan, caravan e rimorchi
– Imbarcazioni, motori fuoribordo ed equipaggiamento barche – Strumenti musicali
– Giocattoli, giochi tradizionali ed elettronici – Articoli sportivi
– Manifestazioni sportive e parchi divertimento – Stabilimento balneare
– Piscine, palestre e altri servizi sportivi – Articoli di cartoleria e cancelleria
– Pacchetti vacanza
– Automobili, ciclomotori e biciclette
– Trasferimento proprietà auto e moto
– Affitto garage, posti auto e noleggio mezzi di trasporto – Pedaggi e parchimetri
– Apparecchi per la telefonia fissa, mobile e telefax – Servizi di telefonia fissa, mobile e connessioni internet – Tabacchi
– Abbigliamento e calzature
– Rasoi elettrici, taglia capelli, phon – Articoli per la pulizia e per l’igiene personale – Profumi e Cosmetici
– Gioielleria e orologeria
– Valigie e borse e altri accessori
– Servizi di parrucchiere
– Servizi legali e contabili
– Mobili e articoli per illuminazioni
– Biancheria e tessuti per la casa
– Frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie, forno – Piccoli elettrodomestici per la casa
– Piatti, stoviglie e utensili per la casa – Detergenti e prodotti per la pulizia della casa – Carburanti
– Caffè
– Bevande gassate, succhi di frutta e bevande analcoliche – Liquori, superalcolici, aperitivi alcolici – Vini e spumanti.

Vera Moretti

Allarme usura, record in Campania

L’Ufficio Studi della CGIA di Mestre lancia l’allarme: la Regione con il livello più alto di rischio usura è la Campania. Segue il Molise, la Calabria, la Puglia e la Sicilia. A Nordest, invece, abbiamo l’area meno interessata, o quasi, da questo fenomeno. Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige, infatti, sono tra le Regioni italiane meno investite dalla piaga dello “strozzinaggio”.

I dati si basano su studi condotti nel 2010 relativi alla disoccupazione, i fallimenti, i protesti, i tassi di interesse applicati, le denunce di estorsione e di usura, il numero di sportelli bancari e il rapporto tra sofferenze ed impieghi registrati negli istituti di credito.

Dimensionare l’usura solo attraverso il numero di denunce – commenta il segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi – non è molto attendibile perché il fenomeno rimane in larga parte sommerso e risulta quindi leggibile con difficoltà. Per questo abbiamo messo a confronto ben 8 sottoindicatori per cercare di dimensionare con maggiore fedeltà questa piaga. Ma quello che forse pochi sanno, – conclude Giuseppe Bortolussi – sono le motivazioni per le quali molti cadono nelle mani degli strozzini. Oltre al perdurare della crisi, per artigiani e commercianti sono le scadenze fiscali a spingere molti operatori economici a ricorrere a forme di finanziamento illegali. Per i disoccupati o i lavoratori dipendenti, invece, sono i problemi finanziari che emergono dopo brevi malattie o infortuni.”

Gli indicatori nazionali nello specifico riportano dati come seguono: il tasso di usura rilevato in Campania, a cui spetta la maglia nera, è di 166,1 (pari al 66,1% in più della media Italia), segue il Molise con il 158,3 (58,3 punti in più rispetto al dato medio nazionale) la Calabria con il 146,3 (46,3% in più rispetto la media Italia), la Puglia con 146,1 (46,1% in più della media Italia), la Sicilia col 134,9 (34,9% in più della media nazionale). Mentre i meno aggrediti dai “cravattari”, o quasi, sono il Trentino A.A., con un indice di rischio usura pari a 46,7 (53,3% in meno della media nazionale). Segue la Valle d’Aosta con 69,8 (30,2% in meno della media Italia), il Veneto con 72,5 (27,5% in meno della media Italia) e il Friuli Venezia Giulia con 74,7 (25,3% in meno del dato medio Italia).

Aumento delle tasse locali del 138%. Per la Cgia di Mestre è allarme

Il presidente della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi lancia l’allarme: tra il 1995 e il 2010 la tassazione a livello locale è aumentata del 137,9%. In termini assoluti, le entrate fiscali delle Amministrazioni locali (Comuni, Province, Regioni) sono passate da 40,58 miliardi a 96,55 miliardi di euro.

A fronte di un incremento delle entrate del 6,8% occorre fare i conti con un incremento importante della tassazione locale. L’aumento della tassazione locale, commenta Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre è il risultato del forte decentramento fiscale iniziato negli anni ’90. L’introduzione dell’Ici, dell’Irap e delle addizionali comunali e regionali Irpef hanno fatto impennare il gettito della tassazione locale che è servito a coprire le nuove funzioni e le nuove competenze che sono state trasferite alle Autonomie locali.

Bortolussi prosegue: “La situazione dei nostri conti pubblici ha costretto lo Stato centrale a ridurli progressivamente, creando non pochi problemi di bilancio a tante piccole realtà amministrative locali che si sono difese aumentando le tasse locali. I fortissimi tagli imposti dalle manovre correttive di luglio e di Ferragosto rischiano di peggiorare la situazione e di demolire lo strumento che in qualche modo poteva invertire la tendenza, ovvero il federalismo fiscale“.

Riforma economica: ecco cosa servirebbe all’Italia per una buona ripresa

Il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi si scaglia contro i problemi fiscali (e non solo) che affliggono il nostro Paese affermando: ”Con un carico fiscale ed una dotazione infrastrutturale come quelle dei paesi Ue, il nostro sistema economico risparmierebbe 108 mld di euro l’anno”. Il nostro sistema economico sconta, in materia di tasse, infrastrutture, giustizia civile, energia, pagamenti della Pubblica Amministrazione e competitività un carico superiore rispetto alla media degli altri Paesi europei.  Bortolussi prosegue: ”Se allineassimo la pressione tributaria italiana (29,1,% del Pil) a quella media europea (24,6% del Pil) il risparmio, in termini di minori imposte e tasse, si aggirerebbe attorno ai 68 miliardi di euro l’anno”.

Altra attenzione importante andrebbe riposta ad un miglioramento del sistema infrastrutturale (strade, porti, aeroporti) che se adeguato permetterebbe di risparmiare 40 miliardi di Euro. In totale con i soldi risparmiati sarebbe possibile garantire 2 milioni e mezzo di potenziali posti di lavoro in più.

La Cgia ricorda che oltre ”all’eccessivo carico fiscale e allo spaventoso deficit infrastrutturale”, il cattivo funzionamento della giustizia civile pesa sul sistema delle imprese per altri 2,7 mld di euro. Senza contare che il maggiore costo annuo sostenuto dalle aziende italiane per l’approvvigionamento energetico, si aggira, per effetto del gap tariffario, attorno ai 7 mld di euro. Aggiungendo anche questi ultimi 2 importi, la cifra complessiva delle storture che gravano sul nostro sistema economico tocca, potenzialmente, i 118 mld di euro circa”.

Vediamo il decalogo stilato dal team di lavoro della Cgia per un risparmio competitivo del nostro Paese:

Imposte tasse e tributi: con una pressione tributaria simile al resto d’Europa si potrebbero risparmiare 68,3 miliardi; Infrastrutture adeguate farebbero risparmiare 40 miliardi; così la Giustizia civile con un +2,7 miliardi.  Simile il discorso per Energia che con una politica differente potrebbe portare far risparmiare 7 miliardi. Molto si potrebbe fare anche per ridurre il Gettito fiscale sulle imprese più elevato rispetto a quello delle imprese spagnole (14,3%), inglesi (13,5%), tedesche (13,0%) e francesi (9,9%) così come una diminuzione dell’ Aliquota implicita media (31,5%). Anche per Ritardo pagamenti P.A. l’Italia non spicca tra i primi posti (con una media di ritardo di 86 giorni) tanto meno per Competitività, in cui si segna  un scarso 46esimo posto (Per la qualità delle istituzioni, invece, il nostro Paese viene valutato al 92esimo posto).

Mirko Zago

Cgia di Mestre: nelle Pmi l’occupazione è al 61%

Il segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi in merito ai dati dell’occupazione nelle piccole e medie imprese ha commentato: ” Peccato che la grande maggioranza degli osservatori ritenga che la presenza così diffusa di tante piccole e micro-imprese costituisca un elemento di arretratezza. Invece, rappresentano la modernità, perché sono il risultato del profondo cambiamento sociale, economico e tecnologico che l’Italia ha subito negli ultimi 30 anni“. Le Pmi infatti rappresentano il 99% delle attività produttive in Italia oltre che dar lavoro al 61% degli occupati in Italia. In totale sono 21.726.547 i lavoratori italiani tra autonomi e dipendenti, sia pubblici che privati, di cui più di 13 milioni impiegati in Pmi con meno di 50 addetti.

Stando ai dati elaborati dalla stessa Cgia di Mestre le micro imprese (meno di 20 dipendenti) in particolare presentano un tasso di occupazione pari al 50,7% del totale per un totale di 11.011.563 unità; nelle medie e grandi imprese (più di 250 addetti) si concentra il 26,7% degli occupati, pari a 5.795.642 unità. Anche d’innanzi alla crisi le piccole imprese sono quelle che han tenuto duro, dichiarando di voler assumere (il 62,7% ovvero 502.970 unità riguardavano imprese con meno di 50 dipendenti e il 40,5% del totale ovvero 324.900 unità micro imprese con meno 20 addetti, il tutto su un totale di previsioni di assunzione pari a 802.000).

Un Paese competitivo ha bisogno anche delle grandi imprese. Purtroppo, se negli ultimi decenni il loro numero è costantemente sceso, la responsabilità non va certo imputata alla grande diffusione del capitalismo molecolare, ma all’incapacità dei nostri grandi gruppi di reggere l’urto della concorrenza internazionale” – ha proseguito Bortolussi.

Mirko Zago