La Cna chiede una riforma per i professionisti senza albo

La questione, pur essendo sulla bocca di tutti gli addetti ai lavori da molto tempo, non è ancora risolta.
Sono però oltre due milioni i professionisti che sperano di vedere un lieto fine a quella che sembra sempre più una telenovela: la riforma delle professioni non regolamentate da ordini o albi.

La Cna, a questo proposito, ha deciso di dedicare a questa tematica gli ultimi mesi della legislatura, con la speranza di riportarla in auge e al centro del dibattito parlamentare.
Questa è infatti l’intenzione di Sergio Silvestrini, segretario generale della Cna, confermata anche durante il suo intervento al convegno organizzato da Cna Professioni sul tema “Professioni non regolamentate. Quale futuro“, che si è svolto a Roma, presso la Camera dei deputati.

Tra i professionisti senza albo, rappresentati da Cna Professioni, ci sono naturopati, tributaristi, periti in infortunistica stradale, bioingegneri, chinesiologi, e osteopati, ma anche altre categorie, per i quali, secondo Giorgio Berloffa, presidente Cna Professioni, “è arrivato il momento di costruire nel nostro Paese un sistema professionale pienamente rispondente ai principi e ai criteri richiamati dall’Unione europea: quelli della conoscenza e della formazione a cui si devono uniformare tutti i soggetti che operano nel mercato“.

Attualmente è all’esame al Senato la proposta di legge “Disposizioni in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi“, che potrebbe agevolare i professionisti, soprattutto in vista di indicatori utili come la tracciabilità del percorso professionale.

Berloffa, a questo proposito, ha sottolineato: “Oggi il sistema della qualità professionale è diventato un elemento essenziale della società e del mercato. Per questo promuovere la qualità dei servizi professionali attraverso un sistema normativo Uni che, in linea con le più evolute esperienze europee, riconosca le prassi e i saperi attraverso lo strumento della certificazione, può finalmente rimuovere gli ostacoli che hanno finora bloccato la riforma delle professioni e che, di fatto, hanno lasciato i cittadini privi delle necessarie garanzie di qualità“.

Ricordiamo che, in fondo, queste categorie di professionisti aspettano solo che venga riconosciuto loro un riconoscimento delle proprie capacità e delle proprie mansioni, ad oggi motore dell’economia italiana.

Vera MORETTI

‘Falsa’ partita Iva: non basta la monocommittenza

Con la riforma Fornero sono in arrivo nuove regole per chi lavora con la partita Iva, un esercito composito e sempre più numeroso. In Italia sono infatti circa 6,5 mln le partite Iva attive, di queste un milione sono di società di capitale, più di un milione di professionisti, oltre un milione di artigiani e commercianti e tre milioni e mezzo di professionisti non regolamentati con attività individuale. Ogni anno si aprono circa 200 mila nuove partite Iva mentre, secondo l’Isfol, le false partite Iva sono attorno alle 400 mila unità.

In questo universo convivono, dunque, sotto lo stesso regime fiscale, il giovane designer e il fotografo, l’organizzatore di eventi e il musicista, l’autotrasportatore e l’odontotecnico.

“Anche per questo -dice a LABITALIA Gabriele Rotini, coordinatore nazionale di Cna Professioni, che si occupa delle attività non ordinistiche- per individuare una falsa partita Iva occorre distinguere il discorso sulla monocommittenza da quello che riguarda l’aspetto legato a un’attività più prettamente imprenditoriale piuttosto che professionale”. Insomma, per Rotini, quello che distingue una vera da una falsa partita Iva “è anche la natura del committente: il professionista ha un rapporto diretto con il cliente, la falsa partita Iva sta dentro una ‘triangolazione’, in cui il rapporto tra fornitore e cliente passa attraverso il datore di lavoro”.

Rotini ha una lunga esperienza nel settore perché per oltre 10 anni è stato componente della commissione regionale del Lazio sull’artigianato.”Quando dovevamo valutare un caso -ricorda- la base che prendevamo in considerazione era quella dell’autonomia imprenditoriale e cioè vedere se il lavoratore in oggetto veramente era autonomo nel decidere i tempi di lavoro, mentre se i tempi di lavoro venivano fissati e decisi da altri, cioè dal committente, quello poteva essere lavoro subordinato”.

Insomma, dice Rotini, “la monocommittenza non può essere il solo indicatore che ci dice che il lavoro è subordinato, è un ragionamento piuttosto complicato”. “Come Cna professioni -conclude- difendiamo la sopravvivenza delle partite Iva, necessarie in un sistema economico dove il 96% delle aziende è fatto da piccole imprese sotto i 10 addetti”.

Fonte: adnkronos.com