Una Rete di Confidi a sostegno delle imprese del Centro-Sud

Per avere più possibilità di accesso al credito, le piccole e medie imprese fanno molto affidamento ai Confidi, i Consorzi di garanzia collettiva dei fidi, che, appunto, hanno lo scopo di svolgere attività di prestazione di garanzie per agevolare le imprese, soprattutto pmi, all’accesso ai finanziamenti, che siano a breve, medio o lungo termine poco importa, destinati in particolare alle attività economiche e produttive.

Per questo, la notizia della nascita di una Rete Confidi CNA, che rappresenterebbe il più grande Confidi per l’Italia Centro-Meridionale, è sicuramente positiva e si rivelerà utilissima.

Obiettivo primario di questa iniziativa è quello di sostenere le micro, piccole e medie imprese del Centro-Sud in questo momento di difficoltà economica, che purtroppo dura da un po’ ormai, e quindi cercare di rafforzare la capacità delle strutture aderenti e potenziando il ruolo del sistema CNA e dei suoi strumenti.

Sono in totale sette i Confidi riuniti sotto la Rete CNA: Coopfidi Lazio, Fidimpresa Abruzzo, Fidimpresa Umbria, Artigiancoop Viterbo, Artigiancredito Campania, Confidi CNA Molise, Garanzie artigiane Latina.

Ad essere interessate sono dunque cinque regioni, Lazio, Umbria, Campania, Abruzzo e Molise, con quasi cento punti distributivi sul territorio, circa 43mila le piccole imprese associate complessivamente, alle quali vengono garantiti in totale 565 milioni di finanziamenti bancari, dopo i 160 milioni di finanziamenti garantiti nel 2016.

Vera MORETTI

Occupazione, gli ultimi fuochi della defiscalizzazione

La defiscalizzazione contributiva per i nuovi assunti introdotta dal Jobs Act sta facendo esplodere gli ultimi botti – visto che gli incentivi vanno esaurendosi- e sostiene l’ occupazione anche nel mese di febbraio, almeno nelle piccole e medie imprese, dove è cresciuta sia su base mensile sia su base annuale.

Secondo i dati dell’Osservatorio Mercato del Lavoro CNA, rilevati su un campione di 20.500 micro e piccole imprese per un totale di 125mila addetti, a febbraio l’ occupazione è cresciuta dello 0,4% rispetto a gennaio (l’aumento mensile più robusto degli ultimi quindici mesi) e del 2,5% anno su anno. Tutto questo come effetto combinato del calo delle cessazioni (-5,9%) e di quello delle assunzioni (-4,4%).

Il rovescio della medaglia di questo andamento dell’ occupazione è dato dal fatto che il calo avviato da gennaio della decontribuzione sulle assunzioni a tempo indeterminato – dall’esonero al 100% su un tetto massimo di 8.060 euro all’esonero al 40% su un tetto massimo di 3.250 euro – ha avuto come conseguenza un netto calo dei contratti a tempo indeterminato, scesi del 36%, a favore di altre due forme di occupazione: contratti a tempo determinato (+15,3%) e contratti di apprendistato +29,3%, entrambi su base mensile.

Alle rilevazioni della CNA sull’ occupazione si affiancano le previsioni del Sistema informativo Excelsior – Unioncamere e quelle del ministero del Lavoro, secondo le quali nel primo trimestre 2016 le imprese italiane stipuleranno 227mila nuovi contratti sia direttamente, sia con contratti in somministrazione, incarichi professionali, collaborazioni occasionali, collaborazioni a progetto. Secondo Unioncamere è un dato ancora buono, se comparato ai 191mila contratti attivati nell’ultimo trimestre 2015.

Passando invece agli scenari di occupazione del secondo trimestre 2016, i risultati del Manpower Employment Outlook Survey, indagine trimestrale del gruppo Manpower su 1000 datori di lavoro, solo il 6% di loro si è detto intenzionato ad assumere nuovo personale, contro un 4% che pensa di diminuire le assunzioni e il restante 87% che presume di restare stabile.

Cna Abruzzo: micro imprese regionali dimenticate dalle banche

All’interno di Infoiva cerchiamo di solito di dare spazio a tematiche di interesse più nazionale che locale, ma il grido di dolore e di allarme che si alzato dalla Cna Abruzzo nei giorni scorsi merita di essere ascoltato. Perché è un grido che più o meno tutte le regioni sono nelle condizioni di alzare.

Il grido della Cna Abruzzo è partito a seguito di un’analisi effettuata dal ricercatore abruzzese Aldo Ronci, il cui esito è lapidario: se da un lato le banche non sostengono più la micro impresa, dall’altro i tassi di interesse sui prestiti a imprese e famiglie in regione sono volano al di sopra della media nazionale.

La ricerca di Ronci per la Cna Abruzzo ha preso in esame l’andamento del credito nei primi sei mesi dell’anno e ha rilevato che in regione le banche chiudono sempre più i finanziamenti alle micro imprese (meno di cinque dipendenti): 7 milioni in meno rispetto allo stesso periodo del 2014. Peccato però che per le altre imprese vi sia un andamento opposto.

Queste le cifre messe da Ronci a disposizione della Cna Abruzzo: a fronte dei 7 milioni in meno alle micro imprese di cui sopra, da gennaio a giugno 2015, le grandi imprese hanno avuto 261 milioni e le famiglie ben 346. Tra le imprese, le più sostenute dalle banche sono state le attività manifatturiere (+145 milioni), le imprese del commercio (+82) e quelle dell’agricoltura (+36).

Il sostegno maggiore assicurato al mondo dell’impresa – commenta Ronciè stato appannaggio dei mezzi di trasporto, con un incremento di 91 milioni. Ma buone performance sono state assicurate anche a carta e stampa (+38), prodotti in metallo (+35). Penalizzate, al contrario, le imprese del comparto alimentare, che perdono 25 milioni di euro”.

Voucher lavoro, boom in 6 anni

Il voucher lavoro sembra funzionare. Secondo un’indagine della Cna realizzata su dati Inps, nel 2014 sono stati utilizzati oltre 69 milioni di voucher lavoro, una cifra che ne ha portato ad aumentarne l’utilizzo di 129 volte in sei anni: nel 2008, infatti, erano 535mila e 985. Sempre secondo l’indagine Cna, la diffusione del voucher lavoro ha portato circa 33mila posti di lavoro a tempo pieno in più.

Ricordiamo che il voucher lavoro serve per assicurare ai privati la possibilità di “comprare” un aiuto per i piccoli lavori e per consentire alle imprese di tappare improvvisi buchi organizzativi o a rispondere a picchi di attività, potendo contare sulla trasparenza e correttezza fiscale, previdenziale, assicurativa che il voucher lavoro stesso garantisce.

In quanto a diffusione geografica del voucher lavoro, la regione che nel periodo 2008-2014 se ne è servita di più è stata la Lombardia (26,5 milioni), seguita da Veneto (23,2 milioni), Emilia-Romagna (19,8 milioni), Piemonte (15 milioni) e Friuli-Venezia Giulia (11 milioni).

Se invece si guarda al rapporto tra voucher lavoro venduti alla forza lavoro, in testa alla classifica c’è il Trentino-Alto Adige con 20,8 buoni lavoro a residente tra i 15 e i 65 anni, seguita da Friuli-Venezia Giulia (20,6), Veneto (10,4), Marche (9,7) ed Emilia-Romagna (9,5).

Per quanto riguarda i settori produttivi, il commercio, con il 18,2% dei voucher lavoro acquistati, è quello che più li utilizza, seguito da servizi (14%), turismo (12,3%), manifestazioni sportive (9,1%), giardinaggio e pulizie (7,6%), attività agricole (7,3%), lavori domestici (2,6%).

Per quanto riguarda il sesso degli utilizzatori dei voucher lavoro nel 2014 le donne hanno superato gli uomini, mentre la loro età media è calata di circa 23 anni per entrambi i sessi: se nel 2008 4 lavoratori su 5 lavoratori che utilizzavano i voucher lavoro erano maschi con un’età media intorno ai 61 anni e con oltre 56 anni e mezzo, nel 2014 l’età media è scesa a quasi 38 anni per gli uomini e a 34 anni e mezzo per le donne.

A margine dello studio, la Cna nota come i voucher lavoro sono “un ottimo strumento. Non un meccanismo che genera precarietà, ma una misura in grado di agevolare le attività che, per il carattere occasionale e il modesto impatto economico, non giustificano altre tipologie di rapporto di lavoro”. Inoltre “costituiscono uno strumento utile a far emergere dal nero lavori saltuari o secondi impieghi riducendo il ricorso a lavoretti illegali“.

Carlo Sangalli al timone di RTI

Rete Imprese Italia ha un nuovo presidente: dall’1 luglio, infatti, alla guida di RTI c’è Carlo Sangalli, presidente nazionale della Confcommercio.

L’Associazione unitaria delle cinque principali organizzazioni di rappresentanza delle piccole e medie imprese e dell’impresa diffusa, ovvero Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti, che raccolgono insieme oltre 2,5 milioni di imprese, saluta Daniele Vaccarino, presidente di Cna che ha ricoperto la carica per il primo semestre del 2015, e dà il suo saluto, nonché in bocca al lupo, al suo successore.

Il passaggio di consegne è avvenuto durante l’assemblea dell’associazione.

Vera MORETTI

Quantitative easing e prestiti alle imprese

Come era facile immaginare, il cosiddetto quantitative easing, ovvero il piano della Banca Centrale Europea per stampare moneta con cui acquistare titoli di stato dei Paesi dell’Eurozona in modo da dare loro una boccata d’ossigeno, ha fatto storcere il naso a qualcuno. Specialmente a chi, nel mondo della piccola impresa, rileva troppe storture tra le agevolazioni che le banche hanno nell’acquistare denaro e quanto, di questo denaro, arriva poi a imprese e famiglie.

Nello specifico, Sergio Silvestrini, Segretario Generale della Cna ha sottolineato che “l’avvio del quantitative easing, come nelle previsioni, ha già contribuito a far calare ulteriormente le quotazioni dell’euro. Di sicuro una buona notizia per l’Italia, purtroppo oscurata dall’arretramento della produzione industriale e da una nuova fiammata della stretta creditizia”.

L’Istat – ha proseguito – rileva che a gennaio la produzione industriale è calata del 2,2% rispetto allo stesso mese del 2014. E la Banca d’Italia ci informa che, sempre a gennaio, l’erogazione dei prestiti alle imprese nell’arco di un anno è diminuita del 2,8% contro il -2,6% di dicembre. Sappiamo bene, però, che le dinamiche economiche non vanno lette a intervalli tanto brevi e che la tendenza della produzione industriale rimane rialzista e il calo potrebbe essere solo un aggiustamento tecnico relativo alle scorte dopo due mesi di crescita”.

Quanto al credito – ha sottolineato ancora Silvestriniva rilevato, invece, come la gelata sui prestiti alle imprese e alle famiglie sia andata in totale controtendenza rispetto all’andamento della raccolta, cresciuta in un anno del 5%. Si conferma, quindi, anche a inizio 2015 la severità della stretta creditizia che negli ultimi otto anni ha sottratto alle imprese circa 100 miliardi di crediti. I continui innalzamenti dell’asticella da parte dell’autorità di controllo europee stanno penalizzando gravemente le imprese e vanno rimossi al più presto. E’ necessario, infatti, mettere le banche nelle condizioni di ridare ossigeno alle imprese e offrire nuova liquidità per investire e creare occupazione”. In barba al quantitative easing della Bce.

Split payment e reverse charge? Mazzate per le imprese

Che il meccanismo dello split payment potesse essere un danno per le aziende, se non una vera e propria sòla, lo avevamo già scritto e intuito in tempi non sospetti. Ora anche la Cna lo mette nero su bianco, cifre alla mano. E sono cifre che fanno rabbrividire.

In una nota della Confederazione nazionale dell’artigianato si legge che “nel 2015 le imprese soggette allo split payment e al reverse charge avranno un ammanco mensile di 2 miliardi di euro“. Mica bruscolini. Secondo gli artigiani, le imprese più penalizzate dal meccanismo dello split payment saranno quelle che lavorano con la Pubblica amministrazione. “Le imprese che lavorano per la Pa – si legge ancora nella nota -, circa 2 milioni in tutto, soffriranno di un ammanco di cassa mensile pari a 1,5 miliardi, a causa del mancato incasso dell’Iva. In media, ognuna di loro avrà bisogno di 9.300 euro al mese. Le 310mila imprese destinatarie del reverse charge sconteranno, nel complesso, un ammanco mensile di circa 340 milioni, in media 1.110 euro ognuna“. Non bastasse già la crisi…

Secondo l’Osservatorio Cna sulla tassazione delle piccole imprese, queste cifre sono il combinato disposto dell’applicazione dello split payment, unita a quella del reverse charge. Così come lo split payment penalizzerà soprattutto le imprese che lavorano con la Pa, il reverse charge danneggerà invece le imprese che operano nel settore “installazione impianti, con un deficit finanziario di 212 milioni al mese. Seguono le imprese edili che si occupano di completamento di edifici, con un ammanco mensile di 104 milioni”. Imprese in buona compagnia (si fa per dire…), insieme a quelle che effettuano pulizie di edifici per altre società: -28 milioni al mese.

La mazzata sugli immobili produttivi

Il controsenso è tutto italiano e, come al solito, riguarda tasse e imprese. Parliamo di immobili produttivi che, come dice il nome, dovrebbero essere delle strutture utilizzate per produrre beni o servizi e, di conseguenza, reddito e ricchezza. In realtà sono diventati solo limoni da spremere.

Secondo uno studio dell’Osservatorio di Cna Nazionale sulla tassazione della piccola impresa, negli ultimi 36 mesi la tassazione locale sugli immobili produttivi è aumentata di 4 miliardi e 900 milioni: dai 4,7 del 2011 ai 9,6 del 2014. La mazzata si è chiusa col botto il 16 dicembre scorso, quando le imprese hanno dovuto pagare la famigerata Iuc.

Come ben sottolinea la Cna, questo fiume di denaro che origina dagli immobili produttivi è prima di tutto sottratto agli investimenti, vista l’improduttività degli enti nelle cui casse finisce. Inoltre, ciò che più scandalizza è il fatto che l’impennata sia stata particolarmente forte proprio negli anni di crisi più difficili per le imprese italiane.

L’indagine della Cna sugli immobili produttivi è stata condotta nei 110 comuni monitorati dall’Osservatorio Cna sulla tassazione della piccola impresa e sulle seguenti tipologie di immobili produttivi: laboratorio artigiano di 350 mq, classificato nella categoria catastale C3; negozio per la vendita di 175 mq, classificato nella categoria catastale C. Ossia le due tipologie prevalenti di immobili produttivi soggette alla tassazione locale. Senza contare il fatto che, spesso, ciò che fa lievitare la tassazione è il valore catastale degli immobili produttivi anche più elevato di quello di mercato.

Lo studio della Cna arriva poi alla conclusione che nel 2015 difficilmente le imprese e gli artigiani potranno far fronte a ulteriori aumenti della tassazione sugli immobili produttivi, anche a fronte della perdita della deducibilità totale della Tasi versata su capannoni, negozi e laboratori. Ecco perché la Cna chiede di invertire la tendenza riducendo la tassazione, rendendo magari interamente deducibile l’Imu dal reddito d’impresa (ora se ne può dedurre il 20%).

In questo senso vanno anche le imprese, che sperano nella deducibilità totale dell’Imu dal reddito d’impresa e dall’Irap, così da ridurre il carico della tassazione erariale e controbilanciare in questo modo quella comunale.

Del resto, se i beni strumentali all’attività produttiva come gli immobili produttivi stessi servono a produrre reddito d’impresa, l’Imu diventa un costo legato alla produzione del reddito e la non totale deducibilità della tassa comunale determina la tassazione di un reddito d’impresa che, di fatto, non viene mai realizzato. Una stortura e un contrasto con l’articolo 53 della Costituzione, che rende questa indeducibilità incostituzionale.

La Cna ha il merito di riportare all’attenzione di chi di dovere una stortura non tanto difficile da vedere. Ma si sa che, immobili produttivi o no, quando c’è da raccattare soldi la fiscalità, locale o centrale, della Costituzione non sa che farsene. A meno che, un giorno, trovi il modo di tassare anche quella…

Le piccole imprese amano il Jobs Act

Che il Jobs Act non fosse poi così mal visto dalle imprese e dagli artigiani era abbastanza trasparente. Ora la conferma arriva anche da un’indagine ad hoc realizzata dalla Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa Artigiani e piccole imprese (Cna) su 1630 imprese associate, dalla quale emerge un sostanziale apprezzamento per il Jobs Act.

Il dato più rilevante emerso dal sondaggio è che per la maggior parte delle imprese intervistate, il Jobs Act porterà a una riduzione della segmentazione del mercato del lavoro, per incentivare le nuove assunzioni a tempo indeterminato, senza che crescano i costi per le piccole imprese con meno di 16 dipendenti.

Il sondaggio della Cna sul Jobs Act è stato condotto su diversi punti, cercando per ciascuno di capire quale è il sentiment delle Pmi per ciascuno di essi. Intanto il contratto a tutele crescenti. Per il 53% delle imprese intervistate si tratta di una semplificazione rispetto ai contratti oggi esistenti e per il 20% di loro genererà maggiore flessibilità nella gestione dei rapporti di lavoro.

C’è poi il capitolo licenziamenti. Il 51% delle imprese intervistate sostiene di non avere mai dovuto licenziare i dipendenti, mentre per il 34,5% di loro la risoluzione dei rapporti di lavoro è avvenuta sempre in maniera consensuale.

Per quanto riguarda invece la decontribuzione per le assunzioni prevista dal Jobs Act, il 49,5% delle imprese sostiene che l’esonero dal versamento dei contributi significa contratti a tempo indeterminato più convenienti, anche se c’è molta incertezza su come la decontribuzione potrà incentivare un aumento dell’occupazione.

L’altra grossa novità del Jobs Act, ovvero il Tfr in busta paga, è fonte di preoccupazione solo per le imprese più grandi. Per il 23,5% delle imprese intervistate da Cna, non impatterà sugli equilibri finanziari aziendali, mentre Il restante 76,5% pensa che potrebbe essere fonte di problemi di liquidità gravi.

Insomma, qualche ombra ma bel complesso molte luci sulla visione che le imprese piccole e gli artigiani hanno sul Jobs Act.

Bando per le imprese innovative di Forlì-Cesena

E’ stato approvato dalla Regione Emilia Romagna un bando che possa offrire sostegno alle startup innovative della provincia di Forlì-Cesena, rivolto in particolare alle imprese ad elevato contenuto di conoscenza, basate sulla valorizzazione economica dei risultati e lo sviluppo di nuovi prodotti e di servizi di alta tecnologia.

Il bando è aperto alle piccole e medie imprese costituite dall’1 gennaio 2011 in poi, che siano attive in Emilia Romagna ed appartenenti ai settori delle Attività manifatturiere, delle Costruzioni, dei Servizi di informazione e comunicazione e delle Attività professionali, scientifiche e tecniche.

Le imprese richiedenti, per poter accedere al bando, dovranno dimostrare di essere in possesso del requisito di innovatività, e di risultare iscritte alla Sezione speciale del Registro Imprese istituita per le Startup innovative, presso la Camera di Commercio competente per territorio.

L’agevolazione consiste in un contributo in conto capitale pari al 60% della spesa ritenuta ammissibile. E’ concessa una maggiorazione del contributo del 10% per i progetti che prevedono alla loro conclusione un incremento dei dipendenti assunti a tempo indeterminato pari ad almeno 3 unità rispetto alla data di presentazione della domanda.

L’importo minimo di spesa da presentare è di 75mila euro; il contributo massimo per progetto è 100mila euro in regime “de minimis”.
Le domande di contributo potranno essere presentate fino al 31 marzo 2015.

Vera MORETTI