I gioielli made in Italy non luccicano più

Cina e India pronti a diventare i nuovi eldoradi. Il settore orafo italiano non brilla più come in passato. Complice la crisi globale, il mercato dei gioielli made in Italy rischia di essere bypassato anche da Vietnam e Malaysia.

E’ quanto emerge dalle stime rese note da Confindustria Federorafi: fino al 2010 il trend in negativo per l’Italia, anche se il recente report ‘Le dinamiche strategiche della Gold Industry’ del Polo Università Verona per Fiera di Vicenza, segnala invece una ripresa nell’export nei primi mesi del 2011. Nel 2010 Cina e India hanno raddoppiato la loro quota di export, mentre Vietnam e Malaysia sono entrati a tutti gli effetti tra i primi quindici Paesi al mondo.

Dal 2005 al 2010 l’Italia ha incrementato la propria quota di import mondiale di gioielleria del 49%, ma nello stesso quinquennio è stata superata sul mercato statunitense da Cina, India e Thailandia. Il settore della gioielleria italiano, da sempre simbolo del made in Italy nel mondo, conta circa 10.600 unità produttive distribuite su tutta la penisola e figura al sesto posto del saldo commerciale attivo con l’estero (il 70% dei prodotti sono destinati alla distribuzione internazionale), e al primo per il comparto moda ed accessorio.

Puntano all’oro Vicenza, Arezzo, Valenza Po e Napoli, mentre per l’argenteria occorre spostarsi a Padova, Firenze e Palermo. Ma quali sono gli strumenti per mettersi al riparo dal rischio dell’invasione asiatica dei mercati orafi e gioiellieri?

Cambiare le strategie e competere non più sul prezzo, ma sul design e sulla tecnologia‘ suggerisce la presidente di Confindustria Federorafi, Licia Mattioli. Il rilancio del made in Italy punta quindi al futuro, senza dimenticare però la grande tradizione orafa e artigiana che da sempre contraddistingue il nostro Paese.

Alessia Casiraghi

Crisi dell’auto: i carrozzieri sempre meno italiani, sempre più cinesi

Sempre più orfani della Fiat, i carrozzieri italiani rischiano di essere assorbiti dal mercato estero. E’ il timore espresso da Leonardo Fioravanti, Presidente del gruppo Carrozzieri Autovetture ANFIA, l’associazione della case automobilistiche italiane: “dietro alla maggior parte dei carrozzieri oggi non c’è più capitale italiano, la proprietà è sempre più straniera. Un tempo tutti lavoravano per la Fiat, oggi nessuno. I committenti sono aziende cinesi. Il rischio è che un enorme patrimonio di eccellenza venga disperso“.

Dati alla mano, il comparto della carrozzeria conta oggi 3.500 dipendenti, poco meno di un terzo di 20 anni fa, quando il numero dei carrozzieri in Italia era di almeno 10.000. Anche se il fatturato supera ogni anno il mezzo miliardo di euro, il quadro complessivo del settore assume proporzioni molto differenti rispetto al passato: la ex Bertone, che compirà 100 anni nel 2012, è ormai un satellite Fiat, mentre su Pininfarina, la cui produzione è ferma, ha già messo l’occhio il finanziere bretone Vincent Bolloré. In materia di acquisizioni, l’Italdesign di Giorgetto Giugiaro è ora di proprietà di Volkswagen, mentre l’Idea, che ha in Cina una sede operativa e rapporti con la Chang’an, è stata rilevata dalla società Quantum Kapital. Costretta al fallimento invece la Carrozzeria Maggiora.

Quella dei carrozzieri italiani come produttori dell’alta moda dell’auto, autosufficienti è un’esperienza conclusa” ha sottolineato Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom, “Torino ha perso una grande occasione perché aveva un’alta concentrazione dal punto di vista progettuale e industriale. I buoi sono ormai scappati e la classe dirigente piemontese rischia di non governarne neppure gli effetti“.

Un tempo tutti lavoravano pressoché per la Fiat, oggi quasi nessuno” spiega Leonardo Fioravanti, “la parte manifatturiera che ci caratterizzava è scomparsa perché con la lean production le grandi case automobilistiche realizzano da sole le piccole-medie produzioni. Il comparto però non è finito: la parte creativa c’é ancora ed è riconosciuta a livello mondiale. In fondo le acquisizioni fatte da società automobilistiche di livello mondiale sono una conferma di questo, e dietro ai più bei modelli prodotti ci sono degli italiani.’

Ma quali sono le prospettive per il futuro del comparto carrozzeria in Italia? I carrozzieri non potranno di certo sparire, ma la loro sopravvivenza dipenderà anche dal sostegno che l’intero sistema darà alla filiera. “Tramite la partecipazione attiva al Tavolo Istituzionale per la Ricerca Automotive avviato a ottobre 2009 – ricorda Fioravantil’Anfia nel 2010 ha presentato formalmente al ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca un Piano strategico di filiera, costituito da 23 progetti, tra cui il progetto Tris, per realizzare un veicolo ibrido o elettrico, ultra low cost. Un progetto che richiede 10 milioni di euro in due anni e che, per la prima volta in 100 anni, vede una collaborazione fra i carrozzieri italiani. Purtroppo, per ragioni varie, finora è rimasto nel cassetto. Eppure servirebbe a far crescere l’occupazione e a rimettere in funzione gli stabilimenti. Siamo una risorsa del made in Italy, un fiore all’occhiello, abbiamo tutto il diritto di dire ‘dateci una mano’ per resistere e contribuire alla crescita.’

Alessia Casiraghi

La Cina è in Italia

A dispetto della crisi, ancora ben presente in Italia, c’è chi, invece, sembra proprio non avere difficoltà.

Sono i cinesi che, invece di chiudere le loro attività, si moltiplicano, e non solo nelle grandi città, ma anche nelle province, dove è ancora più difficile trovare un’occupazione.

I dati, raccolti dalla Cgia di Mestre, parlano di piccole e medie imprese cinesi che hanno superato le 54 mila unità, con una crescita dell’8,5% rispetto al 2009, in netto contrasto con i dati riguardanti imprese italiane, diminuite, nello stesso lasso di tempo, dello 0,4%. Ad aumentare è anche la presenza, nelle aziende italiane, di imprenditori cinesi, con una crescita, dal 2002 al 2010, del 150,7%.

Ma è tutto oro quello che luccica? A quanto pare no, poiché è lo stesso Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ad affermare: “Pur riconoscendo che gli imprenditori cinesi hanno alle spalle una storia millenaria di successo, la loro forte concentrazione in alcune aree del Paese sta creando non pochi problemi. Spesso queste attività si sviluppano eludendo gli obblighi fiscali e contributivi, le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e senza nessun rispetto dei più elementari diritti dei lavoratori occupati in queste realtà aziendali. Questa forma di dumping economico ha messo fuori mercato intere filiere produttive e commerciali di casa nostra“.

La maggiore concentrazione di imprenditori cinesi si trova nel Nord, e soprattutto in Lombardia, dove sono 10.998, Toscana, 10.503 e Veneto, 6.343. Nonostante questi numeri, la crescita registrata è omogenea in tutto il Belpaese, compreso il Trentino Alto Adige, una volta inespugnabile.

Ovviamente, l’incidenza di imprenditori cinesi sul totale dell’imprenditorialità straniera è molto forte e raggiunge un 8,6% con picchi in Toscana del 18,2%.

Tra i settori di occupazione, trovano i primi posti pelletteria, calzature ed abbigliamento, seguiti da alberghiero, bar e ristorazione, dove i titolari cinesi sono ormai 10.079. E siamo sicuri che si tratta di dati destinati a crescere ancora.

Vera Moretti

Made in Italy, meglio se in India e in Cina

India e Cina sono i migliori mercati per il Made in Italy, anche sul medio e lungo termine, secondo il World Economic Outlook.
Quella indiana è una delle economie mondiale più brillanti e consistenti, agevolata dall’uso della lingua inglese.
Sul piano commerciale, è da rilevare come le tre cittàindiane principali (Delhi, Mumbai e Kolkata), hanno complessivamente un numero di abitanti che si avvicina ai 60 milioni, quindi come l’intera popolazione italiana.

Per l’India il tasso di crescita sarà dell’8,2% nel 2011 e del 7,8% nel 2012, nonostante una serie di rialzi dei tassi di interesse realizzati dalla banca centrale (la Reserve Bank of India) allo scopo di frenare le spinte inflazionistiche.
La crescita dell’economia cinese sarà del 9,6% per il 2011 e del 9,5% per il 2012, con una “classe media” di circa 250 milioni, esterofila e interessata al Made in Italy, sinonimo di gusto e di qualità.

Promettente il Luxury made in Italy in Cina

E’ il lusso a garantire il maggior successo per le imprese italiane in territorio cinese. Il comparto negli ultimi 5 anni ha avuto un incremento medio del 20% annuo e che ha portato la Repubblica Popolare a posizionarsi al settimo posto a livello mondiale tra i Paesi consumatori.

Secondo i dati della Boston Consulting Group la Cina nel 2010 contava 1,11 milioni di milionari, ovvero il 31% in più che nel 2009. Il settore del lusso, però, può vantare in realtà 100 milioni di consumatori, la cui spesa media è di circa 1000 euro pro capite; di questi, il 60% acquista per ragioni di status sociale, un 20% per necessità e un ulteriore 20% per piacere personale.

Tra i maggiori comparti ad avere successo nella terra del Dragone si trovano cosmetici e accessori. Il design italiano, arredamento e luce invece nonostante siano presenti in Cina da ormai 20 anni  registrano solo /5% del proprio fatturato in questo Paese.

Non ovunque la situazione è uguale: mercati più maturi come Hong Kong e Singapore mostrano un maggior interesse per l’arredo; il Salone del Mobile di Milano ha visto, infatti, una crescita del 10% di visitatori asiatici. Naturalmente è la qualità e la ricercatezza dei materiali e della lavorazione a far desiderare i nostri prodotti.

 

La Cina è vicina. A Viterbo un seminario per le imprese che voglio esportare in Cina

SprintLazio e Sviluppo Lazio organizzano un seminario gratuito il 15 giugno, a Viterbo, per agevolare l’export delle imprese locali verso la Cina.

Durante l’incontro verranno affrontati argomenti quali:

  • come fare business in Cina: i fattori di successo,
  • il regime fiscale in Cina,
  • l’accesso al mercato cinese: le barriere tariffarie e non tariffarie,
  • la gestione delle operazioni commerciali,
  • il rischio di violazione delle norme sulla tutela dei diritti,
  • le strategie di ingresso sul mercato cinese,
  • la catena di distribuzione dei prodotti in Cina,
  • la costituzione di società in Cina.

Durante l’incontro sarà analizzato anche il particolare sistema economico-produtivo della Repubblica Popolare Cinese, con particolare riferimento al cross-cultural skills ed alle potenzialità/rischi legati alle operazioni di business.

La partecipazione è gratuita.

Programma e iscrizione online su www.sprintlazio.it | Viterbo, 15 giugno 2011- ore 9,30| 17,30 | Scadenza adesioni: 10 giugno.