Ichino: sperimentare a livello regionale la riforma del lavoro

La strada della sperimentazione, secondo il giuslavorista Pietro Ichino, che ha partecipato ad un incontro a Milano coi quadri della Cisl, è quella più opportuna, sia per il Governo Monti, che per la Regione Lombardia di Roberto Formigoni.

“La scelta giusta, prima di avviare la riforma generale del lavoro, è sperimentare a livello regionale. La Lombardia ha esattamente la stessa popolazione della Svezia ed esattamente lo stesso reddito pro capite. Ora, dal 2001 ciascuna delle nostre Regioni ha una competenza legislativa e amministrativa piena in materia di servizi al mercato del lavoro. Che cosa impedisce, dunque, che le confederazioni imprenditoriali e sindacali maggiori stipulino con una Regione un accordo-quadro regionale, che detti le guidelines per la contrattazione aziendale su questa materia impegnando la Regione stessa a coprire i costi dei servizi di outplacement e di riqualificazione professionale mirata, scelti dalle aziende che si avvarranno di questa possibilità? In Lombardia, in particolare, la sperimentazione di questo modello consentirebbe di attirare investimenti – soprattutto stranieri – di alta qualità, offrendo agli imprenditori un “codice del lavoro” semplice, allineato ai migliori standard nord-europei, anche per quel che riguarda la flessibilità in uscita – precisa Ichino – nel caso in cui in futuro sia necessario un ridimensionamento o la chiusura. E a proposito di sperimentazione “Il Governo Monti – dice Ichino – avrebbe in animo di sperimentare anche, in due province italiane, l’incentivo fiscale per favorire il lavoro femminile. Sono disponibili 20 milioni di euro per avviare il progetto”.

Fonte: Agenparl.it

I dottori di ricerca in Veneto entrano in azienda con l’apprendistato

Obiettivo principale: aumentare l’occupabilità dei dottori di ricerca nelle aziende del territorio e generare innovazione all’interno delle stesse imprese inserendovi capitale umano di eccellenza.

A seguito di questo accordo, Confindustria Veneto, come partner del progetto, ha sottoscritto un accordo sindacale con Cgil, Cisl e Uil al fine di consentire alle imprese interessate all’iniziativa di poter assumere i giovani dottorandi mediante l’apprendistato in alta formazione.

“L’apprendistato in alta formazione è uno degli strumenti più significativi  e di assoluta novità per il Veneto per agevolare i giovani nella delicata fase di passaggio dal mondo della scuola o dall’università al mondo del lavoro. La Regione Veneto è particolarmente attiva nell’individuazione e nella promozione di strumenti in grado di favorire questa alternanza. Il contratto di apprendistato, nella sua declinazione più elevata, mira in effetti a far emergere quel valore aggiunto, in termini di competenze, innovazione e creatività, che solo i giovani possono dare alle imprese”. Lo dichiara Elena Donazzan, assessore regionale all’Istruzione e Formazione professionale del Veneto.

Le scuole di dottorato interessate sono: Ingegneria industriale, Bioscienze e biotecnologie, Scienze molecolari, Scienze dell’ingegneria civile e ambientale, Ingegneria dell’informazione, Scienze veterinarie, Diritto internazionale e Diritto privato e del lavoro, Studio e conservazione dei beni archeologici e architettonici. Il percorso formativo e di lavoro dura 4 anni e prevede 150 ore circa all’anno di formazione esterna all’azienda e lo sviluppo di un progetto di ricerca su un tema innovativo di avanzato livello scientifico di interesse per l’impresa.

Marco Poggi

Sempre più neo-mamme vittime di mobbing

Che siano preparate, puntuali ed affidabili, poco importa, ed è questo il fatto grave dal momento che, quando si tratta di lavoro, dovrebbero essere questi i requisiti che più interessano.
E invece, tutto ciò passa in secondo piano, in confronto al fatto di essere mamme.

Non si tratta di “leggende metropolitane” ma dell’amara e triste verità, raccontata da tante donne che, diventate madri, si sono viste togliere lavoro e scrivania da sotto gli occhi.

A volte, sono costrette a dare le dimissioni, dopo mesi di mobbing da parte del capufficio e dei colleghi, spesso ansiosi di impossessarsi di mansioni, e stipendio, della malcapitata. Altre, invece, non appena annunciano che avranno un figlio, vengono lasciate a casa senza troppi complimenti. E nulla si può fare per farsi giustizia, dal momento che, nella maggior parte dei casi, il misero contratto che univa azienda e collaboratrice era a progetto o, se più fortunata, a tempo determinato.

I dati sono allarmanti perché, secondo il Centro Donna della Cgil, le segnalazioni, da ottobre dell’anno scorso, sono state circa mille, e quasi tutte riguardavano, appunto, mobbing, demansionamenti e minacce di licenziamento dopo la fine del congedo. Congedo richiesto, in un anno, da 20mila mamme nella città di Milano e, tra queste, l’8% ha poi dato le dimissioni. Sono 1.670 donne, contro le poco più di 1.400 del 2009. Un aumento del 14 per cento.

Maria Costa, del Centro Donna della Cgil, spiega: “Fra il 2008 e il 2009 la quota di mamme dimissionarie, dopo la maternità, era diminuita. Nel 2010, invece, i numeri si sono alzati di nuovo. Soprattutto a causa della crisi

Le madri, prima lavoratrici, e magari anche soddisfatte e stimate da superiori e colleghi, si vedono costrette a rimanere a casa, risparmiando su asilo nido e baby-sitter, certo, ma frustrate da una condizione che non hanno scelto loro.

Luigia Cassina, del Coordinamento femminile della Cisl, rincara la dose affermando: “Con la crisi è cresciuta soprattutto la richiesta di personale full time. È come se per le aziende ci fosse un’equivalenza tra presenza del personale e produttività. Con il risultato che soluzioni moderne come flessibilità degli orari, part time e telelavoro scompaiono: siamo tornati indietro di dieci anni”.

Le agevolazioni, dunque, che per qualche tempo avevano agevolato le neo mamme, e metterle in condizione di godere del proprio figlio senza però rinunciare ad un’occupazione, ora non ci sono più.

A Milano la quota di donne occupate si attesta al 58,8 per cento, contro il 73,7 per cento degli uomini. Sono 772mila le milanesi che lavorano: di queste, però, ancora poche riescono a raggiungere posizioni di rilievo in azienda. Secondo l’ultimo Rapporto biennale sull’occupazione femminile e maschile in Lombardia, presentato in primavera da Regione e Provincia, solo il 18 per cento delle dirigenti d’azienda è “rosa”. E nel caso dei lavori a termine, sono sempre le donne a rischiare di più la perdita del posto: nel 43,8 per cento dei casi i contratti non vengono rinnovati. Nel 2007 la stessa percentuale era al 35,8.

Luigia Cassina continua: “Il problema è culturale. È come se alla donne venisse detto: vuoi diventare madre? Bene, hai fatto la tua scelta di vita. E il lavoro non può più farne parte”.

E se quel lavoro era necessario per andare avanti, soprattutto con l’arrivo di un bimbo, poco importa. Sicuramente non a quei datori di lavoro che non si fanno scrupoli a lasciare a casa donne che, oltre ad aver bisogno di un’occupazione, sono qualificate per svolgerla.

Vera Moretti

Per uscire dalla crisi serve un Patto per la crescita

Guardiamo con preoccupazione al recente andamento dei mercati finanziari. Il mercato non sembra riconoscere la solidità dei fondamentali dell’Italia“. Questa la preoccupazione sollevata in un comunicato congiunto firmato dalle sigle ABI, ALLEANZA COOPERATIVE ITALIANE (CONFCOOPERATIVE, LEGA COOPERATIVE, AGCI, CGIL, CIA, CISL, COLDIRETTI, CONFAGRICOLTURA, CONFAPI, CONFINDUSTRIA, RETE IMPRESE ITALIA, UGL, UIL, CONFARTIGIANATO, CNA.

Per evitare che la situazione italiana divenga insostenibile occorre ricreare immediatamente nel nostro Paese condizioni per ripristinare la normalità sui mercati finanziari con un immediato recupero di credibilità nei confronti degli investitori“. La situazione internazionale è aggravata anche dalla crisi statunitense, debiti pubblici allarmanti e poter d’acquisto in continuo calo.

Per risollevarsi da questa situazione si rende necessario un Patto per la crescita che coinvolga tutte le parti sociali; serve una grande assunzione di responsabilità da parte di tutti ed una discontinuità capace di realizzare un progetto di crescita del Paese in grado di assicurare la sostenibilità del debito e la creazione di nuova occupazione“.

Detassazione: aliquota fiscale agevolata del 10% alle sole quote di reddito legate ad aumento di produttività

Ascom Bergamo, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil l’11 marzo hanno firmato l’accordo territoriale quadro per la detassazione che vincola la concessione dell’aliquota fiscale agevolata del 10% alle sole quote di reddito legate ad aumento di produttività, a condizione che siano oggetto di un accordo sindacale di secondo livello in ambito di contratto territoriale. Il regolamento viene applicato a partire da gennaio 2011 (valore retroattivo) fino alla fine dell’anno ed è applicato a tutte le aziende aderenti ad Ascom, compreso il settore Turismo.

L’agevolazione prevista dalla legge 122/2010 coinvolge circa 80.000 lavoratori. Le imprese potranno beneficiare dell’aliquota del 10% su una parte della retribuzione ai dipendenti, fino a 6mila euro, purché questa sia collegata a incrementi di produttività e a patto che i lavoratori non abbiano superato un reddito per il 2010 di 40mila euro. L’agevolazione si applica a straordinari, il lavoro supplementare, i turni, il lavoro notturno, festivo e domenicale, premi variabili di rendimento.

Per Luigi Trigona, direttore dell’Ascom di Bergamo “si tratta di un ottimo lavoro di negoziazione sindacale che ha permesso alle imprese aderenti al nostro sistema associativo di mantenere – in un periodo di crisi così profonda – i livelli di reddito dei loro dipendenti, avvicinando il costo aziendale a quanto effettivamente percepito dai lavoratori, un motivo in più per le aziende di entrare a far parte della nostra Associazione”.

M. Z.

Ma la politica s’è accorta della svolta epocale decisa da Marchionne?

di Gianni GAMBAROTTA

Mentre i palazzi della politica sono tutti impegnati a contare voti e a immaginare coalizioni governative, maggioranze improbabili, o ricorsi al popolo sovrano, fuori da queste segrete stanze succedono cose davvero importanti che lasceranno un segno nella storia del Paese. Il manager con il maglione, l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, ha deciso che d’ora in poi la prima fabbrica italiana farà a meno della Confindustria. Tratterà i suoi rinnovi contrattuali in assoluta indipendenza, concluderà gli accordi con i sindacati che vorranno sottoscriverli e andrà avanti così, incurante di pressioni, suggerimenti alla prudenza, proteste di piazza.

Perché ha preso questa decisione, che del resto era nell’aria da settimane, è noto. La Fiat ha assunto il controllo della Chrysler, è diventata davvero una multinazionale impegnata su tutti i mercati mondiali. E da azienda globale qual è adesso, deve seguire le regole che si applicano appunto a livello globale. Se non fa così, non può sperare di sopravvivere alla competizione internazionale ogni giorno più dura. Che cosa vuol dire questo? Quale novità reale, sostanziale porta il nuovo corso di Marchionne?

L’Italia, dalla fine della guerra e in maniera più accentuata dall’autunno caldo del 1969 in poi, è stata pesantemente condizionata dalla presenza sindacale. Per 60 anni, la cosiddetta Triplice (Cgil, Cisl, Uil) ha avuto un potere decisivo non solo su temi retributivi e normativi relativi al mondo del lavoro, ma su tutti gli aspetti della politica che, direttamente o indirettamente, toccavano l’economia. Non c’è stata decisione che non sia stata affrontata al cosiddetto tavolo delle parti sociali, vale a dire governo, sindacati e organizzazione degli imprenditori (Confindustria).

Questo ha portato a una lentezza del processo decisionale che non ha confronti nei moderni Paesi industrializzati. Ha creato inefficienza. Ma fosse stato solo questo: ha creato una situazione che, nel tempo, ha palesato un contenuto di profonda ingiustizia politica e sociale. Con un simile sistema si è dato vita a un Paese diviso a metà: una parte più privilegiata fatta da imprese e lavoratori rappresentati sindacalmente, più protetta, più forte, con più diritti; l’altra, formata da tutti quelli che non appartengono alle suddette categorie e assai più numerosa, esclusa da privilegi e aiuti, ridotta al rango di Serie B.

La scelta di Marchionne, che ha deciso che disegnerà le future strategie Fiat senza passare sotto le force caudine della potentissima Fiom-Cgil e risparmiandosi le liturgie confindustriali, manda in pensione due elementi che sono stati determinanti nel sistema di potere nazionale. Se ne stanno accorgendo i signori del Palazzo? Riescono a vedere che fuori dall’emiciclo di Montecitorio e lontano dai riflettori dei talk show televisivi tanto amati, il Paese sta andando avanti per la sua strada? E che fa scelte storiche senza neppure interpellare la politica?

Il CoLAP convoca a Roma più di 2.000 delegati delle associazioni professionali

Lo scorso 22 ottobre 2010 si è tenuta a Roma, in quel di Villa Miani, COMPETE.RE, la grande manifestazione promossa dal CoLAP Coordinamento Libere Associazioni Professionali. I lavori si sono aperti con la lettura di un messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “L’iniziativa propone un itinerario di riflessione sullo stato e le future prospettive di un settore che contribuisce in maniera considerevole allo sviluppo dei livelli di competitività del paese nell’ambito dei mercati in rapida evoluzione […]. Una regolamentazione del sistema delle professioni nel rispetto dei principi comunitari di liberalizzazione e di concorrenza richiede strumenti capaci di garantire all’intero comparto dei servizi professionali livelli di qualità ed efficienza adeguati alla complessità delle sfide poste dai processi di globalizzazione”.

Nel corso dell’evento è stato di particolare rilievo la sottoscrizione da parte del CoLAP e le organizzazioni sindacali di Cgil, Cisl e Uil, le Associazioni di Consumatori del protocollo di intesa volontaria per l’istituzione del comitato di indirizzo e sorveglianza che verifichi, vigili, implementi e certifichi il sistema e le procedure delle associazioni professionali per il rilascio degli attestati di competenza.

“La firma di oggi e l’istituzione del comitato è per noi la sostanza della legge di regolamentazione che ancora aspettiamo – ha dichiarato Giuseppe Lupoi, Presidente CoLAP alla presenza di oltre 2000 delegati delle associazioni professionali – . Con la sua messa a regime, il CoLAP mantiene l’impegno di tenere alta l’asticella della qualità e di stimolare la crescita delle libere associazioni per metterle in grado di soddisfare requisiti organizzativi, democratici e di qualità per il rilascio degli attestati”.

Basta chiacchiere e fumogeni: ripensiamo alla crescita del Paese

di Davide PASSONI

Strano Paese il nostro… In questa settimana abbiamo assistito al meglio e al peggio che l’Italia è in grado di esprimere quando si parla di lavoro, produzione e politiche a sostegno dello sviluppo e dell’occupazione.

Due attacchi a sedi della Cisl, a base di fumogeni, uova e volantini, da parte di gruppi che, in diversa misura, non si sono accorti che gli Anni ’70 sono finiti da un pezzo, senza capire che ancorarsi a una preistorica logica di servi contro padroni a tutto serve fuorché a far progredire e sviluppare un’economia per molti versi ancora zoppicante.

La tanto attesa nomina del titolare del ministero dello Sviluppo Economico, quel Paolo Romani la cui designazione è stata tanto sorprendente quanto può esserlo il freddo al Polo Nord; e qui via al solito teatrino con opposizioni, benpensanti e malpensanti che hanno tirato fuori di tutto dal passato di Romani (da Maurizia Paradiso in giù) e hanno invocato l’onnipresente conflitto di interessi. Vero, il neoministro è da sempre un fido scudiero del Cavaliere, da ancor prima della sua discesa in campo in politica, e come sottosegretario è inciampato in qualche grossa pietra, come gli 800 milioni per la banda larga (vitale per lo sviluppo del nostro tessuto produttivo) prima promessi e poi destinati alla copertura di altre spese. Ma noi siamo abituati a giudicare il lavoro delle persone, non solo e non tanto il loro passato (che non significa dimenticarlo): vediamo quello che Romani riuscirà a fare per l’economia italiana, magari senza rincorrere da subito il totem del nucleare, e poi esprimeremo un voto. Deligittimarlo prima ancora che sieda in poltrona è miope e controproducente.

Infine, ed ecco il meglio di cui parlavamo all’inizio, la presentazione da parte di Rete Imprese Italia del documento “Ripensare alla crescita del Paese: strategie e scelte di medio termine”; nove azioni urgenti e cinque azioni di sviluppo a medio termine per rilanciare il sistema Italia, a firma della realtà che vede alleate le più importanti associazioni di Pmi italiane: Confesercenti, Confartigianato, Confcommercio, Cna e Casartigiani.

Nel documento si va da proposte per la politica fiscale a quelle per la semplificazione amministrativa al nodo dei rapporti tra banche imprese e PA e imprese. Insomma, gli atavici punti dolenti di chi fa impresa nel nostro Paese. Noi vi consigliamo di leggerlo (eccolo qui), perché lo riteniamo un esempio di proposta seria, fatta da chi sul campo ci sta tutti i giorni e conosce i problemi reali della nostra economia, piccola o grande che sia. E, soprattutto, fatta da chi non ha la presunzione di insegnare alcunché a nessuno né di giudicare aprioristicamente scelte e posizioni, ma ha a cuore il bene dell’Italia sana, che produce e genera (o vorrebbe farlo ma non sempre ci riesce…) ricchezza e benessere.